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SIF: scarse evidenze per le medicine complementari
Inserito il 17 giugno 2008 da admin. - scienze_varie - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Il punto di vista della Società Italiana di farmacologia sulla proposta di legge riguardanti le medicine complementari.

Come risulta dagli organi di stampa, in questi ultimi tempi in Italia il dibattito sulle cosiddette Medicine non Convenzionali (chiamate in altri paesi Medicine Complementari e/o Alternative) si è fatto più serrato tanto da indurre, a quanto sembra, il sottosegretario alla salute Giampaolo Patta ad assicurare il suo impegno a costituire un tavolo presso il Ministero della Salute per definire la posizione del Governo sui ddl riguardanti le medicine complementari e l’esercizio delle professioni sanitarie non convenzionali. “Ci sono tutti i presupposti – ha dichiarato Patta - perché vi sia un intervento definitivo con una legge nazionale su questo argomento.” Questa notizia è stata riportata dall’agenzia ANSA il 26 ottobre scorso.
La Società Italiana di Farmacologia desidera portare un contributo al dibattito mettendo a conoscenza dei cittadini e delle autorità deputate a legiferare la propria posizione.
L’analisi della proposta di legge n. 1708 (d’iniziativa dei deputati Pellegrino e Zanella), che con ogni probabilità rappresenterà un canovaccio di una eventuale legge sulle medicine non convenzionali, suggerisce alcune considerazioni.
La parte introduttiva della proposta di legge recita testualmente “In Europa, nella risoluzione n. 400 del maggio 1997, il Parlamento europeo ha evidenziato la necessità di garantire ai cittadini la più ampia libertà possibile di scelta terapeutica, assicurando loro anche il più elevato livello di sicurezza e l'informazione più corretta sull'innocuità, la qualità, l'efficacia di tali medicinali”. Come viene ricordato nella proposta la risoluzione invita gli stati membri a “dare informazioni sulle medicine complementari suggerendo che la preparazione dei laureati in medicina e chirurgia comprenda anche una iniziazione a talune discipline non convenzionali”.
La risoluzione in questione si ispira al lavoro di una commissione del Parlamento Europeo incaricata di stilare un documento sulle medicine non convenzionali. Essa invita ad iniziare un processo di riconoscimento delle medicine non convenzionali a partire dalla valutazione della loro efficacia e della sicurezza derivante dal loro uso, ma anche a sviluppare un progetto che possa mettere a confronto i modelli adottati a livello dei vari paesi europei. Altra raccomandazione è quella di operare una chiara distinzione tra le medicine non-convenzionali che possono considerarsi complementari e quelle alternative in quanto utilizzate in sostituzione della medicina convenzionale. La stessa risoluzione, articolata in più punti, raccomanda infine di incoraggiare maggiormente gli studi nel campo della medicina non-convenzionale.
Un’altra risoluzione, questa volta del Consiglio d’Europa, menzionata dagli estensori della proposta di legge è la n. 1206 del 4 novembre 1999. Essa riconosce la preminenza della medicina convenzionale, ma afferma la necessità di un riconoscimento delle principali medicine complementari. Tuttavia, una parte importante di questa più recente risoluzione non viene citata nella proposta di legge. Nella risoluzione è scritto testualmente “l’Assemblea (il Consiglio d’Europa) è d’accordo sul fatto che nell’attuale area grigia della medicina non-convenzionale è necessario dividere il buono dal cattivo. La richiesta di salute pubblica e il diritto alla salute devono essere prioritari. I limiti delle medicine non convenzionali non devono essere ignorati o sottostimati. Pratiche dubbie o che possano danneggiare le persone ed in particolare i bambini non devono essere supportate”.

Che cosa si chiede con la proposta di legge?
La proposta di legge si compone di undici articoli. Il nostro commento riguarda solo alcuni di essi poiché riteniamo che siano quelli sui quali si può intavolare una discussione.
Articolo 1 della proposta di legge. La Repubblica garantisce il principio della libertà di scelta terapeutica del paziente e la libertà di cura del medico, in adesione ai principi del codice di deontologia medica e nel rispetto dell’articolo 32 della Costituzione, e tutela e promuove l’esercizio delle medicine complementari all’interno di un libero rapporto consensuale e informato tra gli utenti, i medici e tutti gli operatori di cui alla presente legge.
Il principio della libertà di scelta terapeutica non crediamo sia in discussione nel nostro paese. Chiunque può scegliere di farsi curare da medici che adottano metodi di cura cosiddetti non convenzionali (omeopatia, agopuntura, etc). Così dicasi per i medici, liberi di adottare gli approcci terapeutici che credono più idonei salvo che essi non producano danno o mettano a rischio il cittadino.
La tutela e la promozione da parte dello Stato deve a nostro avviso limitarsi a quelle forme di terapia che si dimostrino essere efficaci e sicure, le sole per le quali la autorità regolatoria possa proporsi come garante nei confronti della salute del cittadino.

Con l'articolo 2, si richiede l’istituzione della qualifica di esperto nelle medicine complementari salvo poi a restringere questo ambito a sole quattro forme di terapia quali l'agopuntura e la farmacoterapia tradizionale cinese, la medicina omeopatica (nei suoi diversi indirizzi) e la fitoterapia.
Su quali basi sono state scelte queste e non altre forme di terapia tra le varie presenti nel circuito complementare e/o alternativo? Questo non viene chiarito dalla proposta. Bisognerebbe quantomeno stabilire i criteri grazie ai quali vale la pena istituire la qualifica di esperto per una forma di terapia medica complementare e non per un’altra (osteopatia, chiropratica, etc).
Proponiamo un criterio universalmente accettato, la validità scientifica di un metodo terapeutico.
Gli strumenti che la comunità scientifica ha universalmente identificato essere i più validi tra quelli a disposizione dei medici per capire se una forma di terapia sia efficace o meno, sono gli studi clinici.
Sia l’agopuntura che l’omeopatia sono pratiche mediche diffuse in tutto il mondo. Esiste una quantità sufficiente di dati clinici per non liquidare l’agopuntura come una forma di terapia non efficace. Tuttavia, alcuni degli studi clinici mostrano una efficacia moderata, come nel caso delle patologie infiammatorie croniche.
Per quanto riguarda l’omeopatia, la forza delle evidenze che scaturisce dagli studi pubblicati è bassa e, trattandosi in ogni caso di una forma di terapia abbastanza diffusa e anche molto pubblicizzata (televisione, riviste), la scarsa qualità metodologica riscontrata nella conduzione degli studi clinici non è certo una attenuante. Inoltre, i pochi studi condotti con i più alti standard di qualità (randomizzazione, placebo, doppio cieco) riportano in genere risultati negativi.
La fitoterapia, tra le forme di terapia per le quali si invoca una qualifica di esperto, è quella che i medici in Italia da alcuni anni praticano forse in silenzio ma con più familiarità. Anche in questo caso le prove di efficacia non sono sempre entusiasmanti e se utilizzata da medici troppo disinvolti può procurare qualche guaio ai pazienti (interazioni con i farmaci, tossicità intrinseca delle piante). La stretta parentela con i farmaci convenzionali rende questo tipo di approccio più semplice.
Inoltre, è stata emanata una Direttiva Europea (la 24/EC del 2004) che dovrebbe portare entro il 2011 alla istituzione della categoria dei medicinali vegetali, per i quali sarà prevista la registrazione, come succede per i farmaci. La istituzione di una regolamentazione delle erbe medicinali le renderà uno strumento terapeutico magari non più efficace ma certamente più sicuro.
Infine la farmacoterapia tradizionale cinese. Le banche dati più utilizzate ed accessibili ai medici quali PubMed e Medline contengono attualmente solo limitatissime informazioni su di essa. Inoltre circa la metà dei già pochissimi studi sono pubblicati in cinese. Si tratta quindi di una carenza aggravata dalle difficoltà dovute alla lingua.

Per ultimo la proposta di legge chiede, con gli articoli 9, 10 e 11, l’istituzione di un fondo denominato «Fondo nazionale per la ricerca e la promozione delle medicine complementari».
Nutriamo profondo rispetto per tutti quei professionisti che credono nella loro buona pratica medica sia essa convenzionale che non convenzionale e siamo tra quelli che credono che la valutazione della efficacia e della sicurezza non debba essere condizionata da preconcetti. Per questo motivo riteniamo che laddove si palesi che forme terapeutiche di qualsiasi tipo possono essere in grado di curare malattie che affliggono l’uomo corre l’obbligo di supportarne la ricerca.
Tuttavia, è bene considerare che stiamo dibattendo di ambiti o forme terapeutiche che, nonostante siano praticate da tempo e in maniera diffusa, a tutt’oggi non hanno ottenuto risultati significativi nella storia della medicina. In tempi in cui sia l’assistenza clinica che la ricerca soffrono di mancanza di risorse siamo quindi sicuramente perplessi di fronte a leggi che forniscano certificati e crediti istituzionali solo in virtù della militanza in campi alternativi.

In conclusione ricordiamo le parole dell’Assemblea del Consiglio d’Europa (risoluzione n. 1206 del 4 novembre 1999) “…….. nell’attuale area grigia della medicina non-convenzionale è necessario dividere il buono dal cattivo. La richiesta di salute pubblica e il diritto alla salute devono essere prioritari. I limiti delle medicine non convenzionali non devono essere ignorati o sottostimati. Pratiche dubbie o che possano danneggiare le persone ed in particolare i bambini non devono essere supportate”.

Fonte: Società Italiana di Farmacologia

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