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ASA a dosi moderate diminuisce mortalità nelle donne apparentemente sane
Inserito il 28 dicembre 2007 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Lo studio osservazionale Nurses' Health Study con un follow-up di 24 anni mostra una riduzione della mortalità significativa per tutte le cause nelle donne apparentemente sane che hanno fatto uso di ASA per almeno 5 anni.

Nel 1976 iniziò il Nurses' Health Study, una ricerca dal disegno caso controlo annidato che ha coinvolto 121701 infermiere statunitensi sposate, di età compresa tra 30 e 55 anni, che risposero ad un questionario, poi ripetuto ogni 2 anni, sui fattori di rischio, gli eventi cardiovascolari e il cancro. Nel 1980, al questionario furono aggiunte informazioni inerenti la dieta e l'uso di farmaci. Nel 1991 furono riportati i risultati a 6 anni che non mostrarono alcun legame tra mortalità ed uso di ASA. Il presente studio esamina i dati a 24 anni del Nurses' Health Study al fine di esaminare la relazione tra ASA e mortalità per tutte le cause, mortalità cardiovascolare e cancro. Sono state pertanto reclutate 79439 donne del Nurses' Health Study: 9477 decedute entro 24 anni dal questionario del 1980 e 69962 controlli randomizzati. Le donne che non avevano fatto uso di aspirina erano 45305; 11507 avevano usato da 1 a 2 compresse da 325 mg di aspirina alla settimana; 8158 da 3 a 5 compresse; 9467 da 6 a 14 compresse; e 5002 più di 14 compresse alla settimana. Le donne che avevano fatto uso di Asa erano omogenee rispetto ai controlli in merito ai classici confounding factors legati agli aspetti demografici, clinici ed inerenti allo stile di vita. Il rischio di morte per qualsiasi causa è risultato più basso nelle donne che usavano regolarmente l'ASA rispetto ai controlli ( RR multivariato, 0.75; 95% CI, 0.71 - 0.81). La riduzione più sensibile è stata osservata sulla mortalità per cause cardiovascolari (RR, 0.62; 95% CI, 0.55 - 0.71). Il rischio di morte per il cancro del colon-retto è risultato più basso nelle donne che facevano uso di ASA (RR, 0.72; 95% CI, 0.56 - 0.92). L'aumento della durata dell'assunzione di ASA è risultato associato con una riduzione della mortalità per tutte le cause (P < .001). L'uso di ASA per un periodo da 1 a 5 anni è risultato associato con un minor rischio di morte per cause cardiovascolari (RR, 0.75; 95% CI, 0.61 - 0.92). L'uso di ASA per più di 10 anni è risultato associato con un più basso rischio di morte per cause neoplastiche (tendenza lineare P = .005), specialmente per quanto concerne la mortalità da cancro colon-rettale (11 - 20 anni: RR multivariato, 0.50; 95% CI, 0.33 - 0.76; > 20 anni: RR, 0.61; 95% CI, 0.41 - 0.90). Dosi cumulative maggiori di ASA (> 14 compresse settimanali) non è risultato associato con una riduzione della mortalità. I benefici riguardanti la riduzione della mortalità globale, per cause cardiovascolare o neoplastiche sono stati più sensibili nelle donne più anziane e nelle donne con più fattori di rischio cardiovascolare. La riduzione della mortalità globale diviene statisticamente significativa a 5 anni mentre quella della mortalità per cause neoplastiche diviene significativa dopo 10 anni di uso dell'ASA.


Fonte:

Arch Intern Med. 2007;167:562-572



Commento di Luca Puccetti

L'effetto dell'assunzione di ASA sulla mortalità di donne apparentemente sane rimane una questione controversa. Già in uno studio randomizzato, pubblicato (1) nel 2001, l'ASA è risultata associata con una riduzione della mortalità cardiovascolare (RR 0,56 [95% CI 0,31–0,99]). Nel 2005 è stato pubblicato (2) un ampio studio, randomizzato e controllato con placebo, in cui la somministrazione di 100 mg di ASA a giorni alterni per un periodo di 10 anni non ha mostrato una riduzione significativa della mortalità per cause neoplastiche. Sempre nel 2005 analisi dei dati del Women's Health Study (3) hanno mostrato che nelle donne oltre 65 anni senza storia di malattia cardiovascolare l'ASA non ha effetti significativi sul rischio di infarto o sulla mortalità cardiovascolare, ma risulta associata con una riduzione del 17% di ictus e del 24 % di ictus ischemico. Negli uomini i dati sono in parte diversi, come emerge dai dati del Physicians' Health Study che hanno mostrato che l'ASA si associa con una riduzione significativa del 44% del rischio di infarto in uomini di 50 e più anni senza evidenza clinica di malattia coronarica, mentre nessun effetto è stato rilevato in merito all'ictus ed alla mortalità cardiovascolare. Guardando alla grande differenza del rischio di IMA dei gruppi placebo dei due studi ( 97.3 per 100000 persone-anni nel Women's Health Study e 439.7 per 100000 persone-anni nel Physicians' Health Study) risulta evidente che le popolazioni esaminate erano verosimilmente profondamente diverse e dunque difficilmente comparabili quanto a rischio cardiovascolare. Questo dato, più che le diversità su fattori antitrombotici quali l'aumento della prostaciclina, mediata dall'attivazione della COX 2 ad opera degli estrogeni, possono spiegare i diversi risultati osservati nei due studi citati.
Tutti questi studi hanno il vantaggio di essere prospettici e randomizzati, ma non hanno la durata necessaria ad evidenziare effetti di lungo termine anche se occorre sottolineare che nello studio recensito la riduzione della mortalità per tutte le cause si evidenzia già dopo 5 anni.
Essendo il presente studio osservazionale non si ritiene che esistano al momento i presupposti per raccomandare l'uso routinario ed universale di ASA nelle donne anziane apparentemente in buona salute, ma tale possibilità potrebbe essere discussa nei casi con storia familiare di ictus.


Bibliografia

1) Lancet 2001; 357:89-95
2) JAMA 2005;294:9
3) NEJM 2005;352:1293-1304
4) NEJM 1989;321:129-135
5) Science 2004;306:1954-1957



Commento di Renato Rossi

Mentre i benefici dell'aspirina in prevenzione secondaria sono ben stabiliti, sia negli uomini che nelle donne, il suo uso in prevenzione primaria è ancora oggetto di dibattito, soprattutto nel sesso femminile. Nonostante questo le recenti linee guida dell'AHA consigliano di prendere in considerazione l'aspirina anche nelle donne anziane a basso rischio. Sono già state espresse alcune riserve su questa strategia [1] perchè in uno studio randomizzato e controllato in cui donne sane avevano assunto aspirina a basse dosi oppure placebo a giorni alterni non si è riusciti a dimostrare una riduzione dell'end-point primario [2]. L'analisi per sottogruppi evidenziava una riduzione dell'ictus nelle donne con più di 65 anni, ma il dato dovrebbe essere interpretato più come un'ipotesi da convalidare che come un fatto acquisito. Anche se sempre più spesso in letteratura si esasperano i risultati derivanti da analisi per sottogruppi si deve sempre considerare che questi potrebbero essere pesantemente condizionati dalla casualità.
Come si spiega la differenza eclatante fra lo studio randomizzato di Ridker e coll. ed i dati derivanti dal Nurses' Health Study? Una spiegazione potrebbe essere che il secondo ha seguito le donne arruolate per un periodo lunghissimo e solo in tal modo è stato possibile evidenziare un beneficio sulla mortalità. Non dimentichiamo però che anche lo studio randomizzato aveva un follow-up molto lungo (10 anni) ed erano arruolate quasi 40.000 donne. Ma va soprattutto considerato che il Nurses' Health Study ha un disegno di tipo osservazionale ed è possibile che alcuni bias lo abbiano influenzato. Anzitutto è possibile vi possa essere stato un bias di selezione. In altre parole non si può escludere che le donne che assumevano aspirina fossero anche quelle più sane e con comportamenti dello stile di vita più appropriati: si tratta di un bias confondente che non si può essere certi di aver corretto nonostante qualsiasi sforzo abbiano fatto gli autori per attenuarne l'impatto. Non essendoci stata una suddivisione randomizzata tra le donne che assumevano aspirina e quelle che non la assumevano i due gruppi potrebbero non essere effettivamente simili. Vi è poi un altro possibile bias legato al fatto che l'uso dell'aspirina era autoriferito dalle donne ogni due anni compilando un questionario ed è noto quanto spesso i pazienti siano non del tutto affidabili nelle loro risposte (bias dei ricordi). Non è inutile ricordare che sempre lo studio delle Infermiere aveva portato la comunità scientifica a considerare quasi acquisito l'effetto benefico della terapia ormonale sostitutiva sull'apparato cardiovascolare, salvo una clamorosa retromarcia quando arrivarono i dati degli studi randomizzati.
La conclusione è sempre la solita: i risultati degli studi osservazionali dovrebbero essere considerati accettabili solo se confermati da RCT.


Bibliografia

1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=3174
2. Ridker PM et al. A randomized trial of low-dose aspirin in the
primary prevention of cardiovascular disease in women. N Engl J Med. 2005; 352:1293-1304.





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