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Bivalirudina nell'angioplastica primaria: lo studio HORIZONS- AMI
Inserito il 16 febbraio 2009 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Minori sanguinamenti maggiori e minori eventi avversi a 30 giorni con bivalirudina rispetto ad eparina ed inibitore glicoproteina IBB/IIIA nell'angioplastica primaria.

La terapia antitrombotica durante il PCI primario ha lo scopo di ridurre le complicazioni trombotiche dell'intervento meccanico. La bivalirudina, un anticoagulante a breve durata d'azione, è un inibitore diretto della trombina che si è dimostrato efficace, durante il PCI, nel ridurre il sanguinamento in confronto a eparina + un inibitore della glicoproteina IIb/IIIa (Stone GW et al. N Engl J Med 2006; 355: 2203-16) nell'infarto del miocardio senza elevazione del segmento ST.

Questo studio, prospettico, randomizzato, in aperto e multicentrico (123 centri di 11 Paesi, tra cui l'Italia) ha confrontato bivalirudina vs eparina + un inibitore della glicoproteina IIb/IIIa (abciximab o eptifibatide) in pazienti con infarto del miocardio con elevazione del segmento ST sottoposti a PCI primario.

Tra il 25 Marzo 2005 ed il 7 Maggio 2007 sono stati inclusi 3602 pazienti di età >18 anni (età media 60,2 anni; 76,6% maschi) che si sono presentati entro 12 h dall'insorgenza dei sintomi, con elevazione del segmento ST di almeno 1 mm in 2 o più derivazioni contigue, nuovo blocco di branca sinistra o un vero infarto del miocardio posteriore, e che dovevano essere sottoposti a PCI.
Tra i diversi criteri di esclusione: la precedente assunzione di agenti trombolitici, bivalirudina, inibitori della glicoproteina IIb/IIIa, eparine a basso peso molecolare (sebbene fosse permesso un precedente uso di eparina non frazionata); uso corrente di warfarin; storia di diatesi emorragica; coagulopatia; trombocitopenia da eparina; stroke o TIA nei 6 mesi precedenti, sanguinamento gastrointestinale o genitourinario nei 2 mesi precedenti; chirurgia maggiore nelle 6 settimane precedenti; una conta piastrinica <100.000 cellule/cm3 o livelli di emoglobina <10 g/dL; una procedura chirurgica pianificata che avrebbe portato all'interruzione del trattamento con tienopiridine nei primi 6 mesi dopo l’arruolamento; impianto di uno stent coronarico nei 30 giorni precedenti; comorbidità non cardiache limitanti le aspettative di vita a <1 anno.

I pazienti sono stati randomizzati a: bivalirudina in bolo e.v. 0,75 mg/kg, seguito dall'infusione di 1,75 mg/kg/h (n=1800); eparina non frazionata (bolo e.v. 60 UI/kg, con boli successivi mirati a raggiungere un tempo di coagulazione di 200-250 sec) + abciximab (un bolo di 0,25 mg/kg, quindi un’infusione di 0,125 ?g/kg/min; dose massima 10 ?g/min) per 12 h o doppio bolo di eptifibatide (un bolo di 180 ?g/kg seguito da 2,0 ?g/kg/min in infusione, con un secondo bolo 10 min dopo il primo) per 12-18 h (n=1802).
Nel gruppo bivalirudina circa 1/3 dei pazienti ha ricevuto eparina non frazionata prima della cateterizzazione cardiaca (la bilivarudina è stata somministrata 30 min dopo l'eparina, ma comunque prima della PCI); invece, 129 pazienti hanno ricevuto un inibitore della glicoproteina IIb/IIIa. La somministrazione di emergenza di aspirina, 324 mg per os o 500 mg e.v., è stata continuata durante il ricovero ospedaliero (300-325 mg/die per os) e successivamente è stata mantenuta indefinitivamente (75-81 mg/die per os).
Prima della cateterizzazione è stata somministrata una dose di carico di clopidogrel pari a 300 o 600 mg a discrezione dei ricercatori (la dose di 600 mg è stata usata circa 2 volte più frequentemente di quella da 300 mg) o, in caso di allergia a questo, ticlopidina (500 mg); la terapia è stata continuata per almeno 6 mesi con una somministrazione giornaliera di 75 mg per os.

Dopo la randomizzazione i pazienti sono stati sottoposti ad angiografia d'urgenza e, quindi, a PCI (n=92,9%), coronary-artery bypass grafting (CABG; n=1,7%), o trattamento medico (n=5,3%). Nel 40,7% dei pazienti sottoposti a PCI primario, il vaso coinvolto era l'arteria sinistra anteriore discendente. Il 95,5% di questi pazienti è stato nuovamente randomizzato (lo studio prevedeva l'arruolamento fino ad includere in questa fase 3000 pazienti), in cieco, in rapporto 3:1, a stent medicato con paclitaxel o stent metallico non rivestito.

Il follow-up è stato eseguito a 30 giorni, 6 mesi, 1 anno, e quindi annualmente per un totale di 5 anni.
Gli end point primari sono stati pianificati a 30 giorni per la prima randomizzazione e a 1 anno per la seconda. I risultati a 30 giorni di quest'ultima non sono stati suddivisi per stent, perché questa fase era ancora in cieco; comunque, dall'analisi statistica, effettuata da un gruppo indipendente e non in cieco, non ci sono state rilevate interazioni tra il tipo di stent e l'end point primario per la componente farmacologica.
Gli end point a 30 giorni sono stati: sanguinamenti maggiori (emorragia intracranica o intraoculare; sanguinamento nel sito d'accesso con ematoma ?5 cm o che richiedeva intervento; diminuzione dei livelli di emoglobina al di sotto di 4 g/dL o 3 g/dL rispettivamente senza o con una chiara fonte di sanguinamento; ri-intervento per sanguinamento; trasfusione); eventi clinici avversi quali una combinazione di sanguinamenti maggiori o una combinazione di eventi avversi cardiovascolari maggiori, incluse morte, re-infarto, rivascolarizzazione di vasi target per ischemia e stroke.

Il trattamento con bivalirudina, rispetto a eparina + inibitore della glicoproteina IIb/IIIa, ha portato ad una riduzione a 30 giorni della percentuale di eventi clinici avversi (9,2% vs 12,1%; RR 0,76; CI 95% 0,63-0,92; p=0,005) e ad una minore percentuale di sanguinamenti maggiori (4,9% vs 8,3%; RR 0,60; 0,46-0,77; p<0,001).
Il gruppo bivalirudina ha presentato un aumento del rischio di trombosi acuta da stent dopo 24 h ma l'aumento non è stato significativo a 30 giorni. Il trattamento con la sola bivalirudina, rispetto al gruppo di controllo, ha diminuito significativamente a 30 giorni la percentuale di morte per cause cardiache (1,8% vs 2,9%; RR 0,62; 0,40-0,95; p=0,03) e per qualsiasi causa (2,1% vs 3,1%; RR 0,66; 0,44-1,00; p=0,047).

Gli autori concludono che la riduzione della mortalità nel gruppo bivalirudina poteva essere dovuta alla prevenzione di complicanze emorragiche iatrogene, oltre che alla riduzione di trombocitopenia severa.
Lo studio, pur presentando vari punti di forza tra cui l'arruolamento di un’ampia tipologia di pazienti, ha diversi limiti. Tra questi, il disegno in aperto e la potenza insufficiente a causa della bassa frequenza degli end point, inclusa la morte. Infine, gli autori sottolineano la necessità di ottenere i dati a un più lungo follow-up perché i risultati siano conclusivi.


In pazienti con infarto del miocardio ed elevazione del segmento ST che devono essere sottoposti a PCI primario, una terapia anticoagulante con la sola bivalirudina, rispetto a eparina + inibitore della glicoproteina IIb/IIIa, risulta in una significativa riduzione della percentuale di sanguinamenti maggiori ed eventi clinici avversi a 30 giorni.



Commento

L'editoriale di accompagnamento, a cura di DA Morrow, sottolinea che si tratta di uno studio in aperto e che, come tale, presenta limitazioni e osservazioni che necessitano di ulteriori approfondimenti. I risultati ottenuti indicano che la bivalirudina può essere considerata un alternativa per la terapia antitrombotica ancillare in pazienti sottoposti a PCI primario.

Dottoressa Arianna Carolina Rosa

Riferimenti bibliografici

1) Stone W et al. Bivalirudin during primary PCI in acute myocardial infarction. N Engl J Med 2008; 358: 2218-30.
2) Morrow DA, Antithrombotic therapy to support primary PCI. N Engl J Med 2008; 358: 2280-82.


Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/

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