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Ru 486: la procura verso la richiesta di rinvio a giudizio per alcuni medici torinesi
Inserito il 20 febbraio 2008 da admin. - professione - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

La Procura si preparerebbe a chiedere il rinvio a giudizio peralcuni medici torinesi, accusati di aver violato il protocollo sulla sperimentazione dell'aborto farmacologico.

Secondo quanto riportato da alcuni quotidiani la Procura della Repubblica si preparerebbere a richiedere il rinvio a giudizio per alcuni medici di Torino che avrebbero concesso alle pazienti partecipanti alla sperimentazione della Ru486 di uscire tra una somministrazione e l'altra del farmaco abortivo quando le indicazioni ministeriali lo vietavano. Il principio su cui si basa l´accusa è che l´aborto, secondo la legge, deve avvenire tra le mura dell'ospedale.

I reati ipotizzati sarebbero quelli di falso ideologico, violazione della legge sull'interruzione di gravidanza e tentata truffa ai danni della Regione.

Sulle schede delle pazienti che venivano dimesse non risulterebbero i permessi di uscita dall'ospedale. In questo modo sarebbe stato procurato un ingiusto profitto all'ospedale, e di conseguenza, consumato un tentativo di truffa ai danni della Regione che, basandosi sulle schede, avrebbe potuto pagare il rimborso per inesistenti ricoveri. Il ricovero ordinario infatti prevede un rimborso di 725 euro al giorno, mentre il day hospital la metà.

Fonte : La Repubblica pag. 12

Commento di Luca Puccetti

Quello che avevamo più volte paventato si è puntualmente avverato. Secondo l'ipotesi accusatoria della Procura di Torino, la pratica abortiva deve avvenire interamente in ospedale. Poiché l'aborto in seguito ad assunzione di Ru486 può avvenire anche giorni dopo la somministrazione delle pillole abortive, le donne avrebbero dovuto rimanere ricoverate fino alla completa espulsione. Questo per la legge 194. Ma oltre a ciò c'è una considerazione ben più grave. A seguito della somministrazione della RU486 sono state segnalati casi mortali e comunque un'elevata percentuale di emorragie, per cui, specialmente nel contesto di una sperimentazione in cui è imperativo etico garantire la massima tutela ai pazienti che assumono un farmaco "sperimentale", si sarebbe dovuto mantenere le donne ricoverate non solo fino all'espulsione, ma anche fino alla risoluzione delle possibili complicanze, proprio per ridurre i rischi al minimo.

Riteniamo che dopo l'intervento della procura, sia doveroso l'interesse anche dell'Ordine dei Medici territorialmente competente, che dovrebbe valutare se il comportamento dei sanitari in questione, sia stato improntato al rispetto delle norme etiche e deontologiche che sottengono alla sperimentazione clinica ed al consenso informato. Sarebbe infatti assai interessante appurare se le donne dimesse, siano state correttamente informate dei rischi connessi con l'abbandono del nosocomio e se abbiano dato a questo scopo un consenso informato pienamente consapevole e dunque valido a tutti gli effetti.

Le motivazioni del non aver mantenuto le donne ricoverate per tutto il tempo necessario all'aborto risiedono, verosimilmente, anche nel voler dimostrare che con la RU486 l'aborto sarebbe costato meno, cosa che sarebbe stata impossibile in caso di ricovero prolungato.

Nel caso l'ipotesi accusatoria fosse confermata tutta la sperimentazione verrebbe inficiata per violazione del protocollo sperimentale.

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