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Nel ricco Veneto pochi obiettori, lunghe attese ma poche IVG |
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Inserito il 24 aprile 2008 da admin. - ostetricia - segnala a:
Un reportage sull'applicazione della 194 a trent'anni dalla sua approvazione indaga sulla situazione del Veneto, dove nessuna struttura sanitaria convenzionata pratica igv e l'80,5% dei medici ginecologi si dichiara obiettore; ma sono aspetti negativi?
In Veneto si abortisce meno che nel resto d´Italia: come mai? Ciò non dipenderebbe da una maggiore conoscenza dei metodi anticoncezionali né da una più alta propensione alla maternità, sarebbe solo più difficile. In Veneto i ginecologi obiettori di coscienza sono l´80,5%, in crescita. La regione è al secondo posto in Italia per obiezione dopo la Basilicata. In molti ospedali c´è un solo medico che pratica ivg, in alcuni nessuno e per rispettare la legge viene chiamato un professionista pagato a prestazione. Nessuna delle moltissime strutture sanitarie private convenzionate pratica questo tipo di intervento ed i tempi di attesa fra certificazione e intervento sono lunghi: il 34, 8 per cento delle donne che ha ottenuto l´attestazione necessaria ad abortire deve aspettare in media più di tre settimane. Di conseguenza Il Veneto è la regione con la media più alta in Italia di aborti praticati in età gestazionale in scadenza del limite (a ridosso della tredicesima settimana): circostanza che comporterebbe, senza contare il danno psicologico per le donne, un prolungamento medio dei tempi di ricovero, una più alta percentuale di complicazioni post-operatorie e quindi un costo maggiore per la collettività. Tutto ciò determina una migrazione abortiva per cui tredici donne venete su cento vanno ad abortire in Emilia, a Trento, a Bolzano.
Fonte: Concita De Gregorio; La Repubblica
Commento di Luca Puccetti
Per come è scritto l'articolo ovviamente, data l'estrazione culturale del giornale che lo ha pubblicato sembra che la situazione in Veneto costituisca un intollerabile attentato ad un diritto garantito dalla legge e che le donne che praticano la IVG subiscono maggiori complicanze e che la collettività debba pagare un alto prezzo per i relativi costi assistenziali. Andiamo a verificare. Tutti o quasi, a parole, giustificano l'aborto come un male minore rispetto a qualcosa di altro, fatte salve le posizioni estreme dei fautori della libertà di scelta assoluta della donna che, per alcuni "bioeticisti", dovrebbe essere garantita anche dopo la nascita. Esaminiamo i dati ufficiali: Il Veneto, in base all'ultima relazione dell'ottobre 2004 del ministro della Salute sull’applicazione della legge 194/78, ha un tasso di abortività di 6,1 contro una media nazionale del 9,7. In effetti alcune regioni confinanti hanno tassi relativamente più elevati di immigrazione di donne che praticano l'IVG, infatti dai dati del 2002 si osserva una percentuale di immigrazione del 40% nella Provincia autonoma di Trento, del 12% in Friuli Venezia Giulia e del 11% in Emilia Romagna, con una frequenza di IVG praticate fuori delle province venete del 20%. Considerando la mobilità provinciale, la stima di un 13% di donne venete che emigrino fuori regione appare dunque corretta e conseguentemente il tasso di abortività del Veneto corretto per la mobilità transregionale salirebbe al 6,6. Anche con un 13% circa di emigrazione fuori regione, che si distribuisce prevalentemente a Trento, il tasso di abortività nel Veneto rimane comunque molto inferiore a quello di regioni viciniori come l'Emilia (12,4) il Trentino (10,9) e la Lombardia (10,5) anche quando siano "depurate" dalle immigrazioni delle donne venete. Il tempo di attesa tra certificazione ed intervento è in effetti più lungo in Veneto che in altre regioni, con una percentuale di attesa tra 22-28 giorni pari al 20% delle donne che chiedono l'IVG, contro la media nazionale del 10,4%. L' età gestazionale in cui viene compiuta l'IVG in Veneto è mediamente più avanzata rispetto a quella media nazionale ed a quella delle altre regioni del Centro nord, in particolare le IVG tra la tredicesima e la quindicesima settimana sono il 5,5% contro una media nazionale dello 0,8%, ma questo non si riflette in una più lunga degenza e neppure in un maggior tasso di complicanze, al contrario di quanto asserito nell'articolo.
L'articolo 1 della legge 194/78 recita:
Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L'interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite
Allora se per la legge italiana l'aborto non è un mezzo di controllo delle nascite e trova una giustificazione sociale solo per evitare situazioni e conseguenze ancor peggiori in base al giudizio della madre, non è poi così negativo creare le condizioni socioculturali ed ambientali per un'approfondita e seria riflessione su quanto sta per compiersi.
All'articolo 5 la legge 194/78 infatti recita
Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall'incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto.
Un invito alla riflessione è chiaramente esplicitato nella suddetta legge sempre all'articolo 5
Quando il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, riscontra l'esistenza di condizioni tali da rendere urgente l'intervento, rilascia immediatamente alla donna un certificato attestante l'urgenza. Con tale certificato la donna stessa può presentarsi ad una delle sedi autorizzate a praticare la interruzione della gravidanza. Se non viene riscontrato il caso di urgenza, al termine dell'incontro il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, di fronte alla richiesta della donna di interrompere la gravidanza sulla base delle circostanze di cui all'articolo 4, le rilascia copia di un documento, firmato anche dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e l'avvenuta richiesta, e la invita a soprassedere per sette giorni. Trascorsi i sette giorni, la donna puo’ presentarsi, per ottenere la interruzione della gravidanza, sulla base del documento rilasciatole ai sensi del presente comma, presso una delle sedi autorizzate.
Certamente entrano in gioco anche valenze tradizionali e culturali, ma anche il clima che si respira nella regione Veneto su questo tema e l'organizzazione dei servizi all'uopo preposti contribuisce verosimilmente ad indurre le donne in procinto di abortire ad una riflessione seria sull'importanza della decisione che stanno per prendere e non è escluso che ciò possa far ripensare alcune donne su decisioni sempre comunque difficili.
Referenze
1) http://www.pillole.org/public/aspnuke/downloads.asp?id=258
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