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Se il primario sbaglia bisogna dissentire esplicitamente
Inserito il 01 dicembre 2013 da admin. - medicina_legale - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Il medico che non dissente da decisioni errate e’ corresponsabile di omicidio colposo (Cass n 26966/2013)

Un medico e’ stato condannato per omicidio colposo per la morte di un paziente dimesso dal primario in condizioni non idonee, e poi decduto, senza manifestare in modo esplicito il suo dissenso e rendendosi cosi’ corresponsabile. "Il medico è responsabile se omette di differenziare la propria posizione".

Un paziente, dimesso su indicazione del direttore di reparto senza aver verificato la permanenza di residui di bario (per analisi radiologica effettuata durante il ricovero) subiva per questo motivo un’ occlusione intestinale per cui decedeva.

Venivano condannati per omicidio colposo sia il direttore del reparto che il medico che aveva effettuato materialmente la dimissione.

"Il medico che insieme al direttore del reparto compie attività sanitaria non può pretendere di essere sollevato da responsabilità ove ometta di differenziare la propria posizione, rendendo palesi i motivi che lo inducono a dissentire dalla decisione eventualmente presa dal direttore".

Queste le motivazioni con le quali la Corte di Cassazione, con la sentenza 26966/2013, ha rigettato il ricorso di un medico condannato per omicidio colposo per la morte di un paziente deceduto per arresto cardiocircolatorio a seguito di un occlusione intestinale, dopo essere stato dimesso (dopo un intervento chirurgico) senza aver verificato la presenza di residui intestinali di bario in precedenza somministrato.

Veniva accertato che, in occasione della dimissione venne effettuata una visita collegiale durante la quale il Direttore aveva disposto la dimissione in presenza dell’ assistente, che aveva riportato in cartella i risultati della visita.
Benche’ l’ assistente avesse sostenuto di non aver avuto alcun ruolo decisionale, di non aver partecipato all’ intervento ne’ alle successive cure prestate al paziente, la Cassazione respingeva tali motivazioni e confermava la condanna.

Per i giudici, avendo preso parte alla visita collegiale, "il medico ebbe a disposizione tutti i dati clinici del caso raccolti in cartella, potendosi così rendere conto dell'inopportunità dell'immediata dimissione” disponendo quindi di tutti gli elementi necessari per un proprio motivato parere che vrebbe consentito di segnalare l'inopportunita’ delle dimissioni ed il rischio di successive complicazioni.

"Tenuto conto degli interessi primari da salvaguardare e delle qualificate e specifiche competenze professionali dei protagonisti, non può affatto ritenersi che il medico, chiamato allo svolgimento di funzioni sanitarie, possa venir meno al dovere primario di assicurare, sulla base della miglior scienza di settore, le migliori cure ed attenzioni al paziente, in base ad un male interpretato dovere di subordinazione gerarchica"

Risulta quindi indispensabile, secondo la Corte, manifestare esplicitamente il prorio dissenso onde evitare la responsabilita’ prevista dall'art. 40 del C.P.: non impedire un evento che si ha l’ obbligo giuridico di evitare, equivale a cagionarlo.

Commento personale:
Non e’ certamente irragionevole chiedere che il medico, anche se gerarchicamnete sottoposto all’ autorita’ del primario, possa manifestare le sue convinzioni professionali, anche in dissenso col superiore; mi chiedo pero’ quali possano essere le modalita’ richieste dalla Corte.

Puo’ essere sufficiente un dissenso orale, esposto in occasione della visita o in altra sede? Oppure tale dissenso dovrebbe essere documentato e addirittura riportato in cartella clinica?

Quest’ ultima modalita’ sarebbe quella idonea, senza dubbio, ad evitare condanne penali in casi come questo ma i giudici dovrebbero anche rendersi conto della materiale impossibilita’ per un assistente (o peggio per un tirocinante), almeno nella maggioranza dei casi, di ufficializzare un dissenso verso chi ne ha in pugno la futura carriera e che magari, in buona fede, e’ ritenuto piu’ esperto, piu’ istruito, e quindi qualificato a prendere le conclusioni definitive nei casi difficili o controversi.
La sentenza della Cassazione sembra dettata da una visione piuttosto manichea

daniele Zamperini

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