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Chiusura del forame ovale pervio: ancora incertezze |
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Inserito il 12 gennaio 2014 da admin. - cardiovascolare - segnala a:
La gestione del forame ovale pervio (FOP), presente in circa un quarto della popolazione, continua a non ricevere risposte definitive.
La stessa frequenza e rilevanza clinica del rischio di ictus e di embolia periferica in soggetti portatori della patologia è ancora controversa. Diverse metanalisi di studi caso-controllo supportano l’associazione tra FOP e stroke senza causa identificabile, criptogenetico, ma sono limitati gli studi prospettici, soprattutto in soggetti giovani. I trattamenti per ridurre la recidiva in pazienti con ictus criptogenetico e FOP comprendono la terapia medica. antiaggregante o anticoagulante, e la chiusura transcatetere. Il rischio di recidiva in soggetti con FOP e pregresso stroke sottoposti a terapia medica sarebbe di 1,6 eventi per 100 persone/anno (IC 95% 1,1-2,1) [1]. Il rischio sarebbe influenzato dalla grandezza della pervietà, dalla presenza di aneurisma del setto e dalla associazione con fattori di rischio tromboembolico venoso. L’intervento di chiusura transcatetere si è dimostrato efficace in studi osservazionali ma non in trial randomizzati e controllati. Dopo i risultati negativi del CLOSURE-I, già commentato su questa testata [2], altri due studi, il RESPECT [3] e il PC trial [4], non hanno infatti consentito di cncludere se la chiusura del forame ovale in pazienti con stroke criptogenetico rappresenta un intervento con favorevole rapporto beneficio/rischio. Nel primo studio, condotto su 980 pazienti con pregresso ictus, randomizzati a chiusura del FOP o soltanto terapia medica, dopo una media di 2,6 anni, non si sono riscontrate differenze significative nell’end point primario (stroke ischemico recidivante fatale o non fatale o mortalità precoce). Non è risultata diversa nemmeno la frequenza di gravi eventi avversi, anche se nel gruppo sottoposto a chiusura si è evidenziato un aumento, non significativo, di fibrillazione atriale di nuova insorgenza e di embolia polmonare. Anche nel PC trial, condotto su 414 pazienti affetti da pregresso stroke ischemico, TIA o embolia periferica transcranica, dopo un follow-up medio di circa 4 anni, l’end point composito (mortalità, ictus non fatale, TIA, embolia periferica) non è risultato significativamente differente tra il gruppo sottoposto a chiusura e il gruppo in sola terapia medica. Anche in questo studio è stato evidenziato un piccolo aumento di nuove fibrillazioni atriali. Un recente articolo [5] riassume i risultati degli studi sopra descritti e mette in evidenza alcune possibili cause dei mancati benefici dell’intervento di chiusura, ad esempio il discreto numero di pazienti sottoposti all’intervento durante la fase di reclutamento, il breve follow-up e l’ampio intervallo di confidenza dei risultati. In attesa di altri trial (CLOSE, DEFENCE-PFO, REDUCE), che porteranno a 4000 il numero dei pazienti complessivamente arruolati, gli autori ritengono che, allo stato delle conoscenze, nel paziente giovane (< 55 anni) i rischi dell’intervento, compresa l’insorgenza di fibrillazione atriale e le complicanze tromboemboliche, devono essere bilanciati versus il rischio di stroke “lifetime”. Nell’anziano, invece, il rischio di stroke attribuibile al FOP è probabilmente minore rispetto al rischio complessivo, soprattutto in presenza di ipertensione o altri fattori di rischio cardiovascolari.
Giampaolo Collecchia
Bibliografia
1) Almekhlafi MA et al. Recurrent cerebral ischemia in medically treated patent forame ovale: a meta-analysis. Neurology 2009; 73: 89-97 2) http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=5444 3) Carroll JD et al. Closure of patent foramen ovale versus medical therapy after cryptogenic stroke. N Engl J Med 2013; 368: 1092-100 4) Meier B et al. Percutaneous closure of patent foramen ovale in cryptogenic embolism. N Engl J Med 2013; 368: 1083-91 5) Henderson RA, Bath PMW. Is closure of patent foramen ovale to prevent ischaemic stroke ever justified ? BMJ 2013;347:f6193
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