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Placebo: impariamo ad usarlo
Inserito il 15 marzo 2013 da admin. - psichiatria_psicologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Verso una nuova concezione del placebo?

Fino al 1945 nella medicina occidentale il placebo venica considerato uno strumento sostanzialmente innocuo privo di efficacia terapeutica, “moralmente utile” in determinate circostanze (Kaptchuk 1998). (1)
Nel dopoguerra la ricerca scientifica fornì dati che mettevano in discussione queste semplicistiche conclusioni: da un lato la sperimentazione diretta sull’uomo, dall’altro gli studi clinici randomizzati controllati, farmaco verso placebo aprirono nuovi orizzonti.
Nell’ambito della sperimentazione diretta sull’uomo vanno ricordate in particolare le sperimentazioni su Mister Tom (definito dagli autori un “soggetto umano con una larga fistola gastrica” che consentiva di sperimentare farmaci e placebo osservandone direttamente la azione sulla motilità e secrezione gastrica) (Stewart Wolf 1948).
Queste sperimentazioni dimostravano inaspettatamente che anche l’acqua distillata poteva determinare importanti effetti fisiopatologici.
L’autore della sperimentazione concludeva che “gli effetti comparivano perché le circostanze che accompagnavano la somministrazione della sostanza placebo costituivano esse stesse uno stimolo che poteva rafforzare od ostacolare la azione farmacologica dell’agente somministrato”.(2)
Veniva così sperimentalmente dimostrato che fenomeni di suggestione e di condizionamento potevano determinare importanti effetti fisiopatologici non diversamente da varie sostanze chimiche. Ma ciò che cambiò radicalmente le nostre conoscenze sul fenomeno placebo furono gli studi clinici randomizzati e controllati (RCT) che iniziarono ad affermarsi a metà degli anni cinquanta e che aprirono una nuova era nella ricerca farmacologica e nella valutazione dell’effetto placebo.(3)
Grazie alla imponente mole di dati rigorosi forniti dagli RCT gli studiosi iniziarono a considerare il placebo come un agente che può avere effetti potenti e non ancora ben compresi sull’organismo umano.
Si iniziò a discutere dei risultati etici della somministrazione dei placebo tanto negli RCT che nella pratica clinica e si prese coscienza che vi erano in realtà diversi effetti placebo. (4)
Una recente revisione degli articoli pubblicati nel BMJ sull’argomento dal 1840 al 1899 distingueva sei diverse situazioni nell’uso del placebo.(3)
La prima, quella classica ove il placebo non ha nessun effetto (ad esempio nelle malattie infettive batteriche).
La seconda, ove il placebo non interferisce se non nel riferito miglioramento soggettivo, ad esempio nelle forme virali benigne.
La terza è quella in cui il placebo viene prescritto al solo scopo di soddisfare il paziente (la classica medicazione delle piccole ferite superficiali).
La quarta è quella ove il medico prescrive qualcosa di non nocivo perché non ha capito che cosa abbia il paziente ma non vuole mostrarsi impotente agli occhi di quest’ultimo.
La quinta situazione è quella ove il medico vuole guadagnare tempo e prescrive il placebo per tranquillizzare il paziente tenendolo tuttavia sotto controllo.
La sesta, più moderna, è quella dell’uso programmato del placebo negli studi di confronto con il trattamento attivo.
A questi scenari, vecchi di più di un secolo ma ancora attuali, per completare il quadro andrebbe aggiunta una osservazione sul rapporto medico-paziente nel corso della prescrizione/somministrazione di un placebo. Si possono distinguere infatti due atteggiamenti diversi del medico che comportano un uso, un significato e talora anche un risultato profondamente diverso.
Il medico può prescrivere il placebo nell’ambito di una relazione asimmetrica di tipo paternalistico-autoritaria con indicazioni/suggestioni precise sugli effetti ed in particolar modo sui risultati (“prenda questo e le passerà tutto”) oppure il medico con una relazione complementare, dopo aver cercato di valorizzare le risorse psicofisiche del paziente può prescrivere il placebo quale elemento di supporto della relazione terapeutica (“prenda questa medicina la aiuterà a stare meglio”). (5) (6)
Nel primo caso, se il medico è autorevole ed il paziente suggestionabile sono frequenti le guarigioni in tempi brevi ma anche la comparsa di nuovi sintomi in altri organi, nel secondo caso il processo è più lungo ma può portare ad una presa di coscienza del paziente sulla origine dei propri problemi fornendo così al medico la possibilità di comunicare al paziente che i disturbi fisici sono solo la manifestazione di un disagio psichico.

Ci hanno sempre insegnato che il placebo può essere d’acqua, zucchero, sale od amido. Ora scopriamo che può avere molti effetti ed essere usato in molti modi.
Impariamo a valorizzaro e ad usarlo


Riccardo De Gobbi



Bibliografia

1) Kaptchuck T J: Powerful placebo: the dark side of the randomised controlled trial
The Lancet 1998; 351: 1722
2 ) Wolf S. Effects of suggestion and conditioning on the actions chemical agents in human
subjects—the pharmacology of placebos. J Clin Invest 1950;29:100-09.
3) Raicek J, Stone B H, Kaptchuk T J: Placebos in 19th century medicine: a quantitative
analysis of the BMJ BMJ 2012;345:e8326
4) Finniss D G, Kaptchuk T J, Miller F, Benedetti F : Biological, clinical, and ethical advances of placebo effects The Lancet 2010; 375: 686–95
5) Erickson Milton H: La mia voce ti accompagnerà Astrolabio Editore Roma 1983
6) Winnicot Donald W: Dalla pediatria alla psicoanalisi Martinelli Editore Firenze 1991

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