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Sorafenib nel carcinoma epatocellulare avanzato: lo studio SHARP
Inserito il 10 maggio 2009 da admin. - epatologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Tra i pazienti con carcinoma epatocellulare avanzato, la sopravvivenza e il tempo mediano di progressione radiologica erano maggiori di quasi 3 mesi nel gruppo trattato con sorafenib rispetto al gruppo placebo.

L’incidenza di carcinoma epatocellulare sta aumentando negli Stati Uniti e in Europa e rappresenta la terza causa di morte per malattie oncologiche, dopo il cancro al polmone e allo stomaco.
In Occidente, la malattia viene diagnosticata in fase precoce nel 30-40% dei pazienti e risponde a trattamenti quali la terapia chirurgica e procedure loco-regionali. Una sopravvivenza a 5 anni può essere raggiunta nel 60-70% dei pazienti ben selezionati. Tuttavia, la malattia diagnosticata in fase avanzata ha una prognosi sfavorevole, in quanto non esiste una terapia efficace.
Il sorafenib (*) è una piccola molecola che inibisce la proliferazione delle cellule tumorali e aumenta l’apoptosi in un’ampia serie di modelli tumorali. Agisce inibendo l’attività delle chinasi serina-treonina Raf-1 e B-Raf e della tirosin-chinasi recettoriale e dei recettori del fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGFR) e del recettore beta del fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGFR). Il segnale cellulare, mediato dalle vie del Raf-1 e del VEGF, è stato implicato nella patogenesi molecolare del carcinoma epatocellulare, fornendo così un razionale per investigare il sorafenib per questa indicazione.
Uno studio di fase 2 (Abou-Alfa GK et al. J Clin Oncol 2006; 24: 4293-300), non controllato, condotto su 137 pazienti con carcinoma epatocellulare avanzato, ha indicato che il sorafenib potrebbe avere un effetto terapeutico benefico, determinando una sopravvivenza media di 9,2 mesi e un tempo mediano di progressione di 5,5 mesi.

In questo trial multicentrico, di fase III, in doppio cieco, controllato vs placebo, 602 pazienti con carcinoma epatocellulare avanzato mai trattati prima sono stati randomizzati a ricevere sorafenib (400 mg/2 volte/die) o placebo. Lo studio è stato condotto dallo SHARP Investigators Study Group, costituito anche da ricercatori italiani.
In caso di comparsa di effetti avversi al farmaco, sono state consentite interruzione del trattamento e fino a 2 riduzioni di dosi (400 mg/1 volta/die e poi 400 mg ogni 2 giorni). Se era necessario ridurre ulteriormente la dose, il paziente doveva sospendere lo studio.
Gli outcome primari erano la sopravvivenza totale e il tempo di progressione sintomatica. La sopravvivenza totale è stata misurata dalla data di randomizzazione fino alla data della morte da tutte le cause, mentre il tempo di progressione sintomatica è stato calcolato dalla data di randomizzazione al primo evento documentato di progressione sintomatica. Gli outcome secondari comprendevano il tempo di progressione radiologica, il tasso di controllo della malattia e la sicurezza.

Dal marzo 2005 all’aprile 2006 sono stati selezionati 902 pazienti, di cui 602 sottoposti a randomizzazione (299 a sorafenib e 303 a placebo). Tra i due gruppi non c’erano differenze rilevanti per quanto riguarda le caratteristiche demografiche, la causa o la severità della malattia epatica, la precedente terapia antitumorale per il carcinoma epatocellulare, le caratteristiche prognostiche, lo stato di performance Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG) e i criteri di stadiazione tumorale secondo il sistema del Barcelona Clinic Liver Cancer (BCLC).

In un’analisi ad interim, effettuata nell’ottobre 2006, è risultato che i pazienti deceduti erano 321 (143 nel gruppo sorafenib e 178 nel gruppo placebo). La sopravvivenza mediana totale è stata di 10,7 mesi nel gruppo trattato vs 7,9 mesi con placebo (HR 0,69; CI 95% 0,55-0,87; p<0,001).
La sopravvivenza ad 1 anno era pari al 44% nel gruppo sorafenib e al 33% nel gruppo placebo.
Non sono state osservate differenze significative tra i due gruppi nel tempo mediano di progressione sintomatica (4,1 vs 4,9 mesi, rispettivamente; HR 1,08; CI 95% 0,88-1,31; p=0,77). Il tempo mediano per la progressione radiologica è stato di 5,5 mesi nel gruppo sorafenib vs 2,8 mesi con placebo (HR 0,58; CI 95% 0,45-0,74; p<0,001). Sette pazienti (2%) nel gruppo trattato e 2 nel gruppo placebo (1%) hanno avuto una risposta parziale; non ci sono stati casi di risposta completa.
Il trattamento è stato sospeso in 468 pazienti (226 nel gruppo sorafenib e 242 nel gruppo placebo). Le ragioni più frequenti di interruzione della terapia erano rappresentate dall’insorgenza di eventi avversi (176 pazienti) e dalla progressione radiologica e sintomatica (123 pazienti). La durata mediana del trattamento è stata di 5,3 mesi (range 0,2-16,1) nel gruppo sorafenib e 4,3 mesi (range 0,1-16,6) nel gruppo placebo.

L’incidenza totale di eventi avversi correlati al trattamento era pari all’80% nel gruppo sorafenib e al 52% nel gruppo placebo. Diarrea, perdita di peso, reazioni cutanee mano-piede, alopecia, anoressia e alterazioni della voce erano più frequenti tra i pazienti che hanno ricevuto sorafenib (p<0,001).
L’incidenza di drop-out era simile nei due gruppi di studio (38% vs 37%).
Gli eventi avversi che più spesso hanno portato ad interruzione della terapia con sorafenib erano gastrointestinali (6%), fatigue (5%) e disfunzione epatica (5%). Riduzioni della dose a causa di eventi avversi si sono verificate nel 26% dei pazienti del gruppo sorafenib e nel 7% del placebo, mentre l’interruzione della dose nel 44% e nel 30% dei pazienti rispettivamente.


I risultati dello studio suggeriscono che tra i pazienti con carcinoma epatocellulare avanzato, la sopravvivenza e il tempo mediano di progressione radiologica erano maggiori di quasi 3 mesi nel gruppo trattato con sorafenib rispetto al gruppo placebo. Inoltre gli eventi avversi più frequenti associati a sorafenib erano di severità lieve-moderata.


Commento

L’editoriale di accompagnamento allo studio ha focalizzato l’attenzione sul problema del trattamento del carcinoma epatocellulare in fase intermedia o avanzata. Poiché finora non è stata dimostrata l’efficacia di terapie mediche in questo ambito, è importante condurre trial randomizzati di confronto con placebo. Gli sforzi condotti per la comprensione della patogenesi molecolare dei carcinomi epatocellulare hanno evidenziato l’importanza dell’attivazione di segnali di crescita, tra cui le vie di molteplici tirosinchinasi recettoriali e l’inattivazione di geni chiave di soppressione tumorale. Una volta acquisite tali informazioni, i ricercatori hanno sperato di utilizzare questi bersagli per questo tipo di cancro resistente ad altre terapie.

Il trial SHARP ha evidenziato che, in una popolazione con funzione epatica relativamente preservata, rispetto al placebo, l’uso di sorafenib determinava un aumento modesto, ma significativo, della sopravvivenza (3 mesi). Questo miglioramento si è verificato nonostante una risposta sorprendentemente limitata del 2%. La sopravvivenza migliorava in quanto il farmaco era in grado di ritardare la progressione tumorale.
Questo rappresenta un primo passo nell’applicazione di terapie con specifici bersagli nel trattamento del carcinoma epatocellulare. Tuttavia, sarà anche necessario condurre trial in cui sia valutata l’associazione di sorafenib e agenti simili con altri approcci terapeutici per determinare se si possa ottenere un miglioramento della sopravvivenza, come già accade nel trattamento di altri tumori solidi.

Tuttavia, il profilo del farmaco dovrà essere testato anche in altri pazienti che non rientrano nel gruppo considerato nel trial SHARP. Inoltre, bisogna valutare se il farmaco previene le recidive dopo intervento chirurgico o terapie ablative o se migliora la sopravvivenza in pazienti sottoposti a chemoembolizzazione. Infine, sarebbe importante valutare attentamente gli eventi avversi per evitare che si aggiungano ulteriori rischi.

Un’altra preoccupazione è rappresentata dai costi. Infatti il costo del sorafenib è di circa 5.400 dollari al mese negli Stati Uniti, 3.563 in Francia, 1.400 in Corea e 7.300 in Cina, che rappresentano costi elevati per i budget sanitari anche in Paesi industrializzati. Gli elevati costi stressano i budget sanitari. Bisogna inoltre considerare che oltre la metà dei decessi per cancro epatico avviene in Cina e la maggior parte della restante percentuale si verifica nei paesi dell’Africa sub-sahariana.

(*) In Italia il sorafenib (Nexavar®, classe H OSP2) è indicato per il trattamento dell’epatocarcinoma e del carcinoma a cellule renali avanzato dopo fallimento terapeutico ad una precedente terapia a base di interferone alfa o interleuchina-2, o che sono considerati non idonei a ricevere tale terapia.


Conflitto di interesse

Lo studio è stato finanziato da Bayer HealthCare Pharmaceuticals.
L’autore dell’editoriale ha ricevuto finanziamenti da Isis Pharmaceuticals e Rosetta Genomics e un grant di supporto da Wako Diagnostics.



Dottoressa Alessandra Russo


Riferimenti bibliografici

Llovet JM et al. Sorafenib in advanced hepatocellular carcinoma. N Engl J Med 2008; 359: 378-90.
Roberts LR. Sorafenib in liver cancer — Just the beginning. N Engl J Med 2008; 359: 420-2

Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/

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