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Vecchi e nuovi ipoglicemizzanti a confronto sugli outcomes cardiovascolari
Inserito il 12 luglio 2009 da admin. - metabolismo - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

La metformina, rispetto ad altri antidiabetici orali e al placebo, ha determinato una riduzione statisticamente significativa della mortalità cardiovascolare.

Attualmente è disponibile un’ampia varietà di ipoglicemizzanti orali per il trattamento del diabete di tipo 2. I trial clinici che hanno esaminato l’efficacia degli ipoglicemizzanti, vecchi e nuovi, hanno focalizzato l’attenzione su outcome clinici intermedi, come le variazioni dei livelli di emoglobina glicosilata (HbA1c), i lipidi serici e la pressione arteriosa. Il miglioramento del controllo glicemico riduce l’incidenza di patologie microvascolari e potenzialmente di quelle macrovascolari tuttavia, rimangono ancora poco chiari gli effetti specifici degli ipoglicemizzanti orali sul rischio cardiovascolare.

L’obiettivo di questa revisione sistematica era valutare il rischio di malattia cardiovascolare fatale e non e la mortalità da tutte le cause, includendo tutti gli RCT pubblicati sugli ipoglicemizzanti orali (sulfaniluree di II generazione, biguanidi, glitazoni e meglitinidi). L’ipotesi da dimostrare era la sostanziale equivalenza rispetto al rischio cardiovascolare tra i farmaci più recenti (glitazoni e meglitinidi) ed i principi attivi più vecchi (metformina e sulfaniluree di II generazione), visti gli effetti simili sui livelli di HbA1c documentati da una precedente revisione sistematica (Bolen S et al. Ann Intern Med 2007; 147: 386-99).

Tramite una ricerca sui database di Medline (1966-19 gennaio 2006), EMBASE (1974–19 gennaio 2006) e Cochrane Central Register of Controlled Trials (dal 1966 al volume 4 del 2005), sono stati selezionati gli studi che valutavano i benefici e i rischi associati agli ipoglicemizzanti orali approvati dalla FDA, disponibili negli USA fino al 1 gennaio 2006. Sono stati inclusi gli studi sulle terapie combinate comunemente utilizzate, come metformina, sulfaniluree di II generazione e glitazoni (*). Sono stati esclusi gli studi che valutavano le associazioni di 3 antidiabetici e quelli sulle sulfaniluree di I generazione, perchè poco prescritte, così come gli inibitori dell’alfa-glucosidasi perchè già analizzati in precedenza e raramente impiegate in USA. Inoltre, sono stati esclusi gli studi che non riportavano la morbidità e la mortalità cardiovascolare e da tutte le cause e i trial con una durata <3 mesi o in cui la dimensione totale del campione era <40 pazienti.
La qualità degli studi è stata valutata tramite la scala Jadad (Jadad AR et al. Control Clin Trials 1996; 17: 1-12); se le malattie cardiovascolari non erano un end point primario, la qualità degli eventi avversi relativi ad esiti cardiovascolari è stata stimata tramite una scala di 4 punti sulla base delle linee guida della FDA e del CONSORT (Consolidated Standards of Reporting Trials) su come riportare le reazioni avverse.

Su un totale di 142 RCT pubblicati, solo 40 riportavano dei dati sugli eventi cardiovascolari e/o sulla mortalità. In questi studi, la maggior parte dei quali condotti negli USA o nel Regno Unito. l’età media dei pazienti era compresa tra 52 e 69 anni, il livello medio di HbA1c al basale variava dal 6,2% al 10,2%. In 27 di questi studi, la durata era <1 anno e 28 erano stati finanziati da industrie farmaceutiche.
Nella maggior parte degli studi, gli esiti cardiovascolari erano registrati come eventi avversi e non come outcome primari o secondari del trial tranne che nello studio PROactive (Dormandy JA et al. Lancet 2005; 366: 1279-89) e nell’UKPDS (UK Prospective Diabetes Study Group. Lancet 1998; 352: 837-853 e Lancet 1998; 352: 854-65).
Su circa 4000 soggetti ed una media di 10,7 anni di follow-up, l’UPKDS rappresenta il più grande trial sugli ipoglicemizzanti pubblicato in letteratura. L’UKPDS 33 ha confrontato gli effetti del controllo intensivo della glicemia mediante sulfaniluree o insulina vs il trattamento convenzionale sul rischio di complicanze micro e macrovascolari.
Tra i due bracci, la differenza mediana dei livelli di HbA1c era pari allo 0,9% ed è stato dimostrato che, rispetto alla terapia convenzionale, il controllo intensivo con una sulfanilurea o insulina riduce in misura sostanziale il rischio di outcome microvascolari. I risultati sulle complicanze macrovascolari sono stati invece più ambigui, senza differenze statisticamente significative per quanto riguarda lo stroke o l’end point combinato di amputazione o morte decesso da vasculopatia periferica, ma con una riduzione del 16% dell’infarto del miocardio, al limite della significatività statistica (p=0,052).
Nello studio UKPDS 34, una prima analisi ha confrontato metformina, clorpropamide, gliburide e insulina, mentre successivamente il braccio trattato con la sulfanilurea è stato confrontato all’associazione in prima linea di metformina+sulfanilurea. I risultati principali relativi al confronto indiretto non hanno evidenziato alcuna differenza sugli esiti cardiovascolari.
Nei soggetti in sovrappeso, rispetto al trattamento convenzionale, soltanto la metformina ha mostrato una riduzione statisticamente significativa del 36% della mortalità da tutte le cause e del 39%,dell’infarto miocardico. Inoltre, l’associazione di metformina+sulfanilurea ha mostrato un inatteso aumento, statisticamente significativo, del 60% della mortalità da tutte le cause rispetto alla sulfanilurea da sola. Lo studio UKPDS è stato condotto prima dell’introduzione dei glitazoni.
Lo studio PROactive, condotto su oltre 5000 pazienti, con un follow-up medio di poco meno di 3 anni, è stato disegnato per valutare se il trattamento con pioglitazone, in associazione alla terapia antidiabetica in corso, riduceva il rischio cardiovascolare rispetto al placebo. Questo studio ha mostrato una riduzione non significativa dell’end point composito primario (riduzione del 10% del RR; p=0,10) e una diminuzione statisticamente significativa dell’end point secondario principale rappresentato dalla mortalità da tutte le cause, dall’infarto miocardico non fatale e dallo stroke (riduzione del 16% del RR; p=0,03).

Nella revisione, il confronto più consistente è stato quello tra metformina e qualsiasi comparator (altro antidiabetico orale o placebo/dieta) mediante il contributo dei dati aggregati di 7 trial (n=11.986) per la stima della morbidità cardiovascolare (OR 0,85; 95% CI 0,69-1,05), di 6 studi (n=11.385) per la mortalità cardiovascolare (0,74; 0,62-0,89) e di 9 studi (n=13.046) per la mortalità da tutte le cause (0,81; 0,60-1,08). Per nessun altro antidiabetico orale sono state osservate associazioni statisticamente significative relative ai parametri valutati.
Nell’analisi sulle sulfaniluree, lo studio UKPDS ha avuto una notevole influenza (>500 soggetti e la maggior parte degli eventi). Quando questo studio è stato escluso, i risultati sono rimasti non significativi ma gli intervalli di confidenza erano sostanzialmente più ampi, riflettendo l’imprecisione degli altri trial. Lo stesso si può affermare per l’influenza del PROactive sull’analisi sul pioglitazone: quando lo studio è stato escluso i risultati rimanevano non significativi ma molto meno precisi.
Il rosiglitazone è stato l’unico ipoglicemizzante orale associato ad aumento della morbidità e della mortalità cardiovascolari e della mortalità da tutte le cause (tutti gli OR >1); tuttavia, nessuna di queste stime si è rivelata statisticamente significativa (OR 1,68; 0,92-3,06), probabilmente a causa delle piccole dimensioni del campione e del numero limitato di studi inclusi.


La revisione ha dimostrato che la metformina, rispetto ad altri antidiabetici orali e al placebo, ha determinato una riduzione statisticamente significativa della mortalità cardiovascolare (OR 0,74; 95% CI 0,62-0,89), mentre i risultati relativi alla morbilità cardiovascolare e alla mortalità da tutte le cause erano simili ma non statisticamente significativi.
Il rosiglitazone, sia rispetto ad altri antidiabetici sia vs placebo, è stato l’unico principio attivo ad essere associato ad un aumento della morbilità e della mortalità cardiovascolare, anche se questi risultati non erano statisticamente significativi.
In letteratura, non sono state rilevate altre differenze nel rischio cardiovascolare tra i diversi ipoglicemizzanti orali comunemente impiegati. Tuttavia, la scarsa qualità e l’inconsistente segnalazione di eventi avversi, oltre alla mancanza di studi a lungo termine, rendono difficile trarre delle conclusioni certe.


(*) I confronti erano rappresentati da metformina vs qualsiasi comparator (antidiabetico orale o placebo/dieta) oppure vs qualsiasi sulfanilurea combinata con metformina; qualsiasi sulfanilurea vs qualsiasi comparator oppure vs qualsiasi sulfanilurea combinata con metformina; rosiglitazone vs qualsiasi comparator; rosiglitazone+metformina vs metformina da sola; pioglitazone vs qualsiasi comparator; una meglitinide vs qualsiasi comparator.

Commento

L’editoriale di accompagnamento sottolinea che la revisione su riportata, anche se ben costruita, non può fornire informazioni migliori rispetto alla qualità degli studi che include. Inoltre, non è chiaro se si arrivi più vicino alla verità aggregando i risultati di ampi trial clinici ben costruiti, che misurano in modo specifico gli outcome di interesse, con quelli di studi più piccoli, in cui gli esiti sono raccolti in modo più informale.
Alla fine, in parte a causa delle informazioni limitate sugli studi generalmente a breve termine inclusi in questa e in altre metanalisi, le conclusioni tratte saranno deludenti per gli operatori sanitari che desiderano una chiara risposta alla domanda “Il farmaco è sicuro?” Questa metanalisi, condotta secondo standard ragionevoli, è costellata da numerosi elementi di criticità.

Le attuali linee guida relative al trattamento ipoglicemizzante continuano ad enfatizzare un trattamento rapido ed aggressivo con l’obiettivo di raggiungere livelli di HbA1c <7%. Riguardo alla scelta dei farmaci, l’algoritmo raccomanda che la terapia con metformina sia introdotta al momento della diagnosi, seguita rapidamente dall’aggiunta di una sulfanilurea, insulina o un glitazone se i livelli di HbA1c non sono <7%.
La presenta metanalisi che focalizza l’attenzione sul rischio cardiovascolare sembrerebbe confermare l’algoritmo, enfatizzando l’uso di metformina e sulfaniluree e limitando l’utilizzo dei glitazoni a causa dei costi e del rischio di edema e di insufficienza cardiaca, in particolare per quanto riguarda il rosiglitazone e il potenziale rischio di sviluppare eventi cardiovascolari.
Per ora, l’approccio al diabete di tipo 2 dovrebbe includere la prevenzione della malattia e una terapia con farmaci la cui sicurezza ed efficacia sono dimostrate.
Data l’importanza del ruolo cruciale e dimostrato del controllo glicemico nel miglioramento delle complicanze microvascolari e neuropatiche, è necessario continuare ad enfatizzare il raggiungimento di livelli di HbA1c <7% nei pazienti che probabilmente ne beneficeranno e l’applicazione aggressiva di altri interventi che riducano il rischio cardiovascolare come dimostrato nei trial clinici.

Conflitto di interesse

Nessuno riportato.

Dottoressa Alessandra Russo

Riferimenti bibliografici

Selvin E et al. Cardiovascular outcomes in trials of oral diabetes medications. A systematic review. Arch Intern Med 2008; 168: 2070-80.

Nathan DM. Glycemic management of type 2 diabetes. How tight is right and how to get there. Arch Intern Med 2008; 168: 2064-66.


Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/

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