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Fibrillazione atriale rivisitata
Inserito il 15 maggio 2011 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Una sintesi sull'inquadramento e sulla terapia della fibrillazione atriale.




Recentemente sono state aggiornate le linee guida sulla fibrillazione atriale sia da parte della Società di Cardiologia Europea sia da parte delle Società Cardiologiche Americane.
A queste linee guida ci siamo rifatti per questa pillola.


Classificazione clinica della fibrillazione atriale

La fibrillazione atriale può essere distinta, da punto di vista dell'evoluzione temporale, in cinque forme, come riassunto nella tabella che segue.


Classificazione della fibrillazione atriale

1) fibrillazione atriale al primo episodio
2) fibrillazione atriale parossistica (forma che termina spontaneamente entro 7 giorni, usualmente entro 48 ore)
3) fibrillazione atriale persistente (forma che dura da più di 7 giorni o che termina grazie a cardioversione elettrica o farmacologica)
4) fibrillazione atriale persistente di lunga durata (forma che dura da almeno 1 anno quando si decide di adottare una strategia volta al controllo del ritmo)
5) Fibrillazione atriale permanente (quando si decide di adottare una strategia volta al controllo della freqeunza, accettando quindi la presenza dell'aritmia; qualora si decida di intraprendere una strategia volta al controllo del ritmo la forma viene ricaclassificata come persistente)

Ognuna di queste cinque forme può a sua volta essere distinta in:

1) sintomatica
2) silente




In base alla gravità dei sintomi l'European Heart Rhythm Association (EHRA) raccomanda di classificare l'aritmia in:



EHRA I: assenza di sintomi
EHRA II: sintomi lievi che non impediscono le normali attività quotidiane
EHRA III: sintomi severi che riducono le normali attività quotidiane
EHRA IV: sintomi disabilitanti che impediscono le normali attività quotidiane





Quali accertamenti richiedere in un paziente con fibrillazione atriale?

Tra gli esami di laboratorio sono indispensabili l'esame emocromocitometrico, la funzionalità renale ed epatica, gli elettroliti ed i test di funzionalità tiroidea, la glicemia ed il profilo lipidico.
Tra gli esamie strumentali, oltre all'elettrocardiogramma standard, vanno ricordati l'ecocardiogramma per valutare la funzionalità cardiaca ed una eventuale cardiopatia o valvulopatia sottostante (eventualmente un ecocardiogramma transesofageo per evidenziare trombi intracavitari), l'elettrocardiogramma dinamico secondo Holter e l'elettrocardiogramam da sforzo se si sospetta una cardiopatia ischemica.



Valutazione del rischio cardioembolico e conseguente trattamento

Attualmente la valutazione del rischio cardioembolico si basa sul CHA2DS2-VASc score, come riassunto nella tabella sottostante.


CHA2DS2-VASc SCORE

Scompenso cardiaco o disfunzione ventricolare sinistra: 1 punto
Ipertensione: 1 punto
Età >= 75 anni: 2 punti
Età 65-74 anni: 1 punto
Diabete mellito: 1 punto
Precedente ictus, TIA, tromboembolismo: 2 punti
Malattia vascolare (pregresso infarto, arteriopatia arti inferiori, placca aortica): 1 punto
Sesso femminile: 1 punto




Il trattamento dipende dal punteggio raggiunto:


Punti 0 e nessun fattore di rischio: ASA 75-325 mg/die oppure (preferibilmente) nessun trattamento antitrombotico
Punti 1: warfarin (target INR 2-3) preferibilmente, oppure ASA 75-325 mg/die
Punti >= 2: warfarin (target INR 2-3)



Anche se non esplicitamente previsto dalle linee guida è consigliabile, quando si inizia una terapia con antagonisti della vitamina K (warfarin), associare, soprattutto nei pazienti a moderato-elevato rischio tromboembolico, una eparina a basso peso molecolare a dosaggio adeguato per i primi giorni, fino al raggiungimento del range desiderato di INR.

Nei casi di fibrillazione atriale parossistica il rischio tromboembolico è verosimilmente simile a quello delle altre forme di fibrillazione atriale. Pertanto la decisione di quale terapia antitrombotica iniziare si basa sulla valutazione del CHA2DS2-VASc score.

Nel flutter atriale il rischio tromboembolico è simile a quello della fibrillazione atriale per cui la strategia terapeutica non cambia.

Un caso particolare è rappresentato dai pazienti in fibrillazione atriale con sindrome coronarica acuta, recente impianto di uno stent coronarico, pregresso infarto miocardico. In questi casi l'uso della triplice o duplice terapia (warfarin + ASA e/o clopidogrel) varia per modalità e durata. Per un approfondimento si rimanda alla consultazione delle linee guida europee [1].

Nei casi di pazienti in trattamento con warfarin che vanno incontro ad ictus nonostante un INR ottimale si consiglia di aumentare l'intensità dell'anticoagulazione (INR 3-3,5) piuttosto che associare un antiaggregante all'anticoagulante.

Il dabigatran, un inibitore diretto della trombina, è un'alternativa al warfarin prevista dalle linee guida americane [2]. Il dabigatran è una possibilità nei pazienti che faticano ad essere in range terapeutico con il warfarin oppure nei casi in cui il monitoraggio dell'INR non può essere eseguito o, infine, nei apzienti a rischio emorragico elevato. Il farmaco non deve essere usato per valori di creatinina clearance inferiori a 15 mL/minuto oppure se vi è una grave epatopatia. Le linee guida ammettono che i pazienti che sono in trattamento con warfarin e che hanno un sufficiente controllo dell'INR probabilmente traggono pochi o nulli benefici dal passaggio al dabigatran.

Nei pazienti che dovrebbero assumere warfarin ma non lo possono fare per intolleranza, controindicazioni o impossibilità ad eseguire periodicamente il monitoraggio un'altra alternativa potrebbe essere l'associazione ASA + clopidogrel.



Strategie terapeutiche

Nei pazienti con fibrillazione atriale instabile caratterizzata da tachicardia e sintomi importanti (ipotensione, lipotimia o sincope, dispnea, dolore toracico, scompenso cardiaco sinistro o sintomi neurologici), è necessario un immedicato ricovero. La terapia deve essere indirizzata a ridurre la frequenza cardiaca e, ove possibile, ripristinare il ritmo sinusale con una cardioversione d'urgenza. I farmaci più usati per ridurre la frequenza cardiaca in emergenza sono il verapamil o il metoprololo somministrati per via infusiva. Nei casi in cui si abbia una grave disfunzione ventricolare sinistra può essere usato l'amiodarone.
Nei casi in cui la fibrillazione atriale sia caratterizzata da marcata bradicardia si usa l'atropina IV ma spesso è necessaria una cardioversione urgente oppure l'impianto di un pace maker temporaneo.

Nella maggior parte dei casi però i pazienti hanno una fibrillazione atriale stabile, vale a dire asintomatica o con sintomi lievi. In queste evenienze si deve decidere se attuare una strategia volta al controllo del ritmo oppure al solo controllo della frequenza cardiaca. Numerosi studi hanno dimostrato che gli esiti hard non differiscono tra le due strategie.



Controllo del ritmo

Per controllo del ritmo si intende un trattamento che:

1) ripristini il ritmo sinusale qualora questo non avvenga spontaneamente (come succede nelle forme parossistiche); il ripristino del ritmo sinusale può avvenire con la cardioversione elettrica o farmacologica

2) eviti le recidive

I migliori candidati al controllo del ritmo sono i pazienti con "lone atrial fibrillation" (vale a dire fibrillazione atriale in assenza di cardiopatia e/o fattori di rischio), soprattutto se giovani. Altri candidati sono i pazienti con fibrillazione atriale parossistica sintomatica oppure con sintomi nonostante un adeguato controllo della frequezna cardiaca. Ancora: pazienti con fibrillazione atriale secondaria a fattori scatenanti correggibili. Alcuni consigliano il controllo del ritmo nei pazienti con scompenso cardiaco, anche se i dati della letteratura sembrano dimostrare che, in questi casi, non ci sono benefici rispetto alla strategia "controllo della frequenza".
Le maggiori probabilità di ripristino e mantenimento del ritmo sinusale si hanno nelle forme di insorgenza recente, quando l'atrio sinistro non è ingrandito e se non vi sono valvulopatie mitraliche. Tuttavia in una percentuale elevata di casi l'aritmia tende a recidivare a distanza di settimane o mesi e allora il ripristino e il mantenimento del ritmo sinusale divengono più problematici.


La cardioversione

Se si può essere certi che la fibrillazione atriale data da meno di 48 ore la cardioversione può essere eseguita a breve termine.
La cardioversione farmacologica ottiene il ripristino del ritmo sinusale in una percentuale inferiore rispetto alla cardioversione elettrica, ma non richiede l'anestesia.
Se la fibrillazione atriale comporta instabilità emodinamica si preferisce la cardioversione elettrica. Se invece la fibrillazione atriale non comporta instabilità emidinamica si può in prima istanza ricorrere alla cardioversione farmacologica. Se vi è una cardiopatia strutturale è preferibile l'amiodarone, altrimenti si può ricorrere a flecainide, propafenone o ibulitide.
Prima di procedere alla cardioversione sarebbe utile eseguire un ecocardiogramma transesofageo per escludere la presenza di un trombo nelle cavità cardiache, tuttavia è raro che questo esame possa essere disponibile in poche ore. In ogni caso, prima della cardioversione è necessario trattare il paziente con eparina non frazionata o con un'eparina a basso peso molecolare; dopo la cardioversione ed il ripristino del ritmo sinusale l'anticoagulazione va protratta per almeno 4 settimane. La successiva valutazione se continuare con una anticoagulazione long term deve basarsi su vari parametri: rischio tromboembolico del paziente, presenza di trombi cavitari, pregressi episodi di fibrillazione atriale e rischio di recidiva.
Se non ci sono fattori di rischio tromboembolico, trombi cavitari e se si tratta di un primo eposodio di aritmia l'anticoagulazione long term può essere omessa.
Negli altri casi, pur in presenza di ritmo sinusale, va attentamente pesata la possibilità che possano comparire episodi aritmici, magari asintomatici, che possono provocare un evento cardioembolico cerebrale in assenza di copertura antitrombotica. In questo senso anche la dimostrazione di assenza di aritmia con l'ECG dinamico secondo Holter o con il loop recorder non permette di escludere con sicurezza che in futuro non potranno esserci recidive. Pertanto in molti casi ritenuti a rischio per la presenza di fattori di rischio oppure di pregressi episodi aritmici recidivanti si preferisce continuare con la terapia anticoagulante orale pur in presenza di persistenza del ritmo sinusale.

Se la fibrillazione atriale data da più di 48 ore oppure non è sicuramente databile di solito si ricorre all'anticoagulante per 3 settimane, seguita dalla cardioversione elettrica o farmacologica. Anche in questo caso l'anticoagulante, se il ripristino del ritmo sinusale ha successo, va proseguito per almeno 4 settimane. La decisione se continuare long term obbedisce alle stesse regole viste sopra.
Una strategia alternativa, pur in presenza di fibrillazione che dura da più di 48 ore oppure non databile, può essere quella di eseguire subito un ecocardiogramma transesofageo. Se non si documenta un trombo cavitario si procede con la cardioversione previa eparina. Se si documenta un trombo si somministra l'anticoagulante orale per 3 settimane e si ripete l'ecografia transesofagea: se il trombo è scomparso si procede con la cardioversione, se il trombo persiste si opta per il solo controllo della frequenza cardiaca.


Indicazioni alla cardioversione elettrica (CVEL)

Una cardioversione elettrica immediata è raccomandata quando un soggetto con fibrillazione atriale a rapida risposta ventricolare ed instabilità emodinamica (infarto, ischemia, angina, ipotensione sintomatica, scompenso cardiaco) non risponde alle misure farmacologiche. Ugualmemte si raccomanda una CVEL immediata se una fibrillazione atriale a rapida risposta ventricolare o instabile si associa ad una pre-eccitazione ventricolare.
Una cardioversione in elezione deve essere considerata se è prevista una strategia di controllo del ritmo a lungo termine.
Per aumentare il successo della cardioversione elettrica è consigliato un pretrattatmento con amiodarone, flecaineide, propafenone, ibutilide o sotalolo. Per il controllo della frequenza si può ricorrere ad un pretrattamento con betabloccanti, verapamil o diltiazem.
Ripetute cardioversioni possono essere effettuate in soggetti con fibrillazione atriale gravemente instabile refrattaria alle altre misure.
La cardioversione elettrica è controindicata se vi sono segni di tossicità digitalica.



Mantenimento del ritmo sinusale

Una volta ottenuto il ripristino del ritmo sinusale si pone il problema di quali farmaci usare per il suo mantenimento.
Se il paziente presenta episodi parossistici poco frequenti e senza cardiopatia evidente ci si può limitare al trattamento dei singoli episodi con cardioversione elettrica o farmacologica al bisogno. Talora in questi pazienti si ricorre alla cosidetta "pillola in tasca": si prescrive flecainide o propafenone (se questi farmaci si sono già dimostrati essere tollerati) e il paziente ne assume una dose qualora dovesse sperimentare tachicardia e palpitazioni (con l'avvertenza di recarsi in ospedale se la terapia fallisce).
In generale, tuttavia, dopo il ripristino del ritmo sinusale si prescrive una terapia antiaritmica a lungo termine. La scelta del farmaco dipende da vari fattori, come riassunto nella tabella che segue, tratta dalle linee guida americane [2].



Scompenso cardiaco: preferire amiodarone o dofetilide
Ipertensione senza ipertrofia ventricolare sinistra: preferire flecainide, propafenone, sotalolo o dronedarone; in caso di insuccesso passare ad amiodarone
Ipertensione con ipertrofia ventricolare sinistra: preferire amiodarone o dofetilide
Cardiopatia ischemica: preferire sotalolo, dronedarone, dofetilide; in caso di insuccesso passare ad amiodarone
Assenza di cardiopatia (o cardiopatia minima): preferire flecainide, propafenone, sotalolo, dronedarone; in caso di insucesso passare ad amiodarone.



Le linee guida europee forniscono raccomandazioni simili, anche se lievemente diverse. Per esempio in caso di ipertensione con ipertrofia ventricolare sinistra consigliano in prima battuta il dronedarone ed in caso di insuccesso l'amiodarone; lo stesso iter terapeutico viene consigliato in caso di scompenso cardiaco classe NYHA I e II, mentre nelle classi III e IV si consiglia l'amiodarone in prima battuta.

Per il mantenimento del ritmo sinusale si può ricorrere anche alla ablazione atriale sinistra transcatetere. Nella maggior parte dei casi l'ablazione interessa le vene polmonari in quanto si è visto che spesso la fibrillazione atriale è scatenata e/o mantenuta da extrasistoli che si originano in questa zona. Tuttavia, soprattutto nella fibrilazione atriale persistente, l'ablazione limitata alle sole vene polmonari non garantisce percentuali accettabili di successo ed è necessario ablare zone più ampie di tessuto atriale.
In generale l'ablazione viene consigliata quando si vuole mantenere il ritmo sinusale e si ha un sostanziale fallimento della terapia farmacologica. Nei pazienti con fibrillazione atriale parossistica sintomatica senza cardiopatia l'ablazione può essere presa in considerazione come trattamento di prima scelta. Di prima scelta potrebbe essere anche nei pazienti giovani che per mantenere il ritmo sinusale devono assumere amiodarone il cui uso, com'è noto, può portare a effetti collaterali pesanti a lungo termine (oculari, polmonari, tiroidei). L'ablazione è di prima scelta anche nel caso di flutter atriale, dove si ottiene una guarigione in oltre il 90-95% dei casi. In questo caso la zona da ablare è l'istmo dell'atrio destro.
Dopo l'ablazione il paziente deve essere trattato con terapia anticoagulante orale (con contemporanea prescrizione di eparina fino al raggiungimento dell'INR desiderato). La terapia anticoagulante va proseguita per almeno 3 mesi. La successiva decisione se continuare long term [3] segue gli stessi criteri visti in precedenza (rischio tromboembolico del paziente, numero di recidive, etc.).
L'ablazione transcatetere si è dimostrata più efficace dei farmaci nel ridurre il rischio di recidive; per esempio nella fibrillazione atriale parossistica ad un anno la percentuale di pazienti liberi da ricadute arriva ad oltre il 70% (mentra con in farmaci si arriva a percentuli di poco superiori al 50%).
La percentuale di complicanze dell'ablazione è inferiore al 5% ed è operatore dipendente: stenosi delle vene polmonari, fistola atrio esofagea, tamponamento cardiaco, lesioni valvolari mitraliche, embolismo cerebrale o sistemico, etc. Per questo è necessario che la selezione dei pazienti da sottoporre ad ablazione sia particolarmente accurata e venga effettuata da cardiologi esperti della materia.
Non sono disponibili dati a lungo termine sull' efficacia dell'ablazione nel ridurre mortalità e morbilità associate alla fibrillazione atriale.

E' possibile anche una ablazione chirurgica che viene presa in considerazione in pazienti con fibrillazione atriale che devono essere sottoposti ad interventi di cardiochirurgia per altri motivi.



Controllo della frequenza cardiaca

Il controllo della frequenza cardiaca è necessario in condizioni acute quando una fibrillazione atriale a rapida risposta ventricolare comporta sintomi e/o instabilità emodinamica.
I farmaci raccomandati per via IV sono un betabloccante oppure un calcioantagonista non diidropiridinico (verapamil o diltiazem). In presenza di scompenso cardiaco o ipotensione tuttavia è preferibile ricorrere alla digitale oppure all'amiodarone. In caso coesista una pre eccitazione sono controindicati digossina, betabloccanti, calcioantagonisti non diidropiridinici e adenosina: si possono usare amiodarone e gli antiaritmici della classe I (per esempio flecainide e propafenone).

Il controllo della frequenza cardiaca a lungo termine, lasciando il paziente in fibrillazione atriale, è una scelta terapeutica adeguata nei soggetti anziani con forme asintomatiche permanenti. Inoltre il semplice controllo della frequenza diventa una scelta obbligata quando sono fallite le opzioni per il ripristino ed il controllo del ritmo sinusale.
I farmaci usati per controllare la frequenza cardiaca a lungo termine sono:
la digitale (nel caso di pazienti che fanno una vita poco attiva), betabloccanti e digitale nel caso di scompenso cardiaco; negli altri casi vengono consigliati: betabloccanti, digitale, verapamil, diltiazem. Nel caso di coesistenza di BPCO si usano verapamil, diltiazem e digitale e, se la frequenza non è controllata, anche piccole dosi di un betabloccante beta 1 selettivo.
Spesso è necessario ricorrere alla associazione di più farmaci.
Amiodarone e dronedarone possono essere usati in seconda battuta quando i farmaci classici raccomandati per il controllo della frequenza falliscono.

Il grado di controllo della frequenza cardiaca è stato recentemente rivisto: molto spesso ci si può limitare ad una frequenza cardiaca inferiore a 110 bpm a riposo; nel caso però il paziente lamenti dei sintomi si può ricorrere ad un controllo più stretto (< 80 bpm).


A cura di Renato Rossi


Referenze

1. Camm AJ et al. Guidelines for the management of atrial fibrillation. The Task Force for the Management of Atrial Fibrillation of the European Society of Cardiology (ESC).
Eur Heart J (2010) doi: 10.1093/eurheartj/ehq278.
Pubblicato online il 29 agosto 2010.
2. Wann LS et al. 2011 ACCF/AHA/HRS Focused Update on the Management of Patients With Atrial Fibrillation.
Circulation. Pubblicato online il 14 febbraio 2011. doi: 10.1161/​CIR.0b013e31820f14c0
3. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4984
4. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4953
5. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4751






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