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Importazione illegale di farmaci: un rischio importante
Inserito il 29 settembre 2003 da admin. - medicina_legale - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  



"RS è una “minutissima” signora giapponese in gravidanza, e proprio per la sua magrezza quando era in Giappone le avevano sempre dato ricostituenti di ogni genere (senza molto successo, a quanto pare…). Ora che è in gravidanza, sua madre le ha spedito l’ennesimo pacco postale ricco di ogni tipo di vitamina ma… a un controllo random alla dogana lo hanno bloccato: non si tratterà di qualche sostanza proibita? Hanno fatto tradurre alla signora (sich) l’incomprensibile contenuto, scritto in giapponese, e poi lei è venuta in ambulatorio a chiedermi una prescrizione di quei farmaci, altrimenti non li avrebbero sdoganati. Obietto che non ne so nulla, e soprattutto che non vorrei essere coinvolto in qualche losco traffico, dal momento che non so il giapponese… Se ne va poco convinta, e dopo due giorni torna il marito dicendo che la situazione in famiglia è diventata insopportabile: la moglie non dorme, è agitata, depressa: vuole a tutti i costi le sue pillole miracolose. Faccio le stesse obiezioni che ho fatto alla moglie, ma nulla di fatto: alla fine ho dovuto cedere, e a malincuore ho fatto la fatidica ricetta. Qualche giorno dopo vengono trionfanti in ambulatorio, con il loro prezioso pacco… E’ proprio vero che il medico generale serve proprio a tutto, e soprattutto che alla fine il paziente ottiene sempre quello che vuole."


Il collega ha tenuto un comportamento che , involontariamente, poteva comportare gravi conseguenze.
Infatti l’ episodio da lui riferito rientra nel disposto del Decreto Min. Sanita’ 11 Febbraio 1997 (G.U. del 27 Marzo 1997, n. 72) che disciplina l’ importazione dei farmaci provenienti da nazioni estere e non registrati in Italia.
Occorre sottolineare, preliminarmente, che, sebbene eufemisticamente definiti “integratori”, l’ oggetto della questione sia costituito in realta’ da veri e propri farmaci, poiche’ in caso contrario non sarebbe stata necessaria alcuna ricetta medica.
Tale importazione e’ soggetta a una serie di regole ben precise: la legge stabilisce che innanzitutto il farmaco sia regolarmente registrato nella nazione di provenienza, in quanto cio’ garantisce che sia stato sottoposto ad avanzata sperimentazione clinica.
L’importazione di questi farmaci in Italia deve poi avvenire dietro specifica richiesta del medico curante (art.1).
L’art.2 specifica che, qualora il medico curante ritenga opportuno sottoporre un proprio paziente al trattamento terapeutico con un medicinale non autorizzato in Italia ma regolarmente autorizzato in un paese estero, e’ “tenuto ad inviare la Ministero della Sanita’, nonche’ al corrispondente Ufficio doganale ... la seguente documentazione ai fini dell’importazione del medicinale medesimo:
 nome del medicinale
 ditta produttrice, titolare dell’autorizzazione e alla immissione in commercio
 dichiarazione che il medicinale in questione e’ regolarmente autorizzato nel paese di provenienza
 quantitativo di cui si chiede l’importazione
 generalita’ del paziente
 esigenze particolari che giustifichino il ricorso al medicinale non autorizzato
 consenso informato del paziente ad essere sottoposto a tale terapia
 dichiarazione e utilizzazione del medicinale sotto la propria responsabilita’.

Questa complicata procedura non sembra essere stata applicata nel caso in esame, in quanto il medico si sarebbe limitato a stilare una ricetta (anche se non ci ha specificato i precisi contenuti della stessa).
La ricetta, come piu’ volte discusso, ha spesso anche il valore di un “certificato” in quanto puo’ implicitamente affermare (sia di per se’, sia per eventuali aggiunte nel testo) dei fatti di natura sanitaria (ad esempio, la sussistenza di uno stato morboso, il fatto che quella prescrizione e’ voluta e controllata da un medico, ecc.).
Forse per una semplificazione burocratica alcuni degli elementi previsti dalla legge sono stati ritenuti sottintesi dalla richiesta del medico curante, come e’ pure possibile che il medico sia stato indotto dalla paziente ad aggiungere avventate affermazioni sulla necessita’ di assunzione di quel farmaco..
E’ tuttavia sconcertante che il medico abbia acconsentito ad assumersi, sia pure surrettiziamente, una serie di simili responsabilita’ sull’ uso di un farmaco di cui non conosce neanche la composizione ne’ l’ attivita’ biologica, se non per le asserzioni della paziente. Si tratta di un comportamento molto rischioso che potrebbe comportare sanzioni penali non lievi in quanto si potrebbe configurare:
- il reato di falso (per la stesura di un certificato non rispondente al vero: art. 479 C.P. se il sanitario rivestiva in quel momento il ruolo di Pubblico Ufficiale, “solo” art. 481 se era solo un “esercente servizio di pubblica necessita’”, ruolo svolto praticamente da ogni medico),
- di violazione della legge sulla sperimentazione dei farmaci non registrati (D.L. 17/02/1998 n.23),
- infrazione alla regola deontologica che impone di somministrare solo farmaci sperimentati (art. 12, 46, 47 del vigente Codice Deontologico).
La cosa acquista una particolare delicatezza in considerazione della gravidanza in atto: il medico si e’ reso automaticamente responsabile di ogni effetto collaterale dannoso che possa verificarsi (sia alla madre che al feto) in seguito all’ assunzione di tale farmaco.

Daniele Zamperini (pubblicato su “Occhio Clinico”, n. 4 2003)

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