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Troppi interessi sulla presunta inadeguatezza dell'assistenza ai malati di artrite
Inserito il 08 agosto 2009 da admin. - reumatologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Un altro rapporto allarmante sullo stato dell'assistenza ai malati di artrite in Italia, un rapporto con troppe esagerazioni e molti interessi.

Le malattie reumatiche sono un vero e proprio fardello per l'economia italiana. Incidono pesantemente sui costi dell'assistenza socio-sanitaria e rappresentano addirittura una minaccia per il bilancio economico del Paese. La spesa totale assorbita da queste patologie, infatti, ammonta a ben 4 miliardi di euro l'anno, di cui circa la metà - 1 mld e 739 mln di euro per l'esattezza - è rappresentato dalla perdita di produttività per circa 287 mila lavoratori. A fare i conti, calcolatrice alla mano, è una ricerca dell'Osservatorio Sanità e salute, presentata oggi a Roma in occasione del convegno 'Malattie reumatiche: disabilità, impatto sul lavoro e costi sociali'.Lo studio, guidato da Alessandro Ridolfi, docente di economia aziendale all'università Cattolica del Sacro Cuore, ha esplorato in maniera scientifica e per la prima volta i database dell'Istat, dell'Aifa e dell'Inps per analizzare l'impatto sociale ed economico delle principali malattie reumatiche, un vero e proprio incubo per oltre 5 mln di italiani. Calcolando sia i costi diretti (visite specialistiche, esami radiologici e di laboratorio, ricoveri, farmaci, eccetera), sia quelli indiretti, intesi come il 'costo sociale' sopportato dal sistema previdenziale a causa della perdita di giornate di lavoro, che ammontano a ben 23 milioni. A gravare maggiormente sul bilancio è, senza ombra di dubbio, l'artrite reumatoide, seguita dall'artropatia psoriasica e dalla spondilite anchilosante. Dei 5 mln di italiani alle prese con malattie reumatiche, sottolinea inoltre la ricerca, circa 734 mila sono colpite da forme croniche. "Da economista - spiega Ridolfi - mi soffermo con maggiore preoccupazione sugli aspetti economici e finanziari della questione. Ma da uomo e cittadino non posso trascurare le conseguenze del disagio fisico di tali patologie. Si stima, infatti, che nel 10% dei casi si arrivi a uno stato di invalidità permanente dopo solo due anni dall'insorgenza, e nel 30% e 50% rispettivamente dopo 5 e 10 anni".Per migliorare la qualità di vita e dare una sforbiciata ai costi, la strada maestra appare quella della diagnosi precoce. Con una rapida e corretta impostazione terapeutica - spiegano gli esperti riuniti all'incontro capitolino - ottenuta grazie a una diagnosi nei primi 3-6 mesi, più del 50% dei malati potrebbe raggiungere una remissione stabile della patologia, grazie all'impiego di farmaci biologici. "Un'attenta valutazione costi/benefici da parte del Ssn - osserva Ridolfi - lascerebbe spazio per l'uso di molecole innovative sicuramente più costose, ma altrettanto efficaci e capaci di ridurre significativamente l'onere generale che grava sul sistema, senza tralasciare l'enorme miglioramento in termini di qualità di vita per il paziente". "Il quadro che emerge da questa ricerca - aggiunge Cesare Cursi, presidente della Commissione Industria, commercio e turismo del Senato - è davvero allarmante, oltre ogni previsione. Voglio davvero augurarmi che, a partire da questo studio, si possano sensibilizzare le Istituzioni, gli operatori del Ssn e l'industria farmaceutica a concentrare ogni possibile sforzo per l'analisi fattiva di questa grave situazione".


Fonte

Roma, 4 dic. (Adnkronos Salute)


Commento di Luca Puccetti

Un altro rapporto allarmante che dipinge a tinte fosche il livello delle cure che ricevono in Italia i pazienti affetti da artrite, che si affianca ad altrettanto disperati gridi di allarme che si levano dal rapporto CENSIS sull'AR ( vedi: http://www.censis.it/277/372/6411/6626/6633/6634/content.ASP).

Come abbiamo già avuto modo di chiarire (vedi referenza 4) tali raffigurazioni sono alquanto grottesche, non corrispondendo affatto alla realtà. Sembra che ci sia un interesse da parte di alcuni a voler sottolineare che i farmaci biologici, risorsa preziosa ed in certi casi in grado di cambiare radicalmente la vita di alcuni pazienti, in Italia non vengono prescritti a chi ne potrebbe beneficiare.

Si deve convenire che possono esserci, a macchia di leopardo, ritardi e carenze, ma i pazienti di artrite possono stare tranquilli: in Italia ricevono, mediamente, un'assitenza adeguata e proprorzionata al livello di gravità di malattia ed alle possibilità concrete e ragionevolmente prevedibili di risposta terapeutica.

Ogni intervento che si realizzi nella pratica clinica di tutti i giorni si deve porre il problema della trasferibilità dei dati dei trials clinici, quasi sempre di breve durata, cui partecipano individui selezionati, spesso senza comorbidità e con un livello omogeneo di gravità di malattia, alla realtà, che è ben più multiforme e complessa, con pazienti che presentano spesso comorbidità e diversi gradi di severità di malattia e deve altresì considerare la sostenibilità dell'intervento in un periodo di tempo ragionevolmente lungo affinchè i cosiddetti end points clinicamente rilevanti, qui rappresentati dalla qualità di vita, dal controllo delle erosioni e dalla funzionalità, possano esser valutati con una giusta prospettiva temporale.

Alcune varianti cliniche di AR presentano un andamento relativamente benigno, ben controllabile con una terapia precoce con farmaci steroidei e con farmaci di fondo "convenzionali". Nei pazienti più gravi o in caso di fallimento terapeutico con farmaci di primo livello possono essere considerati i biologici, nelle loro varie articolazioni. Dato che alcune artriti presentano un andamento precocemente erosivo ed invalidante si è molto discusso sul concetto di early arthritis (tenendo presente che comunque per la diagnosi sono necessarie almeno 6 settimane) per cercare di somministrare a questi casi, precocemente evolutivi verso la disabilità, quanto prima possibile i farmaci biologici. Si è cercato di delineare dei criteri per poter predire quali casi rientrino tra quelli a rapida evolutività, ma ad oggi non è sempre possibile identificare quali pazienti avranno un'evoluzione precocemente sfavorevole e quali potranno rispondere in modo soddisfacente alle terapie convenzionali.

I farmaci biologici sono molto efficaci, ma non sono una panacea e possono presentare rischi di reazioni avverse, specie, ma non solo, dal punto di vista infettivo (vedi il contributo di Patrizia Iaccarino, 5) ed hanno una percentuale media di mantenimento in terapia a 2 anni di circa il 50%.

Nello studio GISEA ( J.Rheumatology 2007;34:1670-3) su 1257 pazienti con RA di lunga durata che iniziavano un farmaco anti-Tumor Necrosis Factor, 682 erano ancora in terapia a 6 mesi (54%): il 32% non aveva riportato significativi benefici clinici ed il 14% aveva interrotto il trattamento per eventi avversi.

Il rapporto Cochin dimostra inoltre che il retention rate (il mantenimento della terapia) con alcuni farmaci biologici è minore nella pratica clinica rispetto a quanto osservato nei trials. Percentuali superiori (70% a 1-2 anni) di retention rate sono state osservate in altri paesi come Svezia, Danimarca e Germania. Ragionando sul complesso dei dati disponibili, il retention rate dei diversi biologici, valutato su 20 lavori per un totale di 7000 pazienti, dimostra che ci si può attendere un’interruzione del trattamento intorno al 20% nel primo anno di cura, percentuale che supera il 30% a due anni per arrivare a 40% a tre anni (Benucci M., 2008).

Per cercare di superare questi limiti sono stati proposte strategie basate sull' aumento delle dosi o sullo "switching", con risultati ancora da valutare e comunque controversi.

I farmaci biologici sono certamente una risorsa preziosa che, anche in considerazione del costo, deve essere usata allorquando risulti realmente appropriata, ossia nelle forme con diagnosi ben definita e che non rispondano, dopo un tempo adeguato di terapia, ai trattamenti di primo livello.

Anche con la precocità di prescrizione non si deve esagerare, se da un lato è opportuno assicurare le cure appropriate tempestivamente, prima che si manifestino gravi danni articolari, altresì non si deve correre il rischio di trattare con farmaci potenti e potenzialmente forieri di reazioni avverse, anche gravi, pazienti con artriti reattive classificate per troppo zelo come "very, very early arthritis" o pazienti con artriti reumatoidi curabili con successo con i farmaci di primo livello, come spesso succede quando l'esordio avviene in età avanzata.

Un'eccessiva pressione al fine di aumentare sensibilmente le prescrizioni dei farmaci biologici potrebbe mettere a repentaglio la sostenibilità del sistema sanitario farmaceutico pubblico ed indurre gli Organi Regolatori, specie nell'attuale contesto di ristrettezza delle risorse, ad attuare una sorta di "stretta della rimborsabilità", che potrebbe creare difficoltà ancora maggiori ai pazienti che necessitano effettivamente dei trattamenti più potenti e costosi.

Il ricorso ai centri specialistici dovrebbe essere riservato solo ai casi gravi, o non rispondenti ai farmaci biologici di primo livello. Un'eccessiva concentrazione delle prescrizioni dei biologici presso i centri di secondo livello, come avviene oggi, potrebbe allungare ulteriormente le liste di attesa e rendere ancora più difficile l'accesso ai Centri Specialistici ai pazienti che ne hanno effettivamente bisogno e creare delle insopportabili ed ingiuste disparità tra pazienti affetti dalla stessa malattia, ma con diverse possibilità di accesso a tali centri.

In Italia spesso si mischia impropriamente l'assistenza con la ricerca clinica. E' comprensibile che i Centri ove si compie ricerca clinica abbiano la possibilità di reclutare i pazienti anche per i trials, tuttavia l'attuale sistema rischia di creare un'eccessiva concentrazione di conoscenze e di potere decisionale, che possono divenire un reale ostacolo al consolidarsi di una diffusa esperienza clinica, all'accesso all'assistenza pubblica ed alla libertà di scelta del paziente del proprio medico di fiducia e del luogo di cura.

Anche da un punto di vista di corretta allocazione delle risorse non è neppure il caso di ricordare che la formazione di medici in generale e dunque anche di specialisti reumatologi, comporta, anche per lo Stato, un dispendio di risorse non indifferente; sarebbe assai miope se tali risorse fossero impiegate per formare specialisti che non venissero poi messi nella condizione di acquisire l'esperienza necessaria per curare i pazienti che ne hanno bisogno con i farmaci innovativi. Ovviamente esiste anche l'esigenza di garantire le condizioni affinché gli operatori abbiano la concreta possibilità di acquisire una sufficiente esperienza nella gestione dei farmaci biologici. Una proliferazione eccessiva dei centri prescrittivi, potrebbe portare a casistiche molto esigue per singolo centro e dunque esporre al rischio di non far acquisire ai prescrittori una sufficiente esperienza d'uso.

D'altro canto la maneggevolezza di alcuni di tali farmaci appare soddisfacente, certamente non più critica di quella di altri presidi largamente prescritti in ambito specialistico, quali ad esempio i chemioterapici. Pertanto occorre un grande equilibrio tra le varie esigenze, senza esagerazioni e senza bramosie eccessive.

Riferimenti bibliografici

1) http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=3852

2) http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=3104

3) http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=2072

4) http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4359

5) http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4372

6) http://www.censis.it/277/372/6411/6626/6633/6634/content.ASP

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