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Diclofenac e rischio di infarto acuto del miocardio
Inserito il 19 luglio 2008 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Il determinante critico nella correlazione tra diclofenac ed infarto acuto del miocardio è rappresentato dalla dose cumulativa piuttosto che dal tempo di esposizione. Lo stesso rischio non sembra aumentare per coloro che assumono ibuprofene e naprossene.

Il rischio cardiovascolare associato all'uso di inibitori selettivi della COX-2 (rofecoxib e celecoxib) è stato oggetto di un ampio dibattito. Tuttavia, da uno studio recente (Jick H et al. Pharmacotherapy 2006; 26: 1379–87) condotto su alcuni farmaci antinfiammatori non steroidei tradizionali (FANS) e sui coxib, è emerso che l’uso prolungato di diclofenac è correlato ad un incremento del rischio di infarto acuto del miocardio simile a quello associato ai COX-2 inibitori. In precedenza, altri studi simili avevano preso in considerazione l’uso occasionale del diclofenac, documentando soltanto una modesta incidenza di infarto acuto del miocardio.

L’esposizione a lungo termine al diclofenac ha mostrato un significativo incremento del rischio di infarto acuto del miocardio simile a quello osservato con alcuni coxib come rofecoxib e celecoxib.
Infatti, i risultati di un recente studio (Jick H et al. Pharmacotherapy 2006; 26: 1379–87), condotto su alcuni farmaci antinfiammatori non steroidei tradizionali (FANS) e su inibitori selettivi della COX-2, hanno evidenziato che l’uso prolungato di diclofenac è correlato ad un incremento del rischio di infarto acuto del miocardio simile a quello associato a rofecoxib e celecoxib. Altri studi, condotti per valutare tale rischio, avevano preso in considerazione l’uso occasionale del diclofenac, documentando soltanto una modesta incidenza di danno cardiaco.
Alla luce di tali evidenze, è stato disegnato uno studio teso a stimare il rischio di infarto acuto del miocardio in pazienti che non avevano manifestato in precedenza rilevanti fattori clinici di rischio per tale patologia, esposti a lungo termine (>10 mesi) ad alcuni tra i FANS maggiormente prescritti (diclofenac, ibuprofene e naprossene), i quali non avevano manifestato in precedenza rilevanti fattori clinici di rischio per tale patologia.

Lo studio è stato realizzato sui dati del General Practice Research Database, un database del Regno Unito di cui sono state ampiamente confermate integrità e validità delle registrazioni. Gli autori hanno raccolto i dati dei pazienti, che avevano ricevuto una prima somministrazione di diclofenac, ibuprofene e naprossene tra il 1 gennaio 1993 e dicembre 2000, raggruppandoli in tre separati studi caso-controllo, ciascuno focalizzato su un farmaco. Successivamente, tra i pazienti selezionati sono stati identificati quelli con infarto acuto del miocardio registrati nello stesso intervallo di tempo; sono stati, invece, esclusi i pazienti con una pregressa storia di ischemia cardiaca, diabete, ipertensione e cancro.
Il Rischio Relativo (RR) stimato per infarto acuto del miocardio in pazienti, senza importanti fattori clinici di rischio, è stato determinato per ogni antinfiammatorio secondo il numero di prescrizioni ricevute rispetto ad una singola prescrizione.

I risultati dello studio hanno evidenziato che l’uso prolungato di diclofenac incrementa il rischio di infarto acuto del miocardio in pazienti senza rilevanti fattori di rischio (per 10-19 prescrizioni il RR è risultato 1,9; 95% CI 1,3-2,7). Non sono state rilevate, invece, evidenze significative di incremento del rischio di infarto del miocardio fra gli utilizzatori di ibuprofene (per 10-19 prescrizioni si stima un RR 1,0; CI 95%0,6-1,6) e naprossene (per 10-19 prescrizioni RR=1,0; CI 95% 0,5-2,2).
Non può essere esclusa, tuttavia, la possibilità di un incremento del rischio per ibuprofene e naprossene, particolarmente a dosi più elevate (con più di 20 prescrizioni si sono registrati rispettivamente RR 1,7; 95% CI 0,9-3,1 e RR 2,0; 95% CI 0,9-4,5). Tuttavia, un limite in questa valutazione è rappresentato dai pochi dati sull’uso a lungo termine di questi ultimi due antinfiammatori rispetto al diclofenac.
Inoltre, lo studio ha evidenziato un aumento del 5% del rischio di infarto del miocardio per ogni incremento di 10000 mg di dose cumulativa per il diclofenac, ma non per gli altri FANS studiati.

Una differenza notevole tra questo studio osservazionale e quelli pubblicati precedentemente, è che gli autori hanno considerato l’esposizione a lungo termine al farmaco (>10 mesi) piuttosto che l’uso occasionale. Nel controllo dei dati, infatti, si è osservato che soltanto il 30% dei casi era esposto occasionalmente all’inizio dello studio. Pertanto, se gli autori avessero considerato solo l’uso occasionale, si sarebbe perso il 70% dei dati disponibili per queste valutazioni.

Gli autori mettono in risalto che le evidenze di tale studio potrebbero avere un forte impatto sulla salute pubblica, in virtù del fatto che il diclofenac è uno dei maggiori FANS utilizzati (circa 15 milioni di pazienti nel Regno Unito negli ultimi 20 anni e 5 milioni negli Stati Uniti negli ultimi 5 anni).

In conclusione, da tale studio si evince che il determinante critico nella correlazione tra diclofenac ed infarto acuto del miocardio è rappresentato dalla dose cumulativa piuttosto che dal tempo di esposizione. Lo stesso rischio non sembra aumentare per coloro che assumono ibuprofene e naprossene.


Riferimento bibliografico
Jick SA et al. Diclofenac and acute myocardial infarction in patients with no major risk factor. Br J Clin Pharmacol 2007; 64: 662-7.

Dottoressa Carmen Ferrajolo


Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/


Commento di Luca Puccetti

Lo studio è destinato a riaccendere le polemiche circa l'opportunità di scegliere il Diclofenac per la comparazione con Etoricoxib nel programma MEDAL. Lo studio è retrospettivo e dunque ha tutti i problemi insiti in questo tipo di analisi. Gli Autori tendono a controllare per una serie di possibili confiunders, ma è impossibile prevederli tutti. Si pensi ad esempio al possibile diverso uso di ASA, alla possibile interazione con farmaci antidepressivi che aumentao molto il rischio. Dato che lo studio è retrospettivo la manzanza di randomizzazione espone alla possibilità che ad esempio ci sia uno sbilanciamento nei casi con particolari isoenzimi del Citocromo che possono aumentare anche di un fattore 10 il rischio. Inoltre i dati relativi ai FANS di confronto sono molto esigui per quanto riguarda l'esposizione a lungo termine. Il Diclofenac è inoltr farmaco potente e potrebbe aver indotto un bias di arruolamento essendo stato prescritto a pazienti più gravi e quindio più proni a complicanze ischeimiche.

L'EMEA nel suo statement del 24/10/2006 si è espressa nel seguente modo:
1) In base ai risultati di studi clinici ( tra cui il MEDAL clinical trial programme, che compara etoricoxib e diclofenac, APPROVe, APC5 e PreSAP) il diclofenac, alla dose di 150 mg/die, e l'ibuprofene, alla dose di 2400 mg die, sono associati con un aumento del rischio di eventi trombotici maggiori, quali ictus ed infarti.
2) In base ai risultati di studi epidemiologici ibuprofene, a dosi inferiori a 1200 mg/die, non presenterebbe un aumento del rischio trombotico.
3) Dati sia clinici che epidemiologici supportano che l'impiego di Naprossene alla dose di 1000 mg/die sia associato ad un più bssso tasso di eventi trombotici rispetto ai coxib, ma un piccolo rischio non può essere escluso e non ci sono dati che ne supportino un effetto cardioprotettivo.
4) Per tutti gli altri antinfiammatori non steroidei non cox selettivi mancano dati e dunque un aumento del rischio trombotico non può essere escluso.

Insomma la migliore evidenza tra il rischio di un FANS tradizionali rispetto al placebo ci viene probabilmente dallo studio ADAPT che doveva valutare la capacità dei farmaci antinfiammatori non steroidei di ridurre il rischio di morbo di Azheimer, ma era stato interrotto anticipatamente nel 2004. Nel trial, che doveva durare tre anni, erano stati arruolati circa 2500 pazienti randomizzati a placebo, naproxene o celecoxib. Lo studio è stato interrotto a scopo precauzionale a causa delle notizie apparse a suo tempo sui coxib e questo ne limita l'utilità per valutare il rischio per esposizioni prolungate. L'analisi ad interim dei dati aveva mostrato che era il naproxene ad essere associato ad un aumento del rischio di eventi cardiovascolari rispetto al placebo, mentre tale problema non risultava per il celecoxib. Ci pare di conludere che al momento non ci sono dati cosnistenti che facciano presupporre per il diclofenac un rischio cardiovascolare diverso rispetto a quelli di altri FANS per esposizioni prolungate.

Referenze

1) Lancet 2006; 368: 1771-1781.
2) 1. ADAPT Research Group (2006) Cardiovascular and cerebrovascular events in the randomized, controlled Alzheimer's Disease Anti-inflammatory Prevention Trial (ADAPT). PLoS Clin Trials 1(7): e33. doi:10.1371/journal.pctr.0010033

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