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Di incerta utilità l'ASA nell'arteriopatia obliterante degli arti inferiori
Inserito il 03 marzo 2010 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

La terapia con aspirina è stata associata ad una significativa riduzione di stroke non fatale, ma non ha determinato effetti positivi sugli altri outcome secondari.

L’aspirina è efficace nella prevenzione di eventi cardiovascolari in pazienti con coronaropatia sintomatica e malattia cerebrovascolare, ma non è ancora stato chiarito il suo effetto sui pazienti con arteriopatia periferica (PAD).
La più ampia ricerca finora effettuata, la metanalisi Antithrombotic Trialists’ Collaboration (ATC), che ha coinvolto 135.000 pazienti ad alto rischio provenienti da 287 trial, ha dimostrato una riduzione di infarto del miocardio (IM), stroke e decesso con la terapia antiaggregante in tutti i pazienti con malattia cardiovascolare sintomatica (BMJ 1994; 308:81-106; BMJ 2002;324:71-86). Nel sottogruppo di 42 trial relativi alla PAD, che comprendeva 9214 pazienti nei quali diversi antiaggreganti piastrinici sono stati confrontati rispetto a placebo, la terapia antiaggregante è stata associata ad una riduzione significativa del 23% degli eventi cardiovascolari. Tuttavia, quasi 2/3 dei trial sulla PAD hanno valutato antiaggreganti diversi dall’aspirina.

Nonostante la scarsità di dati a supporto della terapia con aspirina in pazienti con PAD, le principali linee guida internazionali e statunitensi citano la metanalisi ATC a supporto della prescrizione di aspirina come terapia di prima scelta nei pazienti con PAD. La FDA, peraltro, ha concluso che non ci sono sufficienti evidenze a favore dell’indicazione di aspirina nel trattamento della PAD e il Transatlantic InterSociety Consensus (TASC) II ha attribuito all’aspirina il livello C di raccomandazione per i pazienti con PAD isolata (senza evidenze cliniche di malattia coronarica o cerebrovascolare).

Per stabilire il beneficio dell’aspirina nel trattamento della PAD, questa metanalisi ha valutato le evidenze provenienti da RCT prospettici sull’aspirina in monoterapia o in associazione ad altri antiaggreganti. è stata testata l’ipotesi nulla, cioè che l’aspirina non fosse differente dal placebo o dal controllo nel ridurre il rischio di un end point primario combinato di IM non fatale, stroke non fatale e morte per cause cardiovascolari.

I criteri di inclusione erano i seguenti: RCT sia in aperto che in cieco; randomizzazione dei pazienti con PAD ad aspirina o placebo o controllo; disponibilità di dati su mortalità per tutte le cause, da cause cardiovascolari, IM, stroke ed eventi emorragici maggiori.

L’outcome primario era la riduzione del rischio relativo (RR) da parte della terapia con aspirina sull’end point composito di IM non fatale, stroke non fatale e mortalità cardiovascolare in una popolazione trattata con aspirina (con o senza dipiridamolo).
Gli outcome secondari erano la mortalità per tutte le cause ed i singoli componenti dell’end point primario. L’outcome primario di sicurezza era l’insorgenza di eventi emorragici maggiori.

Sono stati selezionati 18 RCT che hanno coinvolto 5269 pazienti: 7 RCT hanno confrontato l’aspirina in monoterapia vs placebo o un controllo, 7 RCT hanno valutato l’associazione aspirina+dipiridamolo vs placebo o un controllo e 4 RCT prevedevano più bracci di trattamento (aspirina in monoterapia, aspirina+dipiridamolo e placebo).
Dei 5269 soggetti, 2823 sono stati randomizzati ad aspirina (di cui 1516 in monoterapia) vs 2446 a placebo o al controllo. La durata del follow-up variava da 10 giorni a 6,7 anni.
Le dosi di aspirina variavano da 100 mg/die a 1500 mg/die per la monoterapia e da 25 mg a 325 mg 3 volte/die per l’associazione con dipiridamolo (75 mg/3 volte/die). La popolazione con PAD includeva anche i pazienti con claudicatio, quelli da sottoporre ad intervento percutaneo o bypass ed i pazienti asintomatici con indice caviglia-braccio ≤0,99.

Per quanto riguarda l’effetto di aspirina vs placebo o controllo sull’end point primario, sono stati registrati 251 (8,9%) eventi cardiovascolari nei 2823 pazienti trattati con aspirina rispetto ai 269 (11,0%) eventi registrati nei 2446 controlli. Il RR aggregato ha evidenziato una riduzione del 12% del tasso di eventi cardiovascolari, non statisticamente significativa (RR 0,88; IC 95% 0,76-1,04).
I risultati per le terapia di associazione sui singoli componenti dell’end point primario ha messo in evidenza un rischio di stroke non fatale significativamente più basso nel gruppo trattato con aspirina rispetto al placebo (52 eventi su 2823 pazienti [1,8%]) od al controllo (76 eventi su 2446 pazienti [3,1%]; RR 0,66; IC 95% 0,47-0,94).
Non sono state riscontrate differenze significative per gli altri end point secondari.

Il rischio di emorragia non è risultato significativamente aumentato (51 eventi su 2823 pazienti [1,8%] vs 44 eventi su 2446 pazienti [1,8%]; RR 0,99; IC 95% 0,66-1,50). Nella maggior parte degli studi, comunque, gli eventi emorragici non erano stati formalmente valutati o riportati, limitando quindi la possibilità di stabilire un’associazione con l’aspirina.

Per quanto concerne gli effetti dell’aspirina in monoterapia sull’end point primario, sono stati registrati 125 eventi cardiovascolari su 1516 pazienti (8,2%) rispetto ai 144 su 1503 pazienti (9,6%) randomizzati a placebo o controllo (RR 0,75; IC 95% 0,48-1,18). La monoterapia con aspirina è stata associata ad una significativa riduzione del rischio di stroke non fatale (32 eventi su 1516 pazienti [2,1%] vs 51 eventi su 1503 pazienti [3,4%]; RR 0,64; IC 95% 0,42-0,99), mentre non ci sono state differenze significative in riferimento agli altri outcome secondari.

Per quanto riguarda la variabilità della dose, 2 trial con aspirina in monoterapia vs placebo hanno impiegato dosi basse (100 mg/die), riportando 112 eventi cardiovascolari su 823 trattati con aspirina rispetto a 127 su 819 pazienti assegnati a placebo (13,6% vs 15,5%; RR 0,64; IC 95% 0,25-1,68). Anche se il beneficio derivante dall’impiego di una dose bassa non era significativo, la popolazione studiata era piuttosto piccola e l’intervallo di confidenza ampio, limitando così la possibilità di rilevare importanti effetti cardioprotettivi.

Due trial inseriti in questa metanalisi, il Prevention of Progression of Arterial Disease and Diabetes (POPADAD, BMJ 2008; 337: a1840. doi: 10.1136/bmj.a1840) ed il VA-Cooperative (J Diabet Complications 1989; 3: 191-7) hanno arruolato esclusivamente pazienti affetti da diabete e PAD, dimostrando che il RR su end point cardiovascolari compositi era molto vicino ad 1,00. Sebbene la differenza nella riduzione del rischio tra questi 2 studi ed altri non sia statisticamente significativa, non può essere esclusa la possibilità di una diversificazione dell’effetto in popolazioni con o senza diabete. Questi 2 studi contribuiscono per circa il 60% dei dati dell’analisi per l’outcome primario, quindi i risultati potrebbero essere interpretati nel contesto di una popolazione totale con elevata prevalenza di diabete. Inoltre, il POPADAD trial includeva il campione più ampio ed il follow-up di maggior durata; quando le analisi sono state effettuate escludendo il contributo di questo trial, l’associazione tra aspirina ed outcome primario era la seguente: 146 eventi su 2185 pazienti trattati con aspirina (6,7%) vs 161 eventi su1808 controlli (8,9%) (RR 0,83; IC 95% 0,67-1,02).


I risultati di questa metanalisi dimostrano che per i pazienti con PAD, la terapia con aspirina (da sola o in associazione con dipiridamolo) non riduce significativamente l’end point primario composito di eventi cardiovascolari (IM non fatale, stroke non fatale e mortalità cardiovascolare), riflettendo forse una limitata potenza statistica.

La terapia con aspirina è stata associata ad una significativa riduzione di stroke non fatale, ma non ha determinato effetti positivi sugli altri outcome secondari. Questi risultati contrastano con la letteratura che sostiene un ruolo più definito per l’aspirina nel trattamento della malattia coronarica sintomatica e di quella cerebrovascolare.




Ci sono diverse possibili spiegazioni per questi risultati: i pazienti con PAD sono meno rappresentati nei trial rispetto a quelli con coronaropatia o malattia cerebrovascolare ed il trial più ampio relativo ad impiego di aspirina nella PAD ha incluso solo 1276 pazienti.
L’efficacia dell’aspirina può anche essere stata influenzata dalle differenze relative alle dosi utilizzate ed all’associazione con dipiridamolo. Anche variazioni nel fenotipo dei pazienti potrebbero aver influenzato i risultati di questa metanalisi, che ha associato pazienti con PAD (di grado lieve, moderato e severo) sintomatici ed asintomatici, pazienti con o senza diabete, pazienti claudicanti e bisognosi di un intervento di rivascolarizzazione periferica.
La PAD può rappresentare una forma diffusa di aterosclerosi con un’elevata componente infiammatoria ed aggregante, meno responsiva all’aspirina rispetto ad altre malattie cardiovascolari. I pazienti con PAD sono a più alto rischio cardiovascolare per un’aumentata presenza di aterotrombosi, disfunzione endoteliale, attivazione piastrinica, insulino-resistenza e diabete, quindi diversi sono i meccanismi che potrebbero spiegare un rischio maggiore. Purtroppo, in molti studi non sono disponibili gli outcome stratificati in base al fenotipo al basale.

Nonostante determini un’inibizione piastrinica irreversibile, l’aspirina è un farmaco antiaggregante più debole rispetto ad altri. Molti studi suggeriscono che l’aspirina ritardi la progressione della PAD, riduca la necessità di rivascolarizzazione degli arti inferiori ed il rigetto nei pazienti sottoposti a procedure di rivascolarizzazione; essa inoltre è raccomandata da molti medici e linee guida nazionali ed internazionali come terapia di prima scelta nei pazienti con PAD, poiché riduce la morbilità e mortalità cardiovascolare in altre popolazioni ad alto rischio e perché è meno dispendiosa. Tuttavia, sulla base dei risultati attuali, appare evidente la necessità di studi comparativi tra aspirina e nuovi e più potenti antiaggreganti in questo setting di pazienti.

I principali limiti di questa metanalisi riflettono i limiti dei trial inclusi, spesso di piccole dimensioni e di breve durata e quindi con minore capacità di rilevare eventi cardiovascolari maggiori. La metanalisi, del resto, non è risultata in grado di rilevare riduzioni del rischio <25% né di stabilire l’impatto dell’aspirina sui singoli componenti dell’end point composito. Pur associando diversi studi, il numero complessivo di eventi in questa analisi è relativamente piccolo e sono stati inseriti trial non originariamente disegnati per esplorare outcome cardiovascolari. La definizione di eventi emorragici maggiori, poi, non è uniforme, rendendo difficile stabilire una misura accurata delle emorragie e del rischio approssimativo. La mancanza di dati per singolo paziente rende infine difficile accertare se sottogruppi specifici di pazienti con PAD possano trarre beneficio dalla terapia con aspirina.

Questa metanalisi non dimostra un beneficio significativo dell’aspirina sugli eventi cardiovascolari rispetto a placebo o controllo nei pazienti con PAD (anche se riduce significativamente il rischio di stroke non fatale), ma le evidenze ad oggi disponibili non sono sufficienti ad escludere piccoli ma importanti benefici dell’aspirina.


Commento

L’editoriale di accompagnamento sottolinea che, nell’interpretare i risultati di questa metanalisi, dovrebbero esserne considerate diversi aspetti. Oltre ai già citati limiti relativi all’ampiezza del campione, è importante rilevare che una parte considerevole dei soggetti inclusi nell’analisi proveniva da 2 studi che comprendevano solo pazienti con PAD e diabete, che è un fattore di rischio maggiore per PAD ed è molto comune nei pazienti con questa patologia, ma i pazienti diabetici potrebbero trarre minori benefici dall’aspirina rispetto ai non diabetici.
Dei 18 trial inclusi nella metanalisi, 15 sono stati pubblicati prima del 1995, ma nel corso degli anni la diagnosi ed il riconoscimento della PAD si sono modificati in misura considerevole, limitando la possibilità di generalizzare questi risultati ai pazienti del 21° secolo. Data poi l’eterogeneità dei risultati, analisi per gruppi stratificati per età, sesso e presenza di diabete potrebbero fornire interessanti informazioni. Solo 2 trial (n=1742) hanno valutato la dose giornaliera di aspirina oggi raccomandata (75-325 mg) e non ci sono dati sufficienti per valutare la monoterapia con aspirina alle dosi oggi raccomandate nei pazienti con PAD.

Secondo l’editoriale che accompagna la metanalisi, queste evidenze arricchiscono le attuali conoscenze sull’associazione tra aspirina ed outcome cardiovascolari in pazienti con PAD, ma, in considerazione dei limiti della metanalisi stessa, i risultati ottenuti non influenzano le raccomandazioni per l’aspirina come importante strumento terapeutico nella prevenzione secondaria dei pazienti con PAD, a meno di non disporre di trial clinici di qualità più elevata.


Conflitto di interesse

Non sono stati erogati finanziamenti per la stesura di questa metanalisi.

Dottoressa Maria Antonietta Catania

Riferimenti bibliografici

Berger JS et al. Aspirin for the prevention of cardiovascular events in patients with peripheral artery disease a meta-analysis of randomized trials. JAMA 2009; 301: 1909-19.

McGrae McDermott M, Criqui MH. Aspirin and secondary prevention in peripheral artery disease. A perspective for the early 21st Century. JAMA 2009; 301: 1927-8.

Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/


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