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Smettere di fumare riduce la mortalità nei cardiopatici?
Inserito il 21 febbraio 2008 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Un piccolo studio dimostra che nei pazienti cardiopatici la cessazione del fumo riduce la mortalità meglio di qualsiasi intervento farmacologico.


In questo studio sono stati arruolati 209 pazienti ricoverati per sindrome coronarica acuta o scompenso cardiaco, tutti erano fumatori da almeno 5 anni. Subito prima della dimissione i pazienti sono stati sottoposti ad una seduta di 30 minuti dove veniva insegnato loro come smettere di fumare e venivano consegnate due guide di self-help. Inoltre 109 sono stati arruolati in un programma di cessazione del fumo mentre i rimanenti continuavano le terapie usuali. I pazienti randomizzati al programma di cessazione del fumo incontrarono un esperto per almeno un'ora alla settimana per almeno 3 mesi e quelli che riprendevano a fumare potevano scegliere di sottoporsi ad ulteriori sedute. Nel 75% dei casi inoltre i pazienti assusero farmaci per smettere di fumare (nicotina da sola o in associazione a bupropione). I pazienti sono stati seguiti regolarmente per due anni e ad ogni visita veniva misurata la concentrazione di monossido di carbonio nell'espirio. A due anni avevano smesso di fumare il 33% del gruppo randomizzato al programma di cessazione del fumo e il 9% del gruppo controllo. Nel gruppo intervento si registrò anche un minor numero di ricoveri (23% vs 41%; RR 0,56 con IC95%0,37-0,84) e un minor numero di decessi (3/109 vs 12/100; RR 0,23 con IC95% 0,07-0,73).
Secondo gli autori il loro programma eviterebbe un decesso ogni 11 pazienti trattati.


Fonte:

Mohiuddin et al. Intensive smoking cessation intervention reduces mortality in high-risk smokers with cardiovascular disease. Chest 2007;131:446-52



Commento di Renato Rossi

Lo studio è importante non tanto per la casistica quanto perchè suggerisce che tre mesi di un programma intensivo per smettere di fumare è in grado di ridurre la mortalità a due anni in pazienti cardiopatici più di qualsiasi altro tipo di intervento farmacologico. Secondo gli autori si tratta del primo studio che dimostra che programmi del genere sono in grado di salvare delle vite. Rimane da stabilire se trattamenti così intensivi di cessazione del fumo possano trovare applicazione nella pratica clinica di tutti i giorni e se questi risultati siano validi anche per pazienti non cardiopatici. In ogni caso un altro buon motivo per i medici per insistere affinchè i loro pazienti abbandonino l'abitudine tabagica. Vi è da notare tuttavia che si tratta di un intervento difficile: ben due su tre pazienti sottoposti al programma intensivo,a due anni, continuavano a fumare.



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