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Antitrust e Assogenerici a braccetto per costringere i medici a prescrivere i generici |
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Inserito il 01 luglio 2008 da admin. - professione - segnala a:
L'antitrust continua a proporre le sue tesi di voler costringere i medici a prescrivere i generici e assogenerici plaude.
Obbligare il medico a prescrivere il farmaco equivalente: ecco la soluzione per incoraggiare la diffusione dei generici che potrebbe arrivare da una normativa ad hoc, come per altro auspica l’Antitrust che così recepisce il documento presentato da Assogenerici. L’Autorità garante nella sua nota fa anche un preciso riferimento alla generale preferenza del medico a prescrivere il farmaco originator “pur in assenza di specifiche e motivate ragioni valide”. Occorrono perciò, specifica ancora il presidente Antonio Catricalà, “misure volte, in concreto, a favorire lo sviluppo del comparto dei farmaci generici”. Il Garante osserva come, nell’attuale sistema di rimborso, il ruolo dei farmaci generici sia limitato essenzialmente a una “funzione deflativa dei prezzi di altri farmaci”. Infatti, una volta scaduto il brevetto, l’immissione in commercio del corrispondente farmaco generico comporta solo un abbassamento dei prezzi, senza che a ciò faccia seguito un sistema che garantisca un efficace e stabile sviluppo del mercato dei farmaci equivalenti. La situazione attuale, anzi, rischia di tradursi nel breve- lungo periodo in un aggravio di spesa per il Servizio Sanitario Nazionale. “Siamo particolarmente soddisfatti – dichiara Giorgio Foresti, Presidente di AssoGenerici – per la nota ufficiale del Presidente dell’Antitrust Catricalà. In Italia sono in scadenza importanti brevetti e c’è l’opportunità di allineare finalmente il nostro mercato a quello degli altri Paesi europei. Dobbiamo sfruttare l’occasione – conclude Foresti – offerta da queste scadenze, operando con una programmazione di lungo periodo, che inneschi un processo di crescita stabile del generico. Dopo le indicazioni del Garante auspichiamo a breve un intervento normativo da parte del Governo”.
Fonte: Assogenerici, http://www.assogenerici.org/articolihome/Comunicato_Antitrust_del_13_06_08.pdf
Commento di Luca Puccetti
Continuano le esternazioni di chi è aduso a disquisire su televisori e lavatrici nulla sapendo della medicina e della farmacologia, delle attuali tendenze della scienza e delle problematiche dei farmaci generici. Si ritiene che il fatto sia positivo in re ipsa, con una prospettiva squisitamente mercantilistica, che non tiene in nessun conto, necessità di ricerca e di innovazione, problemi di risposta nel singolo, di sostituibilità selvaggia, di certificazioni dei laboratori..., anzi si vorrebbe addirittura costringere i medici per decreto. I vari portatori di interesse, che nulla investono sui farmaci, tripudiano sventolando le esternazioni non richieste dell'antiutrust. A costoro non basta la legge che già oggi di fatto consente al farmacista di fare ciò che vuole, con le conseguenze che tutti ora sanno e che hanno spinto a sporgere denunce, sia pur tardive, ad opera del coordinatore degli assessori regionali alla sanità. Vogliono di più, vorrebbero addirittura che fosse comandato al medico di prescrivere il generico, altrimenti rischiano di aver fatto tanti sforzi per nulla perché gran parte dei potenziali guadagni va oggi nelle tasche di chi deve essere "incentivato" a proporre quel generico che quindi si rischia di avere poco margine e rendere il business poco appetibile!
Se problemi sussitono con gli equivalenti attuali, non parliamo poi dei biosimilari, cioè farmaci biologici di cui è scaduto il brevetto e che possono quindi essere prodotti a basso costo. In base a quanto è emerso dal convegno sul tema che si è tenuto all'Ifo-Istituto Regina Elena di Roma, questi farmaci sono sconosciuti per metà degli oncologi. Attualmente un solo farmaco biosimilare, un ormone della crescita, è in commercio in Italia, ma l'EMEA ne ha già approvati cinque, e nel corso dei prossimi anni ne arriveranno altre man mano che scadono i brevetti. I biosimilari, a causa della lavorazione, non sono del tutto uguali a quelli biologici di riferimento per la presenza di impurezze e per la diversa quantità di principio attivo. Al momento l'EMEA ha un apposito working group che si occupa del problema dell'equivalenza e ha emanato delle linee guida che prevedono test aggiuntivi e farmacovigilanza sulle molecole.
Con l’attuale sistema si spartiscono guadagni su una pluralità di soggetti che producono generici e che dunque non portano, almeno nel breve periodo, ad alcun vantaggio alle società occidentali, se non per l’effetto della concorrenza sul prezzo. Gli stessi produttori di generici che dichiarano che il prezzo di vendità è 100 trovano il modo, attraverso una rete commerciale di venditori, di praticare forti sconti al farmacista, pertanto una quota rilevante va a vantaggio dei farmacisti senza vantaggi per il consumatore o il terzo pagante.
La proposta che da tempo avanziamo è di allungare di molto (40 anni e più) i tempi di sfruttamento dei brevetti. Le aziende capaci di far ricerca continuerebbero a sviluppare i loro farmaci innovativi fino alle estreme potenzialità, supportandoli con studi ampi e rigorosi e soprattutto basati su end-points non surrogati. Studi ampi significano maggior sicurezza per i cittadini poiché l’allargamento dei trials a casistiche molto numerose aumenta la probabilità di mettere in risalto eventuali problemi di sicurezza anche in piccoli subset di pazienti. Il costo del farmaco innovativo dovrebbe essere progressivamente più basso con l'andar del tempo ed in base ai volumi venduti. I decisori paganti o le autorità regolatorie, facendo pesare l’allungamento della copertura brevettuale, dovrebbero ottenere dal produttore una curva prezzo-tempo, persino più conveniente dell’attuale, formatasi alla scadenza brevettuale in base alla concorrenza tra produttori di generici.
In un tale contesto si potrebbe davvero richiedere che per l'approvazione di un nuovo farmaco siano preventivamente fornite prove di efficacia e sicurezza, non solo in termini di eguaglianza con quelle dei farmaci già in commercio, ma di superiorità senza dover far ricorso alle limitazioni dei registri, tipo quello dell'Ivabradina, escogitati dall'AIFA.
Le risorse verrebbero incanalate non nella commercializzazione di farmaci pseudoinnovativi, ma nella ricerca di farmaci realmente innovativi, gli unici che potrebbero ambire ad un prezzo relativamente più elevato.
Gli enti regolatori potrebbero imporre prove più severe di quanto succede adesso, proprio perché, una volta approvato, il farmaco potrebbe essere venduto per lungo tempo e dunque eventuali ritardi nell'approvazione, motivati dalla richiesta di prove di efficacia sul campo su end-points clinicamente rilevanti e di sicurezza nell'impiego su vasta scala, non sarebbero insostenibili per l’azienda produttrice.
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