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La reperibilita' e' obbligo d' ufficio ineludibile
Inserito il 07 luglio 2013 da admin. - medicina_legale - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Il medico reperibile che rifiuta di recarsi in ospedale risponde di omissione di atti d’ufficio e non puo' appellarsi a prassi locali diverse (Cass. pen. n. 12376/2013, sez. VI del 15/3/2013)

Un medico dirigente di primo livello presso un Ospedale, incaricato del servizio di reperibilita’ esterna, ometteva di intervenire benche’ ripetutamente sollecitato telefonicamente dal servizio di cardiochirurgia dell’ Ospedale stesso. Il paziente, dopo un inutile intervento chirurgico, era deceduto. Per questo motivo era stato condannato per omissione d’ atti d’ ufficio.

Il medico proponeva ricorso in Cassazione sostenendo che le corti di merito avrebbero dovuto tener conto del margine discrezionale di natura tecnica in ordine alla necessità ed urgenza del suo intervento, che andrebbe esclusa solo se esso esuli dal criterio di ragionevolezza tecnica ricavabile dal contesto e dal protocolli medici.
I giudici di merito invece hanno ritenuto l’imputato comunque gravato da un obbligo di intervenire, rinvenibile da disposizioni di legge e contrattuale.

Secondo il medico le norme di legge invocate, invece, nulla dicono al riguardo dell’obbligo del sanitario rimandando alla disciplina interna dell’Ente, che nel caso specifico non aveva dato disposizioni precise. Era diffusa invece una prassi operativa alla stregua della quale il reperibile esperto è chiamato ad intervenire solo al profilarsi di problematiche di particolare complessità tecnica e dinanzi alla esigenza di comporre la equipe operatoria (situazione insussistente nel caso specifico). Infatti si sosteneva che l’ intervento del medico reperibile fosse ininfluente sul decorso della situazione, e che le condizioni del paziente non sarebbero comunque mutate ne’ si sarebbe salvato.

La Cassazione respingeva il ricorso:
“ E' orientamento di legittimità consolidato quello secondo il quale il servizio di pronta disponibilità previsto dal d.P.R. 25 giugno 1983 n. 348 è finalizzato ad assicurare una più efficace assistenza sanitaria nelle strutture ospedaliere ed in tal senso è integrativo e non sostitutivo del turno cosiddetto di guardia. Ne consegue che esso presuppone, da un lato, la concreta e permanente reperibilità del sanitario e, dall’altro, l’immediato intervento del medico presso il reparto entro i tempi tecnici concordati e prefissati, una volta che dalla Sede ospedaliera ne sia stata comunque sollecitata la presenza. Su questi presupposti, concretandosi l’atto dovuto nell’obbligo dì assicurare l’intervento nel luogo di cura, il sanitario non può sottrarsi alla chiamata deducendo che, secondo il proprio giudizio tecnico, non sussisterebbero i presupposti dell’invocata emergenza. (Sez. 6, Sentenza n. 5465 dei 18;/03/1986 Rv. 173105 Imputato: BADESSA) e che il chirurgo in servizio di reperibilità, chiamato dal medico già presente in ospedale che ne sollecita la presenza in relazione ad una ravvisata urgenza di intervento chirurgico, deve recarsi subito in reparto e visitare il malato, non essendogli consentito di sindacare a distanza la necessità e l’urgenza della chiamata. Ne consegue che il rifiuto penalmente rilevante ai sensi dell’art. 328 cod. pen., comma primo, si consuma con la violazione del suddetto obbligo e la responsabilità non è tecnicamente connessa all’effettiva ricorrenza della prospettata necessità ed urgenza dell’intervento chirurgico (Sez. 6, Sentenza n. 48379 del 25/11/2008 Rv. 242400 Imputato: Brettoni).

Tale interpretazione e’ sostenuta da una serie di norme legislative e contrattuali,

“ Il chirurgo in servizio di reperibilità, chiamato dal collega già presente in ospedale che ne sollecita la presenza in relazione ad una ravvisata urgenza di intervento chirurgico, deve recarsi subito in reparto e visitare il malato. L'urgenza ed il relativo obbligo di recarsi subito in ospedale per sottoporre a visita il soggetto infermo vengono a configurarsi in termini formali, senza possibilità di sindacato a distanza da parte del chiamato. Ne consegue che il rifiuto penalmente rilevante ai sensi dell'art. 328 c.p., comma 1, si consuma con la violazione del suddetto obbligo e la responsabilità non è tecnicamente connessa all’effettiva ricorrenza della prospettata necessità ed urgenza dell’intervento chirurgico (Cass. sez. 6, n. 6328/1996, ced 205089)”.

“L'art. 328 c.p., infatti, delinea una fattispecie penale volta ad assicurare il regolare funzionamento della pubblica amministrazione, imponendo ai pubblici funzionari di assolvere, con scrupolo e tempestività, ai doveri inerenti alla loro attività funzionale al fine di prevenire situazioni di pericolo in materia di giustizia o sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità. È del tutto irrilevante che dall'indebita condotta di rifiuto derivi un effettivo pregiudizio per i beni finali presi in considerazione dalla norma”

La condanna veniva quindi confermata.

Daniele Zamperini

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