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Antidepressivi in gravidanza |
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Inserito il 17 marzo 2013 da admin. - scienze_varie - segnala a:
Uno studio di popolazione effettuato in paesi del nord Europa mostra che l'assunzione di SSRI (inibitori selettivi del reuptake della serotonina) durante la gravidanza non è associata ad un aumento del rischio di parto di neonati morti o di morte neonatale o postnatale.
Il medico che si trovi ad affrontare una depressione durante la gravidanza si chiede spesso se l'uso degli antidepressivi sia sicuro oppure se vi possano essere rischi per il feto e possibilità di malformazioni. D'altra parte è stato osservato che le donne depresse che smettono il trattamento durante la gestazione vanno incontro ad un rischio aumentato di recidiva durante il post partum. Inoltre i bambini che hanno avuto madri depresse durante la gravidanza sembrano avere maggiori problemi comportamentali. Gli studi sulla sicurezza degli antidepressivi (SSRI e SNRI) usati in gravidanza sono in genere tranquillizanti, anche se alcuni hanno evidenziato la possibilità di rischi di eventi avversi (per esempio sindrome da astinenza e ipertensione polmonare nel neonato). L'argomento è stato trattato più volte da questa testata e per un approfondimento si rimanda agli articoli citati in bibliografia [1,2,3,4].
Arriva ora un importante studio di popolazione [5] effettuato in vari paesi del nord Europa (Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia). Si tratta di uno studio di coorte su madri con parto non gemellare effettuato dal 1996 al 2007. Su oltre 1.600.000 parti si sono verificati 6054 nascite con feto morto, 3609 morti neonatali e 1578 decessi post natali. Nell'1,79% dei casi le partorienti avevano ricevuto un SSRI durante la gravidanza. Si è visto che l'uso di questi farmaci non risultava associato ad un aumento del rischio di partorire un bambino già morto e non vi era neppure un aumento del rischio di morte neonatale e postnatale. I dati sono quindi rassicuranti e sostanzialmente in linea con quelli di studi precedenti. Ovviamente si tratta di uno studio osservazionale con tutti i suoi possibili limiti. Tuttavia va osservato che il campione preso in esame è particolamente numeroso e d'altra parte, quando si devono valutare i possibili effetti avversi di un farmaco in gravidanza è giocoforza accontentarsi di evidenze di questo tipo.
Come concludere? Come sempre bisogna personalizzare la decisione pesando rischi e benefici del trattamento. Però, in linea generale, ci sembra di poter concludere, sulla base dei dati a nostra disposizione, che se si ritiene che la paziente debba essere trattata con una terapia farmacologica, lo si possa fare con ragionevole sicurezza. Naturalmente le preferenze della paziente non possono passare in secondo piano, anche perchè non si può convincere qualcuno ad assumere un farmaco se non condivide questa scelta. E' però vero che i pazienti non sono spesso in possesso delle informazioni necessarie per prendere le decisioni più corrette ed è ampiamente diffusa l'idea che qualsiasi farmaco assunto in gravidanza sia dannoso, anche quando ci sono evidenze del contrario. E' importante, quindi, informare che un non trattamento o la sospensione di una terapia già in atto possono essere più dannosi di quanto non si possa ritenere.
Renato Rossi
Bibliografia
1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=3334
2. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=3422
3. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4101
4. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=5677
5. Stephansson O et al. Selective serotonin reuptake inhibitors during pregnancy and risk of stillbirth and infant mortality. JAMA. 2013 Jan 2;309(1):48-54.
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