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Sono giustificati i target di colesterolo LDL consigliati dalle linee guida? |
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Inserito il 10 novembre 2007 da admin. - cardiovascolare - segnala a:
Rimane ancora controverso se sia utile raggiungere le soglie di colesterolo LDL consigliate dalle linee guida per i pazienti a rischio cardiovascolare molto elevato.
E' noto che le linee guida consigliano di arrivare a valori target di colesterolo LDL sempre più bassi: nelle ultime versioni per i pazienti considerati a rischio cardiovascolare molto elevato si consiglia di arrivare ad un LDL inferiore a 70 mg/dL. Ma queste raccomandazioni sono basate su solidi studi clinici? Per stabilirlo alcuni ricercatori hanno passato al pettine fitto tutti i principali studi (RCT, studi di coorte e studi caso-controllo) citati dalle varie linee guida. Lo scopo era quello di determinare se i valori consigliati dalle linee guida trovassero riscontro negli studi della letteratura. Per quanto riguarda i pazienti con colesterolo LDL inferiore a 130 mg/dL non è stato possibile trovare analisi per sottogruppi nei trials clinici o analisi valide di studi di coorte o caso-controllo che dimostrassero che la misura alla quale il colesterolo LDL risponde ad una statina predica in modo indipendente la riduzione del rischio cardiovascolare. Quasi tutti gli studi usavano dosi fisse di statina. Gli autori citano uno studio con dosi elevate o normali di statina (studio IDEAL): gli eventi non erano meno frequenti nel gruppo che ricevette dosi elevate di statina, nonostante venissero raggiunti livelli più bassi di colesterolo LDL. Un limite degli studi osservazionali, in cui livelli più bassi di colesterolo LDL si associavano ad una riduzione degli eventi, è di non essere randomizzati e inoltre spesso non venivano neppure presi in considerazione i fattori confondenti. Gli autori della revisione concordano che le statine vanno usate nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare (anche indipendentemente dal valore basale di colesterolo LDL) ma sottolineano il fatto che le attuali evidenze non giustificano una titolazione delle dosi per arrivare ai target consigliati dalle linee guida, oltre a non sapere se arrivare a tali livelli sia sicuro.
Fonte:
Hayward RA et al. Narrative review: Lack of evidence for recommended low-density lipoprotein treatment targets: A solvable problem. Annals of Internal Medicine 2006 Oct 3; 145:520-30
Commento di Renato Rossi
Questo studio è come una ventata di aria fresca contro l'imperialismo stagnante delle linee guida che fissano valori target sempre più bassi e "impossibili" nella pratica clinica di colesterolo, di glicemia, di pressione. Gli autori della "narrative review" sintetizzata in questa pillola dicono chiaramente che non ci sono evidenze a sostegno dei valori di colesterolo LDL raccomandati. In un RCT i pazienti furono randomizzati a due dosaggi diversi di una stessa statina: si tratta di uno studio poco noto, che va sotto il nome "A to Z trial" (Aggrast to Zocor) [1]. In questo trial furono arruolati quasi 4.500 pazienti affetti da sindrome coronarica acuta, randomizzati un gruppo a ricevere 40 mg/die di simvastatina per 1 mese seguiti da 80 mg/die mentre l'altro gruppo ricevette placebo per 4 mesi e in seguito simvastatina 20 mg/die. L'end-point primario, misurato dopo un follow-up che andava da 6 a 24 mesi, era composto da morte cardiovascolare, infarto non fatale, stroke e ricovero per sindrome coronarica acuta. Nel gruppo trattato con 20 mg di simvastatina il colesterolo LDL medio fu di 122 mg/dL ad 1 mese e di 77 mg/dL a 8 mesi mentre nel gruppo trattato con le dosi più alte fu rispettivamente di 68 mg/dL e 63 mg/dL. Tuttavia l'end-point primario si verificò nel 14,4% del gruppo a terapia intensiva e nel 16,7% del gruppo controllo e non raggiunse la significatività statistica (HR 0,89; IC85% 0,76-1,04; P = 0,14). Il trial non è riuscito quindi a dimostrare formalmente che una dose più alta di statina migliora gli esiti rispetto ad una dose più bassa. Si può però citare anche una meta-analisi di RCT su adulti coronaropatici che non è riuscita a dimostrare che raggiungere LDL < 100 sia preferibile che arrivare a valori tra 100 e 130 [2]. D'altra parte vi è una conferma indiretta derivante dallo studio HPS [3], un RCT praticamente di prevenzione secondaria che a tutt'oggi si può considerare uno dei più importanti sulle statine: il beneficio espresso in RR era lo stesso nei tre terzili di pazienti con differenti riduzioni di LDL : - riduzione di meno del 38%: RR 0.78 - riduzione del 38-47%: RR 0.79 - riduzione >= 48%: RR 0.79 Altri dati vengono dallo studio IDEAL [4] nel quale quasi 9.000 pazienti colpiti da infarto miocardico furono randomizzati a ricevere dosi diverse di due statine diverse (atorvastatina 80 mg vs simvastatina 20 mg). Dopo un follow-up medio di 4,8 anni l'end-point primario (un evento coronarico maggiore definito come morte coronarica, infarto miocardico non fatale o arresto cardiaco con recupero del paziente) si verificò in 463 pazienti (10,4%) del gruppo simvastatina e in 411 pazienti (9,3%) del gruppo atorvastatina, differenza non significativa (HR 0,89; IC95% 0,78-1,01; p = 0,07), nonostante il fatto che durante il trattamento il livello di LDL-colesterolo medio fosse di 104 ± 0.3 mg per dL con la simvastatina e di 81 ± 0.3 mg per dL con atorvastatina. Ad onor del vero vi sono anche studi che suggeriscono una maggior utilità di alte dosi di statine. Per esempio nello studio TNT [5] circa 10.000 pazienti con malattia coronarica e colesterolemia al di sotto di 130 mg/dl furono randomizzati a ricevere atorvastatina 80/mg/die o 10/mg/die. Il follow-up medio fu di 4,9 anni mentre l'end point principale era un indice combinato costituito da morte cardiovascolare, infarto non fatale, rianimazione dopo arresto cardiaco o ictus. La colesterolemia media risultò di 77 mg/dL nel gruppo 80/mg/die e 101 mg/dL nel gruppo 10/mg/die. Un evento primario si verificò in 434 pazienti (8,7%) del gruppo 80 mg vs 548 (10,9%) di quello 10 mg (ARR= 2.2% RRR= 22% NNT 45 ; hazard ratio, 0.78; 95 CI, 0,69 - 0,89; P<0.001). Non fu osservata nessuna differenza significativa per quanto concerne la mortalità globale. Bisogna dire però che il vantaggio in termini assoluti risulta modesto: bisogna trattare con dosi elevate di statina circa 45 pazienti per evitare un evento primario ma ogni 100 pazienti trattati si avrà un rialzo persistente delle transaminasi. Un'altra considerazione è questa: nella prima fase furono arruolati oltre 15.000 pazienti affetti da malattia coronarica stabile, con valori di colesterolo LDL compresi tra 130 mg/dL e 250 mg/dL, trattati in aperto per otto settimane con atorvastatina 10 mg/die. Successivamente , tra questi, furono scelti quelli (10.000) in cui il colesterolo LDL, dopo le 8 settimane di trattamento iniziale, risultava inferiore a 130 mg/dL, destinati a partecipare allo studio vero e proprio che prevedeva la somministrazione, randomizzata e in doppio cieco, di atorvastatina alle dosi di 10 mg/die oppure 80 mg/die. Questo potrebbe aver portato alla selezione di pazienti che rispondono meglio al farmaco e aver scartato quelli più resistenti. Si tratta di una procedura prevista dalla ricerca clinica ma che va, in qualche modo, a interferire con la scelta casuale dei pazienti, e ciò potrebbe costituire una sorta di bias di selezione e rendere meno trasferibili i risultati nella pratica. Bisogna dire che questo sistema di"pulizia delle liste" è molto usato (forse anche troppo): se ne trova un esempio anche nell'HPS ( da più di 32.000 pazienti arruolati inizialmente si passò a circa 20.500). Inoltre nello studio TNT, nonostante il regime intensivo abbia raggiunto, al termine dei quasi 5 anni di follow-up, valori di LDL colesterolo inferiori rispetto al regime di confronto (77 mg/dL vs 101 mg/dL) e una riduzione (in termini relativi) degli eventi cardiovascolari del 22%, non si ebbe alcuna riduzione della mortalità globale. In altre parole sebbene la riduzione dei decessi da cause cardiovascolari ottenuta con alte dosi di atorvastatina fosse del 26%, si ebbe un aumento dei decessi da cause non cardiovascolari del 31% rispetto al gruppo che assumeva 10 mg/die. Non sappiamo se questo sia dovuto al caso, ma non si può escludere che possa anche essere legato, in qualche modo, alle alte dosi di statina. Se questa fosse la ragione ci sarebbe di che preoccuparsi. Resta inoltre aperto il problema di cosa sarebbe successo, in termini di risultato, se allo studio avessero partecipato anche i 5.000 pazienti inizialmente arruolati e poi esclusi per non aver ottenuto i valori prefissati di LDL. Nella pratica di tutti i giorni è improbabile che venga seguito il disegno dello studio per cui potrebbero venir trattati anche soggetti meno responsivi di quelli effettivamente poi arruolati nel TNT e i risultati pratici potrebbero essere meno brillanti. L'aumento del 31% dei decessi da cause non cardiovascolari dovrebbe essere ulteriormente indagato, anche in considerazione del fatto che non abbiamo ancora dati certi sulla sicurezza a lungo termine dei dosaggi elevati. Nello studio ALLIANCE [6] furono arruolati 2.442 pazienti con coronaropatia e iperlipemia, randomizzati ad atorvastatina (titolata fino ad arrivare a valori di colesterolo LDL inferiori a 80 mg/dL oppure fino alla dose massima di 80 mg/die) oppure a "usual care" (ogni terapia che i medici curanti ritenevano necessaria, compresa una statina). L'end-point primario era la comparsa di un primo evento cardiovascolare e il follow-up fu di 51,5 mesi in media. L'end-point primario si verificò nel 23,7% del gruppo atorvastatina e nel 27,7% del gruppo usual care (HR 0,83; IC95% 0,71-0,97; P = 0,02); essenzialmente si ebbe una riduzione dell'infarto non fatale. Il colesterolo LDL medio si ridusse del 34,3% nel gruppo atorvastatina e del 23,3% nel gruppo controllo mentre un LDL inferiore a 100 mg/dL si ebbe rispettivamente nel 72,4% e nel 40,0%. Vi è da notare tuttavia che in ben 543 pazienti la valutazione dei dati fu solo parziale in quanto costoro non completarono i 4 anni di follow-up per comparsa di eventi avversi, ritiro del consenso o perdita al follow-up. Questa mancanza di valutazione completa dei dati su più del 20% del campione originario potrebbe rendere meno attendibili i risultati. Inoltre gli eventi avversi gravi furono simili nei due gruppi (40% nel gruppo atorvastatina e 42% nel gruppo terapia usuale) per cui i critici si chiederanno dove siano i benefici globali sulla salute dei pazienti ottenuti con dosi così elevate. Resta da citare lo studio PROVE-IT [7] in cui vennero reclutati 4.162 pazienti ricoverati per sindrome coronarica acuta nei precedenti 10 giorni, trattati con pravastatina 40 mg/die (gruppo terapia standard) oppure con atorvastatina 80 mg/die (gruppo terapia intensiva). Lo studio si proponeva di valutare un end-point composto da morte da tutte le cause, infarto miocardico, angina instabile richiedente l'ospedalizzazione, rivascolarizzazione (almeno 30 giorni dopo la randomizzazione) e ictus. Il follow-up fu di 18-36 mesi (media 24 mesi). Il colesterolo medio LDL raggiunto fu di 95 mg/dL nel gruppo pravastatina e 62 mg/dL nel gruppo atorvastatina. A 24 mesi l'end-point primario si verificò nel 26.3% dei pazienti nel gruppo pravastatina e nel 22.4% nel gruppo atorvastatina (riduzione del rischio relativo del 16%; 95%IC 5-26; p=0.005). La mortalità totale venne ridotta del 28% e anche ogni altro outcome dell'end-point primario risultava in favore dell'atorvastatina, eccetto lo stroke. Una alterazione dei tests epatici si verificò nell'1% dei soggetti trattati con pravastatina e nel 3% di quelli trattati con atorvastatina. E' difficile dire se lo studio provi la superiorità di una molecola rispetto all'altra per una differenza intrinseca dei due farmaci (l'atorvastatina è lipofila mentre la pravastatina è idrofila) oppure della terapia aggressiva rispetto alla terapia standard. Per finire un'ultima osservazione: è noto che le varie statine riescono a ridurre l'LDL colesterolo in misura diversa per cui si potrebbe ipotizzare che i benefici siano maggiori quando si usano le statine più potenti. Ma cosa succede nel mondo reale? In uno studio di coorte (per oltre 18.500 pazienti) è stata valutata l'efficacia delle varie statine negli anziani con infarto miocardico [8] . Lo studio ha dimostrato che gli anziani traggono gli stessi benefici dei pazienti più giovani. Ma oltre a questo ha permesso di valutare l'impatto delle 5 statine prescritte e mostra che gli esiti (morte da ogni causa e recidiva di infarto miocardico) rimangono gli stessi indipendentemente dalla statina usata. Pur trattandosi di uno studio osservazionale questo dato è attendibile perchè è improbabile che vi sia un bias di selezione nella prescrizione delle statine da parte dei medici e dimostra che i benefici sono indipendenti non solo da quale statina viene prescritta ma anche dalla percentuale di riduzione di LDL si ottenga nel range 21%-37%. Infatti gli outcomes non erano diversi nelle 5 coorti di pazienti stratificati per tipo di statina usata, pur essendo diversa la riduzione media di colesterolo LDL ottenuta. Lo stesso autore ha dimostrato, con confronti indiretti degli RCT, che simvastatina, pravastatina e atorvastatina, a dosaggi standard, non differiscono nella efficacia preventiva degli eventi cardiovascolari [10]. Quali sono quindi le conclusioni che si possono trarre da tutta questa messe di studi? Hanno ragione le linee guida a suggerire una soglia di colesterolo LDL molto bassa nei soggetti a rischio cardiovascolare elevato oppure i critici che dicono che le evidenze sono inconcludenti? In realtà gli studi, come abbiamo visto, hanno dato risultati diversi per cui la questione rimane ancora aperta: è probabile che cercare di arrivare a livelli ridotti di colesterolo utilizzando dosi elevate di statina possa portare a qualche modesto beneficio aggiuntivo in alcune particolari categorie di pazienti a rischio elevato (per esempio quelli con sindrome coronarica acuta), mentre non ci sono evidenze in prevenzione primaria. Dell'argomento si sono occupate anche due meta-analisi. La prima [11] è criticabile in quanto ha assemblato studi in cui un regime a dosi intensive di statine veniva paragonato a regimi standard e studi in cui le statine venivano paragonati al placebo. La seconda [12] arriva invece a conclusioni sovrapponibili alle nostre: la terapia intensiva con statine riduce, rispetto a dosi moderate, la mortalità totale nei pazienti con recente sindrome coronarica acuta ma non in quelli con cardiopatia ischemica stabile.
Commento di Marco Grassi
Tutti i trial eseguiti fino ad oggi con agenti ipolipemizzanti ( in massima parte statine) sono stati eseguiti testando statina vs placebo, diverse statine fra loro o diversi dosaggi della stessa statina. Nessun trial è mai stato disegnato per valutare una particolare soglia di colesterolo da raggiungere o per confrontare l'efficacia preventiva di diversi target di colesterolo totale o colesterolo LDL (come avvenuto nello studio HOT, dove furono testati diversi target pressori da raggiungere e individuare quello più efficace nel prevenire eventi). Pertanto, estrapolare da questi studi disegnati per raggiungere altri scopi, una soglia di colesterolo LDL da raggiungere come desiderabile è arbitrario e non supportato da evidenze forti. Peraltro, lo scopo del trattamento con statine è quello di evitare eventi cardiovascolari e non di raggiungere determinare livelli di colesterolo. Ciò che dimostrano ampiamente i numerosi trial effettuati è la riduzione di eventi determinata da un certo tipo di statina o da un certo dosaggio. A questi dati ci dovremmo attenere fino a quando non siano eseguiti studi che confrontino diversi target di colesterolo LDL e dimostrino che a piu' bassi livelli di colesterolo LDL corrispondono significative diminuzioni di eventi. I risultati del citato studio HOT (dove il più basso livello di pressione arteriosa raggiunto non era quello più efficace nel prevenire eventi) fa prevedere che difficilmente ci si cimenterà su questo terreno scivoloso e dai risultati alquanto incerti. Per inciso, non tutte le linee guida sul trattamento delle dislipidemie abbracciano l'ipotesi non dimostrata "lower is better" ( tanto cara ai produttori di statine). Per esempio le linee guida dell' American College of Physicians (ACP), l'autorevole società scientifica degli internisti americani, sul tattamento delle dislipidemie nel paziente diabetico interpretano correttamente la letteratura e affermano testualmente: " Considerate le evidenze non definitive sui benefici di trattare un determinato target di colesterolo LDL, la decisione di intraprendere una terapia farmacologica più aggressiva, sia titolando la statina fino a raggiungere il target o utilizzando farmaci in associazione, dovrebbe essere presa in accordo fra medico e paziente."[9]
Commento di Luca Puccetti
Le considerazioni già espresse da Rossi e Grassi sono assolutamente condivisibili, siamo di fronte ad un tentativo di far "passare in giudicato" un assunto mai dimostrato. Ma questo target è anche velleitario e potenzialmente pericoloso. Chi ha esperienza clinica sa di quanto sia difficile non solo raggiungere, ma soprattutto mantenere determinati target, come ci dimostra l'emoglobina glicata nel diabete. Più che agitarsi per individuare un target ottimale per tutti di LDL che produrrebbe scarsissimi vantaggi e che non potrebbe essere comunque mantenuto, sarebbe molto più produttivo in termini di salute pubblica individuare una soglia massima al di sopra della quale il rischio diviene molto, molto elevato. Pertanto più che definire una soglia bassissima che potrà essere raggiunta e mantenuta solo nei clinical trials è molto meglio stabilire una soglia sopra la quale il rischio diviene molto elevato. Questa è la vera soglia da individuare come nemico pubblico nelle campagne di comunicazione al pubblico. Dal punto di vista degli interventi di salute pubblica probabilmente sarebbe molto meglio che nessun diabetico o cardiopatico avesse livelli totali di LDL superiori a 160 mg/dL poichè tale limite è probabilmente raggiungibile e sostenibile da un vasto numero di pazienti e conferirebbe vantaggi robusti in termini di eventi evitati ossia avrebbe un rapporto favorevole tra NNT e NNH e potrebbe essere applicabile su vasta scala e sostenibile nel tempo. Definire una soglia di 70 mg/dL è pericoloso non solo per gli effetti collaterali dei farmaci, ma anche per l'innesco di un perverso meccanismo psicologico che conferisce un alibi ad un paziente che nonostante tutti gli sforzi non raggiunge mai il traguardo. Sempre più spesso vediamo cardiologi o diabetologi proporre dosi elevate di statine a pazienti in perfetto equilibrio anche psicologico già in trattamento con moltissimi farmaci tra cui statine perché non si è raggiunta la soglia mitica dei 100 mg/dL o addirittura dei 70 mg/dL di LDL. Questo comporta un allarme del paziente che crede di non essere stato ben curato fino ad allora, e talora anche un vulnus al rapporto fiduciario che poi deve gestire il MMG argomentando in base al profilo clinico e psicologico dei pazienti. Tali proposte avendo una debolissima evidenza, devono essere discusse con il paziente e pertanto l'eventuale specialista se non anche medico curante abituale, non conoscendo il profilo psicologico del paziente, dovrebbe rivolgere eventuali suggerimenti in tal senso solo in busta chiusa al curante.
Referenze
1.de Lemos JA et al. for the A to Z Investigators. Early Intensive vs a Delayed Conservative Simvastatin Strategy in Patients With Acute Coronary Syndromes. Phase Z of the A to Z Trial JAMA. 2004 Sept 15; 292:1307-1316. 2. Wilt TJ et al. Effectiveness of statin therapy in adults with coronary heart disease. Arch Intern Med 2004; 164:1427 3. Heart Protection Study Collaborative Group. MRC/BHF Heart Protection Study of cholesterol lowering with simvastatin in 20 536 high-risk individuals: a randomised placebo-controlled trial Lancet 2002 Jul 6; 360: 7-22 4. Pedersen TR et al. for the Incremental Decrease in End Points Through Aggressive Lipid Lowering (IDEAL) Study Group. High-Dose Atorvastatin vs Usual-Dose Simvastatin for Secondary Prevention After Myocardial Infarction. The IDEAL Study: A Randomized Controlled Trial. JAMA 2005 Nov 16; 294. 2437-2445 5. La Rosa JC et al for the Treating to New Targets (TNT) Investigators. Intensive Lipid Lowering with Atorvastatin in Patients with Stable Coronary Disease. N Engl J Med 2005 Apr 7; 352: N Engl J Med 2005 Apr 7; 352: 1425-35 6. Koren MJ et al. for the ALLIANCE Investigators. Clinical outcomes in managed-care patients with coronary heart disease treated aggressively in lipid-lowering disease management clinics: the alliance study. J Am Coll Cardiol. 2004 Nov 2;44:1772-9 7. Cannon CP et al. Comparison of Intensive and Moderate Lipid Lowering with Statins after Acute Coronary Syndromes. N Engl J Med 2004 April 8; 350:1495-1504 8. Zhou Z et al. Effectiveness of statins for secondary prevention in elderly patients after acute myocardial infarction: an evaluation of class effect. CMAJ 2005;172:1187-94. 9. Lipid Control in the Management of Type 2 Diabetes Mellitus: A Clinical Practice Guideline from the American College of Physicians. Ann Intern Med.2004;140:644-649 10. Zhou Z et al. Are statins created equal? Evidence from randomized trials of pravastatin, simvastatin, and atorvastatin for cardiovascular disease prevention. Am Heart J 2006; 151:273-281 11. Hulten E et al. The Effect of Early, Intensive Statin Therapy on Acute Coronary Syndrome. A Meta-analysis of Randomized Controlled Trials. Arch Intern Med 2006;166:1814-1821 12. Afilalo J et al. Intensive statin therapy in acute coronary syndromes and stable coronary heart disease: a comparative meta-analysis of randomised controlled trials. Heart 2007 Aug;93:914-21.
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