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La salute dell'individuo è anche interesse della collettività |
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Inserito il 24 febbraio 2009 da admin. - medicina_legale - segnala a:
Nelle motivazioni con cui la Corte Costituzionale respinge i dubbi di legittimità costituzionale avverso l'imposizione delle cinture di sicurezza si ribadisce l'importante principio che la salute dell'individuo anche interesse della collettività e che pertanto la collettività può imporre limitazioni alla volontà dell'individuo.
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 172 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato dal decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, in legge 1° agosto 2003, n. 214 (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 27 giugno 2003, n. 151, recante modifiche ed integrazioni al codice della strada), promosso con ordinanza del 29 gennaio 2008 dal Giudice di pace di Pistoia nel procedimento civile vertente tra TM ed il Comune di Pistoia, iscritta al n. 109 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 2008.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 14 gennaio 2009 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.
Ritenuto che nel corso di giudizio di opposizione a verbale della Polizia municipale di Pistoia in data 3 febbraio 2007, di contestazione della violazione del mancato uso della cintura di sicurezza, il Giudice di pace di Pistoia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 172 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato dal decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, in legge 1° agosto 2003, n. 214 (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 27 giugno 2003, n. 151, recante modifiche ed integrazioni al codice della strada), per violazione degli artt. 2, 3 13 e 32, secondo comma, della Costituzione, e inoltre per violazione dell'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dalla legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), nonché dell'art. 29, secondo comma, della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948;
che il giudice a quo riferisce che il ricorrente ha dedotto di essere in condizione di obesità, con conseguente difficoltà di allacciamento della cintura di sicurezza; di aver chiesto di rendere dichiarazioni a verbale, non venendogli ciò permesso dagli agenti; di aver presentato domanda di esenzione dall'obbligo di indossare la cintura di sicurezza, non appena venuto a conoscenza di averne i requisiti;
che, in punto di rilevanza, il Giudice di pace di Pistoia afferma che essa risulta ictu oculi poiché, ove la Corte costituzionale dichiarasse l'incostituzionalità dell'art. 172 cod. strada, verrebbe a cadere ogni fondamento del verbale di contravvenzione;
che il contravventore, peraltro, ha ammesso di non aver indossato la cintura;
che, con riguardo alla non manifesta infondatezza della questione, il rimettente osserva: a) che la prescrizione di doversi legare al mezzo di trasporto contrasterebbe con l'art. 2 Cost., giacché i diritti inviolabili dell'uomo e lo sviluppo della sua personalità risultano gravemente compressi; b) che il “soffocante” obbligo di far uso delle cinture violerebbe l'art. 3 Cost., perché è previsto solo per alcuni soggetti, essendone esentate numerose categorie di cittadini, e non riguarda tutti i veicoli; c) che il predetto obbligo contrasterebbe inoltre con l'art. 13 Cost., non costituendo misura di prevenzione atta a evitare danni a terzi, ma paternalistica previsione dell'ordinamento nei confronti del singolo, considerato in posizione di inferiorità etica e psicologica, retaggio di ordinamenti assolutistici e illiberali, in stridente contrasto con i principi dello Stato democratico; d) che l'obbligo di cui si tratta contrasterebbe con l'art. 32, secondo comma, Cost., che impone il rispetto della persona umana e la dignità delle scelte della stessa, nel senso che la legge non può in alcun caso violare il diritto all'autodeterminazione e il diritto di disporre del proprio corpo; e) che le sanzioni per il mancato uso delle cinture sarebbero irragionevolmente repressive, rispetto ad altre violazioni diversamente punite; f) che la norma impugnata sarebbe in contrasto con l'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, per via degli invasivi controlli all'interno dell'abitacolo della vettura, a cura degli organismi deputati al rispetto della norma, nonché con l'art. 29 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità, per omessa motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza, e, comunque, per l'infondatezza della questione, tenendo conto: a) che l'obbligo di indossare la cintura risponde alla scelta legislativa discrezionale di salvaguardare la persona del guidatore e del passeggero dalle conseguenze traumatiche di incidenti stradali; b) che, quanto al trattamento sanzionatorio, «il legislatore si è legittimamente sganciato dal sistema minimo/massimo, annullando un apparato avente un'efficacia davvero inibitoria e comunque tale da consentire il recupero dei punti perduti», assicurando così una funzione rieducativa superiore a quella della sanzione pecuniaria; c) che la giurisprudenza costituzionale è costante nell'attribuire alla discrezionalità legislativa sia l'individuazione delle condotte punibili, sia la scelta e la quantificazione delle relative sanzioni.
Considerato che il Giudice di pace di Pistoia dubita della legittimità costituzionale dell'art. 172 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato dal decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, in legge 1° agosto 2003, n. 214 (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 27 giugno 2003, n. 151, recante modifiche ed integrazioni al codice della strada), nella parte in cui impone l'obbligo dell'uso della cintura di sicurezza e prevede sanzioni in caso di mancato uso, per violazione dell'art. 2 Cost., per la grave compressione dei diritti inviolabili dell'uomo e dello sviluppo della sua personalità; dell'art. 3 Cost., per la previsione di esenzione dall'obbligo solo per alcune categorie di cittadini e di veicoli; dell'art. 13 Cost., per la violazione della libertà personale; dell'art. 32, secondo comma, Cost., per contrasto con il rispetto dovuto alla persona umana; del principio di ragionevolezza, essendo il trattamento sanzionatorio abnormemente più severo rispetto ad altre ipotesi di maggior gravità; dell'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dell'art. 29, comma 2, della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948;
che è manifestamente infondata la questione di costituzionalità relativamente ai parametri di cui agli artt. 2 e 3 Cost. con riguardo specificamente all'irragionevolezza del trattamento sanzionatorio (decurtazione dei punti patente), atteso che l'individuazione delle condotte punibili e la scelta e quantificazione delle relative sanzioni rientrano nella discrezionalità del legislatore (ordinanze n. 204 del 2008 e n. 169 del 2006);
che la presenza di categorie esentate dall'uso delle cinture di sicurezza non è costituzionalmente rilevante, in quanto ciò risponde ad una scelta non irragionevole del legislatore (ordinanza n. 348 del 2001);
che parimenti insussistente è la violazione dell'art. 32 Cost., in quanto questa Corte, con riguardo alla prescrizione dell'obbligo del casco per conducenti di motoveicoli, ha ammesso – e tale principio è estensibile all'obbligo delle cinture di sicurezza – che il legislatore consideri la salute dell'individuo anche interesse della collettività, prescrivendo certi comportamenti e sanzionandone l'inosservanza, allo scopo di ridurre il più possibile le pregiudizievoli conseguenze, dal punto di vista della mortalità e della morbilità invalidante, degli incidenti stradali (sentenza n. 180 del 1994);
che la protezione della salute del singolo come interesse della collettività è dunque tale da ammettere una trascurabile limitazione della libertà personale (sentenza n. 20 del 1975), intesa come impedimento di fatto, che non costituisce in alcun modo costrizione (che deve essere fisicamente apprezzabile e duratura), giacché non impedisce il raggiungimento dello scopo per cui è concepito l'uso dell'autovettura, e cioè quello del trasferimento da un luogo ad un altro;
che le medesime considerazioni valgono anche con riferimento al principio di autodeterminazione, di cui all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (Corte europea dei diritti dell'uomo 29 aprile 2002, Pretty c. Regno Unito);
che, quanto alla sottoposizione a controlli, l'inconveniente e la violazione della vita privata che ne consegue (con la dedotta violazione della Dichiarazione universale) non discende dall'obbligo della cintura, ma dal potere ispettivo degli organi di controllo, che è conferito da altre norme;
che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 172 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato dal decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, in legge 1° agosto 2003, n. 214 (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 27 giugno 2003, n. 151, recante modifiche ed integrazioni al codice della strada), sollevata – in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 32, secondo comma, della Costituzione, all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dalla legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), e all'art. 29, secondo comma, della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 – dal Giudice di pace di Pistoia, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 febbraio 2009.
F.to:
Giovanni Maria FLICK, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 febbraio 2009.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
[b[Fonte[/b] Corte Costituzionale Ordinanza n. 49/09 depositata il 18 febbraio 2009
Commento di Luca Puccetti
La Corte di Cassazione ha recentemente riconosciuto il diritto di poter sospendere nutrizione e idratazione artificiali (NA) in un paziente in Stato Vegetativo (SV) del quale sarebbe stata comprovata (per alcuni giudici) una chiara volontà in tal senso.
La presente Ordinanza ribadisce tuttavia che l'autodeterminazione dell'individuo non è assoluta, ma limitabile da interessi espressi dalla collettività.
Sul piano metagiuridico l’autodeterminazione dell’individuo non può essere assoluta, tale assunto è concetto che prescinde da ogni “legge” specifica, è un prerequisito al formarsi di ogni comunità. Anche sul piano costituzionale non esiste infatti un’autodeterminazione assoluta dell’individuo, ma essa è limitabile e limitata appunto da leggi espresse dalla comunità in cui vive. L’art 32 della Costituzione recepisce semplicemente questo concetto meta-giuridico. Dunque un individuo che faccia parte della comunità italiana è soggetto alle limitazioni dell’autodeterminazione previste dalla legge.
Tuttavia sul piano dell’ordinamento non esiste un obbligo a curarsi a carico del soggetto che può rifiutare trattamenti sanitari in base al principio di autodeterminazione di cui all’articolo 13 della Costituzione.
E’ altresì noto che la vita, come la libertà non sia “bene” disponibile, anche sul piano giusnaturalistico. Se qualcuno volesse scientemente farsi schiavo di altro soggetto il “contratto” sarebbe giuridicamente nullo. L’indisponibilità alla vita è valore logicamente e giuridicamente e comprovato anche indirettamente, dalla sussistenza del reato di omicidio del consenziente e dell’ istigazione al suicidio. Il fatto che chi tenti di uccidersi senza riuscirci non venga punito non rende giuridicamente lecito l’atto del tentativo suicidario. Dunque il diritto a rifiutare cure, se compiuto dopo adeguata informazione, in piena facoltà e validamente espresso, come più sotto verrà meglio eplicitato, è atto non punibile, alla stregua del suicidio.
Tale fattispecie trova la sua base razionale nel fatto che la vita e la libertà di ogni singola persona sono anche beni di interesse collettivo. Lo stesso articolo 32 introduce anche il concetto dell’interesse della società alla salute del singolo. Da tutto il complesso dell’ordinamento giuridico si ricava pertanto che l’autoterminazione dell’individuo non è assoluta, ma limitata da norrme espresse dalla comunità per il tramite dell’azione legislativa costituita e che la salute del singolo è valore di interesse collettivo. Tale interese collettivo, se espresso mediante leggi, può dunque prevalere, in linea teorica, sull’autodeterminazione del singolo.
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