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Efficacia delle statine nell’ipercolesterolemia familiare
Inserito il 26 ottobre 2009 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Le statine sono efficaci in prevenzione primaria nei soggetti con ipercolesterolemia familiare ma, dalle evidenze attualmente disponibili, il livello di colesterolo deve essere ridotto di almeno il 50% rispetto ai valori iniziali

Da quando le statine sono state commercializzate, non è stato effettuato nessun trial clinico versus placebo nei pazienti affetti da ipercolesterolemia familiare, in quanto considerato non etico. In questo studio è stato analizzato l’effetto delle statine sul rischio di sviluppare coronaropatie nei pazienti affetti da ipercolesterolemia familiare.

Tra il 1989 ed il 2002 sono stati reclutati 2400 pazienti affetti da ipercolesterolemia familiare provenienti da 27 centri olandesi, già precedentemente valutati (Jansen AC et al. J Intern Med 2004;256:482-90). In particolare, sono stati analizzati i dati dei pazienti arruolati a partire dal 1 Gennaio 1990, data in cui è stata commercializzata in Olanda la prima statina (simvastatina).
Sono stati esclusi i pazienti con una precedente diagnosi di coronaropatia, con l’obiettivo di avvicinarsi il più possibile ad un trial clinico in prevenzione primaria. È stata inoltre valutata la concentrazione serica di lipidi in pazienti che non assumevano ipolipemizzanti da almeno 6 settimane, ed i livelli di LDL sono stati calcolati applicando la formula di Friedwald (Friedewald W, et al. Clin Chem 1972;18:499-502). Il rischio di infarto del miocardio è stato calcolato confrontando i pazienti con più di 55 anni con una popolazione del Rotterdam Study (Hofman A et al. Eur J Epidemiol 1991;7:403-22.), in pazienti mathcati ad hoc per età e sesso.

Le coronaropatie identificate come outcome principale sono state: infarto del miocardio (con sintomi classici per più di 15 min o tipiche anomalie elettrocardiografiche o aumento degli enzimi cardiaci >2 volte i limiti superiori alla norma), angioplastica o bypass coronarico. L’angina non è stata considerata un outcome principale, dal momento che nel Rotterdam Study non erano disponibili tali dati. I pazienti con precedenti eventi coronarici sono stati esclusi.

Dei 2400 pazienti disponibili per lo studio dal 1990, 254 sono stati esclusi per la presenza di coronaropatie ed altri 188 perché i dati erano incompleti. Dei 1950 pazienti rimasti, 413 assumevano statine all’inizio dello studio mentre 1294 hanno cominciato ad assumerle durante il follow-up.
I pazienti sono stati seguiti per 8,5 anni in media (DS, deviazione standard 3,1 anni). Tra i 7473 pazienti/anno che assumevano statine e i 9319 pazienti/anno che non le assumevano, 408 hanno manifestato un primo evento coronarico; di questi, 161 erano in trattamento con statine per un periodo medio di 3,4 anni (mediana 2,7 anni, range 1 mese – 11,6 anni).
La maggior parte dei pazienti (n=1167) era in trattamento con simvastatina alla dose media di 33 mg/die (DS 20 mg), con una riduzione media del 44% (DS 16%) di colesterolo LDL rispetto al periodo di non trattamento. Altri 211 pazienti erano in trattamento con atorvastatina alla dose media di 49 mg/die (DS 20 mg), con una riduzione media del 49% (DS 15%) di colesterolo LDL. Pravastatina e fluvastatina erano le statine meno utilizzate.

Nei pazienti con ipercolesterolemia familiare, il rischio assoluto di manifestare un evento coronarico è risultato di 11/1000 anni-persona nei pazienti trattati con statine e di 119/1000 anni-persona nei non trattati. Tra i soggetti non trattati, i nuovi eventi coronarici si sono manifestati più precocemente (48,6 vs 50,9 anni, p=0.05). Inoltre, il gruppo trattato mostrava nel tempo una riduzione significativa degli eventi coronarici (p<0,001).
Dopo un aggiustamento per età e sesso, si è assistito ad una riduzione del 76% del rischio di manifestare un evento coronarico (HR 0.24, IC 95% CI 0.18-0.30, p<0,001) nei pazienti trattati rispetto ai non trattati. Aggiustamenti ulteriori per variabili quali fumo, livelli basali di colesterolo LDL ed HDL, diabete ed ipertensione risultavano in una riduzione del rischio dell’82% (HR 0.21, 0.13-0.25, p<0,001).
Come pronosticabile, le donne avevano un rischio 2.5 volte inferiore di sviluppare una coronaropatia rispetto agli uomini. Limitando l’analisi alle sole donne, la riduzione del rischio era del 79% rispetto alle donne non trattate (HR 0.18, 0.13-0.34, p<0,001). Negli uomini la riduzione del rischio era dell’83% (HR 0.17, 0.11-0.26).

I fattori di rischio per coronaropatia (fumo, ipertensione, diabete, livelli elevati di LDL) erano ovviamente più frequenti nei pazienti con eventi coronarici. Una sottoanalisi per questi gruppi ha suggerito che non esistevano differenze di efficacia tra le statine in questi soggetti. La numerosità del campione era comunque troppo esigua per poter trarre delle conclusioni significative.

I pazienti >55 anni con infarto del miocardio (n=261, 64 uomini) sono stati confrontati con 1975 infartuati ricavati dal Rotterdam Study, matchati per età e sesso. Il rischio assoluto dei pazienti della coorte in oggetto era di 6.7/1000 anni-persona nei pazienti trattati, di 60.5/1000 anni-persona nei soggetti non trattati e di 4.1/1000 anni-persona nel Rotterdam Study. Il periodo di tempo tra l’inizio del trattamento e l’insorgenza dell’evento coronarico (event-free survival) non differiva in maniera significativa nei pazienti trattati con statine rispetto a quello del Rotterdam Study (p=0.07).
Dopo aver aggiustato questi risultati per età e sesso, il rischio di infarto del miocardio della coorte in oggetto era più alto di quello del Rotterdam Study, ma in maniera non significativa (HR 1.44, 0.80-2.60), mentre il rischio di infarto nei soggetti non trattati superava di 8.7 volte quello riportato dal Rotterdam Study (HR 8.69,4.77-15.82).


Questo studio mostra una riduzione dell’80% del rischio di manifestare un evento coronarico nei pazienti con ipercolesterolemia familiare trattati con dosi relativamente modeste di statine rispetto ai non trattati, senza una differenza significativa della riduzione del rischio fra uomini e donne .
Inoltre, i dati dello studio mostrano come nei soggetti >55 anni trattati con statine il rischio di infarto del miocardio sia sovrapponibile a quello della popolazione generale.


Tra i limiti dello studio gli autori sottolineano la mancanza di randomizzazione dei pazienti. Inoltre, i pazienti che hanno iniziato il trattamento dopo il 1990 potrebbero rappresentare un sottogruppo di soggetti a maggior rischio; potrebbero cioè essere stati selezionati perché si temeva una più rapida progressione del loro stato patologico. Comunque, alla luce dei dati prodotti, sembra inverosimile aver sottostimato una riduzione del rischio in questi pazienti. L’approccio utilizzato dagli autori potrebbe aver sovrastimato l’effetto dei farmaci, dal momento che lo studio non è controllato con placebo. Inoltre, i pazienti potrebbero aver cambiato il loro stile di vita in coincidenza con l’inizio del trattamento, anche se i dati sui fumatori sembrano non suggerirlo.

Nella discussione dello studio, vengono enfatizzati alcuni punti cruciali. In primo luogo, le dosi utilizzate dai pazienti erano più basse di quelle raccomandate (80 mg sia per atorvastatina che simvastatina) (AbramsonJ, Wright JM. Lancet 2007;369:168-9). Di contro, questi risultati non possono essere applicati anche in prevenzione secondaria, appunto per l’esclusione dallo studio dei pazienti con precedenti eventi coronarici. In secondo luogo, al contrario di ciò che raccomanda l’American Academy of Pediatrics, si rileva che il trattamento aggressivo con statine non sembra necessario nei giovani adolescenti (Daniels SR et al. Pediatrics 2008; 122: 198-208).

Gli autori concludono che le statine, a dosi ancora minori di quelle comunemente raccomandate, determinano un’impressionante riduzione del rischio di coronaropatie in pazienti affetti da ipercolesterolemia familiare. Raccomandano dunque di iniziare immediatamente il trattamento con statine subito dopo la diagnosi di ipercolesterolemia familiare, dal momento che il trattamento riduce il rischio di avere un evento coronarico, portandolo a livelli sovrapponibili a quelli della popolazione generale.


Commento

L’editoriale di accompagnamento allo studio, richiama l’attenzione sui risultati dello studio, in particolare rispetto alla dosi utilizzate ed al punto riguardante i pazienti pediatrici. Per quel che riguarda le dosi, il raggiungimento di una riduzione del 44% dei livelli di colesterolo LDL con soli 33 mg/die di simvastatina è in contrasto con i risultati di una recente metanalisi che mostra come la massima dose/die in commercio di simvastatina (80 mg/die) utilizzata a breve termine causi una riduzione del 42% del colesterolo LDL (Law M et al. BMJ 2003; 326: 1423-9). Dal momento che la curva dose-risposta nell’ipercolesterolemia familiare è simile a quella dei soggetti non affetti (Mol MJTH et al. Lancet 1986; i: 936-9), lo studio sembra sottostimare le dosi di statine utilizzate, forse a causa di un aumento progressivo del dosaggio nel corso del follow-up di 8,5 anni o a causa dello switch verso statine più potenti per cui è richiesto un dosaggio più contenuto.

Per quel che riguarda i pazienti pediatrici, l’editoriale tiene a sottolineare che il trattamento resta comunque quasi certamente efficace nella tarda adolescenza e che una terapia più precoce dovrebbe essere presa in considerazione in base alle caratteristiche cliniche del singolo paziente.

In conclusione, quindi, le statine sono efficaci in prevenzione primaria nei soggetti con ipercolesterolemia familiare ma, dalle evidenze attualmente disponibili, il livello di colesterolo deve essere ridotto di almeno il 50% rispetto ai valori iniziali.

Conflitto di interesse

Due autori hanno ricevuto fondi da industrie farmaceutiche, ma non per questo studio.

Dottor Francesco Salvo

Riferimenti bibliografici

Versmissen J et al. Efficacy of statins in familial hypercholesterolaemia: a long term cohort study. BMJ 2008; 337: a2423 doi:10.1136/bmj.a2423.
Statins and familial hypercholesterolaemia LDL cholesterol should be lowered by at least 50% from baseline. BMJ 2008;337:a3041 doi: 10.1136/bmj.a3041


Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/

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