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Buflomedil nelle arteriopatie periferiche
Inserito il 16 novembre 2008 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Rispetto a placebo buflomedil riduce l'incidenza di un indice composito comprendente outcomes soft, ma non riduce gli eventi in modo significativo.

La vasculopatia periferica ostruttiva è spia di una aterosclerosi diffusa ad altri distretti vascolari, e le complicanze maggiori in questi pazienti sono rappresentate da infarto miocardico e ictus cerebrale di natura ischemica. Pertanto, i pazienti con vasculopatia periferica, a causa dell’alto rischio cardiovascolare, sono normalmente trattati con : aspirina o clopidogrel, ACE-inibitori e statine.
Una diversa classe di farmaci di largo impiego in questa patologia è rappresentata da molecole con proprietà “vasoattive” che, attraverso diversi meccanismi d’azione, riducono la sintomatologia ischemica aumentando la distanza di cammino libera da dolore. Queste includono la pentossifillina, il cilostazolo (gli unici approvati dalla Food and Drug Administration) e varie altre molecole, tra le quali il buflomedil. Questo farmaco è un a1-, a2-adrenolitico approvato in Europa per l’indicazione in questione. Dopo circa 20 anni di ricerca clinica sul buflomedil, la più recente Cochrane Database Systematic Review (de Backer et al, 2008; (1):CD000988) conclude che ci sono pochi datgi per valutare l'efficacia del buflomedil nella claudicatio intermittens.

Lo studio LIMB è stato realizzato per valutare l’impatto di questo farmaco sulle complicanze cardiovasacolari di circa 2.000 pazienti trattati in media per circa $3 anni. Il protocollo prevedeva che altri vasodilatatori fossero interrotti e che i pazienti non in trattamento con farmaci antitrombotici fossero incoraggiati a utilizzare aspirina (75-100 mg/die) o anticoagulanti orali. Il dosaggio di buflomedil doveva essere aggiustato in base alla funzione renale, e compreso tra i 150 e 300 mg bid. L’end-point primario dello studio era rappresentato dalla combinazione di morte per cause cardiovascolari, infarto miocardico non fatale, ictus non fatale, deterioramento sintomatico della vasculopatia periferica (definito con criteri clinici o strumentali, o dalla implementazione di nuove strategie terapeutiche), o amputazione dell’arto.
L’ipotesi primaria era che il buflomedil fosse superiore al placebo nel prevenire questi “eventi cardiovascolari”. Il calcolo della dimensione del campione era basato su queste attese: che l’incidenza di eventi nel gruppo placebo fosse compresa tra il 20 e il 24% a tre anni e che il buflomedil riducesse il rischio di questi eventi del 25%.
Le caratteristiche di base dei 2078 pazienti randomizzati erano: età mediana, 61 anni; soltanto il 15% diabetici; tre su quattro trattati con aspirina, uno su tre trattato con ACE-inibitori e soltanto uno su sei trattato con statine.

Il tasso di eventi cardiovascolari registrati dopo circa 3 anni nel gruppo di controllo è risultato molto più basso dell’atteso: 12,4%. Nonostante tutto ciò, il buflomedil riduceva il rischio di queste complicanze del 26% (rischio relativo, 0,74; intervallo di confidenza al 95%, 0,60-0,92; P= 0,0163). Scomponendo il dato aggregato, emerge che circa la metà dell’apparente beneficio è spiegata dalla riduzione degli “eventi” di deterioramento della vasculopatia periferica. Il tasso annuale dei veri eventi vascolari maggiori (infarto, ictus o morte per cause cardiovascolari) era del 2,4% nel gruppo placebo e del 2,0% nel gruppo buflomedil (una differenza statisticamente non significativa).

Il profilo di tollerabilità del farmaco – come spesso accade in questi casi – è risultato simile a quello del placebo.

Gli autori del lavoro concludono che l’uso del buflomedil dovrebbe essere considerato in aggiunta a un trattamento antiaggregante piastrinico nei pazienti con vasculopatia periferica sintomatica.


Fonte: Circulation 2008; 117:816-822

Commento di Luca Puccetti

Il Professor Carlo Patrono evidenzia una serie di problemi dello studio con critiche condivisibili, in buona sostanza. Prima di tutto l'end points predefinito comprende un insieme di eventi hard e soft e questa eterogeneità è piuttosto scorretta. Il suo disegno e la scelta dell’end-point primario non riflettono le linee guida regolatorie per gli studi clinici della vasculopatia periferica ed è poco verosimile che l’indicazione e la rimborsabilità del buflomedil vengano modificate dai risultati di questo studio Inoltre la percentuale di pazienti ben trattati in base alle evidenze disponibili nel 2002, al tempo dell'arruolamento, è piuttosto bassa.
Adesso passiamo alle ipotesi, osserva giustamente Patrono che la significatività statistica dell'end point primario è stata raggiunta grazie al parametro riduzione degli “eventi” di deterioramento della vasculopatia periferica mentre il tasso annuale dei veri eventi vascolari maggiori non è stato significativamente inferiore nel braccio buflomedil rispetrto a quello placebo. Tuttavia a questa osservazione si potrebbe obiettare che la potenza statistica dello studio è stata tarata sull'end point composito. Pertanto se si fa l'esercizio, legittimo, di andare a verificare l'andamento dei singoli componenti dell'end point composito si deve ammettere anche che un allarmamento della casistica, se l'andamento fosse stato simile a quello osservato nello studio avrebbe potuto rendere "significativo" anche la riduzione degli eventi hard. D'altro canto si può ipotizzare che se i pazienti fossero stati trattati al meglio la frequenza di eventi sarebbe stata ancor più bassa rendendo ancora più difficile evidenziare una differenza significativa tra i due bracci. E' tuttavia interessante notare che nonostante una terapia non certo "aggressiva" in molti pazienti la frequenza di eventi osservati sia stata inferiore a quella attesa. Questo può indurre a valutare al ribasso l'incidenza di eventi in questa categoria di pazienti "depotenziando" il ruolo di spia della claudicatio periferica. Comunque in un editoriale di accompagnamento M.S. Conte (Circulation 2008;117:717-719) conclude che le evidenze disponibili non permettono di includere il buflomedil tra i pochi farmaci clinicamente utili nella arteriopatia periferica degli arti inferiori.

Contributo gentilmente concesso da Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/


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