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I fattori emergenti del rischio cardiovascolare |
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Inserito il 14 giugno 2010 da admin. - cardiovascolare - segnala a:
Secondo un'ampia revisione della letteratura effettuata dalla USPSTF non ci sono motivi per usare i fattori di rischio cardiovascolare emergenti per meglio stratificare il rischio a 10 anni dei pazienti asintomatici senza pregressi eventi.
Il caso Un paziente iperteso di 54 anni, in trattamento con tiazidico ed aceinibitore, si presenta al medico curante con il referto di una visita cardiologica. L'elettrocardiogramma risulta normale, l'esame obiettivo cardiovascolare è nei limiti, la pressione arteriosa misurata durante la visita specialistica risulta di 135/85 mmHg. Nella consulenza viene consigliata l'esecuzione di alcuni esami di laboratorio tra cui il dosaggio della proteina C ad alta sensibilità (hs-PCR), dell'omocisteina e delle lipoproteina (a) al fine di meglio stratificare il rischio cardiovascolare del paziente. Recentemente lo stesso paziente ha eseguito esami ematochimici che mostravano valori normali di glicemia, colesterolemia e trigliceridemia. Il paziente in questione non è diabetico nè fumatore. Il calcolo del rischio cardiovascolare proiettato a 10 anni, secondo il software messo a disposizione dall'Istituto Superiore di Sanità (http://www.cuore.iss.it), fornisce un valore del 7,2%. I fattori di rischio presi in considerazione in questo caso sono quelli classici di Framingham: età, sesso, valore della pressione sistolica, colesterolemia totale, colesterolemia HDL, diabete, fumo, uso di farmaci antipertensivi. E' giustificato in questo paziente ricercare fattori di rischio diversi da quelli classici?
Le prove della letteratura Secondo la United States Preventive Service Task Force probabilmente la risposta a questa domanda è negativa. Dopo ampia revisione della letteratura la Task Force è arrivata alla conclusione che nei soggetti asintomatici senza pregressi eventi cardiovascolari l'uso dei fattori di rischio non tradizionali (o emergenti) non aiuta a meglio valutare il rischio coronarico. Non vi sono evidenze che permettano di valutare rischi e benefici della valutazione di ben 9 fattori di rischio: PCR ad alta sensibilità (hs-PCR), indice braccio-caviglia (ABI index), conta leucocitaria, glicemia a digiuno, spessore dell'intima media carotidea, calcificazioni coronariche valutate mediante TC, omocisteinemia, lipoproteina (a), presenza di patologia periodontale. La finalità di ricercare i fattori di rischio emergenti è, soprattutto, quella di riclassificare soggetti a rischio intermedio in pazienti a rischio più basso o più elevato, in modo da prendere una decisione più appropriata circa l'opportunità di un trattamento farmacologico intensivo in quelli riclassificati come appartenenti all'alto rischio. La revisione della letteratura effettuata dalla Task Force americana ha trovato che per 7 dei 9 fattori di rischio non ci sono evidenze per calcolare quante persone classificate a medio rischio secondo la metodologia tradizionale sarebbero riclassificate in una nuova classe, più bassa o più alta. Per quanto riguarda la hs-PCR, il suo dosaggio permetterebbe di riclassificare ad alto rischio circa l'11% dei pazienti inizialmente screenati come rischio intermedio e, allo stesso tempo, di riclassificare come appartenenti al basso rischio un ulteriore 12%. Questo però soprattutto per gli uomini, mentre per le donne i dati sono più scarsi. Per quanto riguarda l'ABI index i dati sono insufficienti per gli uomini, mentre per le donne circa il 10% sarebbe riclassificata come appartenente all'alto rischio. In ogni caso sia per l'hs-PCR che per l'ABI index i dati a disposizione non permettono di dire se la riclassificazione porterebbe a migliori esiti a distanza. D'altra parte uno screening diffuso con i nuovi fattori di rischio non sarebbe esente da pericoli, come per esempio il trattamento farmacologico sine die senza che vi siano prove di eventuali benefici, oltre a tutta una serie di effetti psicologici legati all'etichettare pazienti asintomatici come portatori di un rischio coronarico elevato.
Conclusione In definitiva, la USPSTF conclude che la valutazione del rischio cardiovascolare per il momento dovrebbe basarsi solo sul classico modello di Framingham. Eventualmente il dosaggio dell'hs-PCR potrebbe essere il candidato migliore da affiancare al modello di Framingham, tuttavia non ci sono prove che cambiamenti nei livelli di questo fattore portino ad una riduzione degli eventi in prevenzione primaria. Il messaggio take away, per il medico pratico, è questo: poichè non ci sono prove convincenti che usare i fattori di rischio cardiovascolare emergenti migliori gli esiti a distanza, il loro uso routinario per meglio stratificare il rischio dei pazienti a rischio intermedio dovrebbe essere scoraggiato. Nel caso del paziente in esame questa conclusione è tanto più valida in quanto il suo rischio è inferiore al 10%.
Renato Rossi
Referenze
1. U.S. Preventive Services Task Force. Using Nontraditional Risk Factors in Coronary Heart Disease Risk Assessment: U.S. Preventive Services Task Force Recommendation Statement. Ann Intern Med 2009 Oct 6; 151: 474-482. 2. Buckley DI et al. C-Reactive Protein as a Risk Factor for Coronary Heart Disease: A Systematic Review and Meta-analyses for the U.S. Preventive Services Task Force. Ann Intern Med 2009 Oct 6; 151: 483-495. 3. Helfand M et al. Emerging Risk Factors for Coronary Heart Disease: A Summary of Systematic Reviews Conducted for the U.S. Preventive Services Task Force. Ann Intern Med 2009 Oct 6, 151: 496-507.
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