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Nessun risarcimento se alla mancanza di consenso non consegue danno alla salute
Inserito il 20 dicembre 2008 da admin. - medicina_legale - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Il Tribunale di Milano ha stabilito che se dal mancato consenso informato non consegue una diminuzione o privazione di un valore personale nessun risarcimento possa essere concesso.

Ad una paziente con artrosi di ginocchio era stata prospettata un'artroprotesi e per questo intervento era stato acquisito il consenso. In sede di intervento i medici eseguirono invece un'osteotomia devalgizzante, ma per questo tipo di intervento non era stato acquisito il consenso. L'intervento fu eseguito a regola d'arte ed ovviamente era meno invasivo e più conservativo rispetto all'artroprotesi inizialmente prospettata.

La paziente ha richiesto un risarcimento di un supposto danno perchè i medici non l'avrebbero informata sul cambiamento di intervento avendo eseguito un intervento diverso da quello per il quale aveva dato il suo consenso.

Il Tribunale di Milano ha riaffermato il diritto del paziente alla sua integrità psicofisica, espressione del diritto all'autodeterminazione in ordine a tutte le sfere ed ambiti in cui si svolge la vita dell'uomo,inclusa la consapevole adesione al trattamento sanitario (compresa la facoltà di rifiutare interventi e cure anche salvavita). Il consenso dev'essere frutto di un rapporto reale tra medico e paziente, in cui il sanitario è tenuto a raccogliere un'adesione effettiva e partecipata, non solo formale, all'intervento. L'acquisizione del consenso non è un atto puramente formale e burocratico ma rappresenta la condizione imprescindibile per trasformare un atto normalmente illecito (la violazione dell'integrità psico-fisica) in un atto lecito.

Secondo il Tribunale l'inadempienza dell'obbligo di informazione da parte del medico incide in via diretta sul diritto della paziente all'autodeterminazione in ordine alle scelte che attengono alla propria salute e che la lesione del diritto di autodeterminazione ha una propria autonomia rispetto alla lesione del diritto alla salute, che nella fattispecie non si è verificata giacché intervento è ottimamente riuscito.

In questo caso si trattava dunque di stabilire quale fosse il danno risarcibile sussistendo solo la lesione del diritto di autodeterminazione e non anche alla salute. Il tribunale di Milano ha sentenziato che non è la mancata acquisizione del consenso informato che è di per sé oggetto di risarcimento, ma il danno conseguenziale, secondo i principi di cui all'art. 1223 c.c., danno quindi che deve essere provato dalla paziente. Nel caso di specie in conseguenza dell'intervento cui non era stato dato il consenso informato da parte della paziente non è conseguito alcun pregiudizio alla salute della stessa, ma un miglioramento delle sue condizioni psicofisiche. Pertanto non sussiste in radice la possibilità di ravvisare alcun danno biologico. Poiché è sempre necessaria la prova della sussistenza del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto la diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale) alla quale il risarcimento deve essere commisurato, se questa prova non è fornita, nessun riscarcimento può essere concesso.

Fonte: Toscana Medica news n. 18/2008

Commento di Luca Puccetti

La sentenza è importante, e si pone in contrasto con precedenti pronunziamenti giurisprudenziali che avevano comunque stabilito il risarcimento del danno derivante dalla lesione del diritto all'autodeterminazione (1, 2).

Lo stesso Tribunale di Milano si è infatti così espresso:

......la mancanza di consenso informato non lede solo il diritto del paziente all’autodeterminazione delle scelte sanitarie, ma lo stesso diritto alla salute ed all’integrità fisica; ne consegue che il paziente ha diritto di ottenere lo stesso risarcimento che gli spetterebbe nel caso fosse stata accertata un’esecuzione errata o negligente del trattamento medico (7)

ed anche:

........Ritiene questo giudice che l'inadempimento dell’obbligo di informazione da parte del medico incida in via diretta sul diritto della paziente all’autodeterminazione in ordine alle scelte che attengono alla propria salute e che tale lesione vada pertanto riconosciuta autonomamente rispetto alla lesione del diritto alla salute, che nella specie non si è verificata. Essa rientra nella previsione di cui all’art. 2059 c.c., volta a ricomprendere ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona, secondo la recente interpretazione della Cassazione (sentenze 8827/2003 e n.8828/2003) e della Consulta (sentenza n.233/2003). (2)


Pasquinelli (3) ritiene che, indipendentemente dall'esito dell'intervento, la mancata acquisizione del consenso costituisca, in re ipsa, danno esistenziale risarcibile:

E’ indubitabile, infatti, che la violazione dell’obbligo di informazione, ed in particolare la sottoposizione del paziente a trattamenti sanitari in mancanza del suo consenso informato, integri una lesione dei diritti fondamentali di quest’ultimo. Tale conclusione emerge con evidenza da quelle sentenze della Suprema Corte che, riconoscendo il diritto del paziente ad essere adeguatamente informato e vietando qualsivoglia trattamento medico in assenza del consenso informato di quest’ultimo, hanno fatto riferimento agli artt. 13 e 32, 2° co., Cost. La Corte di cassazione ha, quindi, ricollegato la necessità del consenso del paziente, e del relativo obbligo di informazione gravante sul sanitario, alla sfera dei diritti fondamentali dell’individuo, previsti dalla Carta costituzionale (omissis). Conseguentemente, la lesione di tali diritti fondamentali dell’individuo è suscettibile di provocare un pregiudizio al paziente, a prescindere dagli effetti del trattamento sanitario sulla salute di quest’ultimo. (3)


Su tale posizione si attesta anche il tribunale di Venezia:

.....appare possibile circoscrivere l'ambito del pregiudizio di natura non patrimoniale … a quello correlato al piano esistenziale, da intendersi come riparazione correlata alla privazione del diritto alla scelta consapevole...... Data la particolarità delle prestazioni, in quanto incidenti sulla sfera personale dell'individuo, non è possibile escludere la risarcibilità di una tale posta di danno in base all'art. 1225 c.c., posto che, pur non essendo possibile operare una stima economica esatta del pregiudizio connesso alla lesione di un interesse non patrimoniale, comunque la natura dell'attività svolta deve dare per scontato che la prestazione involge la sfera dell'individuo, sicché il pregiudizio di natura non patrimoniale può essere risarcito senza dover necessariamente far leva su un concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Infatti, la rilettura in chiave costituzionale dell'art. 2059 c.c. operata dalla Cassazione (sentenze 31 maggio 2003, n. 8827 e n. 8828) fa sì che anche in ambito contrattuale possa darsi rilievo a pregiudizi di natura non patrimoniale, sempre che i correlativi interessi possano ritenersi inclusi nell'ambito di tutela del contratto. (1)


Se è vero che l'acquisizione del consenso debba essere un atto comportante un' esaustiva informazione e la raccolta di un'effettiva volontà del paziente, correttamente informato, di aderire consapevolmente all'intervento od accertamento medico proposto, è altrettanto vero che non è sempre possibile, specie in caso di interventi chirurgici, poter prevedere tutte le situazioni che possano presentarsi all'atto dell'effettiva esecuzione dell'intervento. Riesaminiamo il caso in questione: se i sanitari, una volta constatata de visu la situazione, avessero proceduto ad effettuare un'artroprotesizzazione e la paziente avesse subito conseguenze dannose a causa della scelta di questo tipo di intervento e si fosse potuto dimostrare che un'intervento meno invasivo avrebbe potuto dare risultati teoricamente altrettanto validi senza esporre la paziente a maggiori rischi ci sarebbe stata condotta colpevole da parte dei sanitari? Tutta la questione si sarebbe spostata sul se si fosse potuto prevedere prima dell'intervento che l'artroprotesizzazione non sarebbe stata la scelta giusta. E' ovvio che non sempre il sanitario possa prevedere la reale situazione che si trovi ad affrontare, per esempio nel caso in esame una qualità ossea tale da non dare garanzie di buona riuscita o durata, od altre complicanze intra-operatorie non dipendenti da condotte negligenti o imperite.

La questione è molto seria poichè se da un intervento per il quale non si sia acquisito valido consenso risultasse un danno alla salute, pur se indipendente da errore medico, la dottrina prevalente sembra quella di riconoscere la responsabilità del medico anche in assenza di colpa del medesimo nell'esecuzione dell'intervento:

.... la mancata richiesta del consenso costituisce autonoma fonte di responsabilità qualora dall'intervento scaturiscano effetti lesivi, o addirittura mortali, per il paziente, per cui nessun rilievo può avere il fatto che l'intervento medesimo sia stato eseguito in modo corretto (4)


ed ancora:

.....Nel caso di intervento chirurgico, è necessario che il paziente dia il proprio consenso al compimento sul suo corpo degli atti operativi sussiste responsabilità, di natura contrattuale, a carico del sanitario, per eventuali danni derivanti dall'intervento effettuato in difetto di detto consenso.... (5)

......Come è stato ritenuto da questa Corte (v. Sez. III, 26 marzo 1981, n. 1773; Sez. III, 25 luglio 1967, n. 1950) nel caso di intervento chirurgico.... o accertamento diagnostico di tipo invasivo è necessario che il paziente dia il proprio consenso al compimento sul suo corpo degli atti operativi, con la conseguenza che sussiste la responsabilità del sanitario per eventuali danni derivanti dall'intervento effettuato in difetto di detto consenso. La mancata richiesta del consenso costituisce autonoma fonte di responsabilità qualora dall'intervento scaturiscano effetti lesivi, o addirittura mortali, per il paziente, per cui nessun rilievo può avere il fatto che l'intervento medesimo sia stato eseguito in modo corretto.... (6)


Tuttavia, come si evince dalla lettura, la Cassazione fa riferimento ad un consenso ad atti operativi e dunque non sembra porre limiti troppo stretti sulla tecnica da usare. Inoltre la dottrina non è, come spesso accade, di parere univoco :

Lo stesso tribunale di Milano :

......preminente dev'essere l'indagine volta a verificare se, nella fattispecie concreta, sussistessero o meno alternative diagnostiche o terapeutiche, ovvero farmacologiche, sulle quali sia altresì mancata l'informazione adeguata da parte del medico. In questa specifica ipotesi il danno risarcibile dovrà tenere conto, in primo luogo, della percentuale di possibilità che il paziente, correttamente informato, avrebbe optato per un diverso trattamento sanitario; in secondo luogo, del rischio connesso all'intervento non eseguito, concretandosi il danno nella perdita delle chances favorevoli, correlate alla possibilità di esito positivo dell'intervento non posto in essere ...(8)


Sempre ragionando sul caso in esame, se invece i sanitari, una volta resisi conto sul campo che l'artroprotesi non sarebbe stata la scelta più opportuna, si fossero astenuti dall'intervento ed avessero svegliato la paziente che cosa sarebbe successo? Il rispetto deli confini stabiliti con l'acqusisizione del consenso informato sarebbe stato adempiuto, ma la paziente avrebbe subito un'anestesia e un'intervento comunque invasivo inutilmente e si sarebbe dovuto procedere all' acquisizione di un nuovo consenso informato e la stessa paziente avrebbe dovuto subire un nuovo intervento con tutti i rischi connessi.

D'altro canto problematica sarebbe l'acquisizione di un consenso a generici atti chirurgici totalmente rimessi alla discrezione del medico, poiché una tale fattispecie potrebbe essere ritenuta in sede di giudizio troppo generica e quindi non idonea ad esprimere le reali volontà del paziente. Appare dunque opportuno trovare una sorta di via intermedia, un compromesso che renda edotto il paziente dei possibili e prevedibili tipi di interventi che possano prospettarsi, evitando espressioni troppo generiche, ma che consentano tuttavia un ragionevole spazio di manovra al medico, senza esporre il paziente a rischi inutili o comunque ragionevolmente evitabili al mero fine di rispettare i confini sulle tipologie di trattamento "stabilite" nel documento di consenso validamente acquisito.

Riferimenti Bibliografici

1) Trib. Venezia, 4.10.2004, Giur. merito, 2005, I, 1037
2) Trib. Milano, 29.3.2005, RCP, 2005, 756
3) Pasquinelli E., Problemi attuali della responsabilità del medico, in Cendon P. (a cura di), Persona e danno¸ Milano, Giuffrè, 2004, 4903-4904
4) Monateri, Bona, Castelnuovo Responsabilità da attività medico-sanitaria, in Monateri P.G. (a cura di), Il danno alla persona, Utet, Torino, 2000, 422
5) Cass., 26.3.1981, n. 1773, Giust. civ. Mass., 1981, fasc. 3
6) Cass. 24.9.1997, n. 9374, Riv. it. Med. Leg., 1998, 822
7) Trib. Milano 8.6.2007, Resp. civ. e prev., 2008, 404
8) Trib. Milano, 29.3.2005, Resp. civ. e prev., 2005, 756-757
9) S. Baggio: I danni risarcibili per mancata prestazione del consenso http://www.personaedanno.it/cms/data/articoli/010622.aspx

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