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Relazione tra glicemia a digiuno e retinopatia |
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Inserito il 01 ottobre 2008 da admin. - metabolismo - segnala a:
Un'analisi di tre studi osservazionali suggerisce che la soglia glicemica attualmente usata per la diagnosi di diabete non è molto affidabile nell'identificare pazienti con retinopatia.
Gli autori di questa analisi hanno voluto valutare la relazione che esite tra i valori della glicemia a digiuno e la presenza di retinopatia basandosi sui risultati di tre studi osservazionali, il Blue Mountains Eye Study (Australia, n=3162), l'Australian Diabetes, Obesity and Lifestyle Study (Australia, n=2182), e il Multi-Ethnic Study of Atherosclerosis (USA, n=6079). La prevalenza di retinopatia risulò essere dell'11,5% nel primo studio, del 9,6% nel secondo e del 15,8% nel terzo. Tuttavia non è stato possibile trovare una soglia glicemica uniforme per determinare prevalenza e incidenza di retinopatia perchè l'analisi suggeriva una relazione continua. Usando il cut-off raccomandato dall'American Diabetes Association (glicemia a diugiuno > 125 mg/dL) la sensibilità del test risultò inferiore al 40% e la specificità compresa tra l'80,8% e il 95,5%. L'area sotto la curva ROC era piccola e andava da 0,56 a 0,61. Gli autori concludono che gli attuali criteri usati per la diagnosi di diabete non identificano accuratamente soggetti con/senza retinopatia per cui andrebbero rivalutati.
Fonte:
Wong TY et al. Relation between fasting glucose and retinopathy for diagnosis of diabetes: three population-based cross-sectional studies. Lancet 2008 Mar 1; 371.736-743.
Commento di Renato Rossi
Secondo i risultati di questa analisi circa il 60% dei soggetti formalmente affetti da retinopatia diabetica non rispondono ai criteri ADA e d'altra parte dal 5% al 20% circa dei soggetti senza retinopatia hanno una glicemia superiore a 125 mg/dL in più di due occasioni. Gli autori quindi propongono, non tanto velatamente, di cambiare i criteri diagnostici oggi usati per il diabete. Ma quali? Essi non ce lo dicono. Abbassare ancora la soglia? Se è vero che questo aumenterebbe la sensibilità del test per retinopatia porterebbe anche ad una perdita di specificità ulteriore per cui molti soggetti riceverebbero la diagnosi di diabete senza avere una retinopatia. Fino al 1997 per la diagnosi valevano i criteri stabiliti dal National Diabetes Data Group (NDDG) che si basavano sul riscontro, in almeno due occasioni, di glicemia a digiuno superiore o uguale a 140 mg/dL oppure di glicemia superiore a 200 mg/dL con associati sintomi tipici di diabete, mentre per valori compresi tra 110 e 140 mg/dL si doveva eseguire una curva da carico (OGTT). Nel 1997 l'ADA cambiò i criteri diagnostici: per la diagnosi bastavano due glicemie a digiuno superiori a 125 mg/dL. I motivi che hanno spinto alla revisione dei criteri diagnostici sono essenzialmente tre: 1) vi è una buona correlazione tra glicemie a digiuno >= 126 mg/dL e glicemie a 2 ore dopo OGTT >= 200 mg/dL 2) la retinopatia diabetica, per valori superiori a 125 mg/dL, aumenta progressivamente di incidenza 3) la diagnosi di diabete viene facilitata non richiedendo più l'esecuzione di un test complesso come la curva da carico, che in realtà veniva poco richiesto nella medicina di base e che può dare anche risultati poco riproducibili. Tuttavia alcuni gruppi hanno da subito messo in dubbio questi criteri esprimendo forti perplessità sia perché probabilmente, con la riduzione della soglia glicemica, si avrà un aumento delle diagnosi, sia perché c'è il rischio di porre l'etichetta di diabetico a soggetti che magari non lo sono con i criteri precedenti, con tutte le conseguenze del caso, ma soprattutto perché questi criteri sarebbero meno efficaci nell'identificare persone con aumentato rischio di morte o di eventi cardiovascolari [1,2,3]. In altre parole è probabile che i due diversi criteri identifichino soggetti diversi. In effetti è pratica di tutti i giorni trovare pazienti con glicemie in diverse occasioni superiori a 125 mg/dL che non presentano nè retinopatia nè altri segni di complicanze vascolari e che hanno una emoglobina glicata al di sotto del 6% (falsi positivi). D'altra parte è anche possibile che esistano dei falsi negativi, cioè soggetti che hanno per esempio una retinopatia diabetica ma una glicemia a digiuno al di sotto della soglia diagnostica, come suggerisce l'analisi recensita in questa pillola. Ma il rovescio della medaglia di ridurre sempre più le soglie diagnostiche è, come si diceva, la riduzione della specificità del test. Però questa sembra la tendenza inarrestabile della medicina moderna, in omaggio al principio che è preferibile etichettare come malati anche persone che non lo sono purchè non sfugga nessun vero malato. Insomma, si preferisce aumentare la sensibilità riducendo la specificità e non viceversa, ma questo accade anche per altre patologie (colesterolo, pressione arteriosa, etc.), nonostante sempre più spesso si levino da varie parti voci discordanti che mettono in guardia sulla medicalizzazione esasperata. Allora che fare? Come diagnosticare il diabete? Ritornare ai criteri precedenti? In un editoriale di commento allo studio si fa notare che è improbabile che ridurre ulteriormente la soglia diagnostica porti a benefici aggiuntivi in termini di riduzione della morbità e della mortalità da diabete e che sarebbero necessari studi prospettici per valutare la relazione tra varie soglie glicemiche e le complicanze del diabete. Secondo l'editoriale è preferibile usare un approccio misto utilizzando la glicemia a digiuno, combinata però con la presenza di altri fattori di rischio cardiovascolare. Su questa conclusione si può essere sostanzialmente d'accordo. Aggiungiamo di nostro che: 1) una ulteriore riduzione della soglia diagnostica aumenterebbe enormemente il numero dei falsi positivi con conseguenti costi economici in termini di esami, visite, accertamenti strumentali e terapie inutili (l'abbiamo già detto, ma in questi casi non lo si ripete mai abbastanza) 2) il dosaggio della glicomeoglobina può essere un utile strumento che serve a identificare soggetti che superano la soglia diagnostica glicemica, ma che probabilmente non sono diabetici; in questo contesto si può anche richiedere un OGTT per meglio valutare l'equilibrio glicemico del paziente, richiamando in vita un test che si riteneva ormai relegato al passato 3) bisogna valutare il paziente e non il laboratorio, per cui si rende necessaria la ricerca di eventuali danni d'organo (retinopatia, nefropatia, cardiopatia, etc.), oltre che dei fattori di rischio cardiovascolari associati (ipertensione, fumo, ipercolesterolemia, obesità, etc.)
Referenze
1.Gruppo DECODE. BMJ 1998; 317:371 2.Gruppo DECODE. Lancet 1999; 354:617 3.Barzilary JI et al. Lancet 1999; 354:622
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