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Chirurgo trasferito al pronto soccorso: ne’ demansionamento ne’ mobbing
Inserito il 16 marzo 2014 da admin. - medicina_legale - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

La Cassazione ha respinto il ricordo di uuna dottoressa che, essendo stata trasferita dal reparto di chirugia al Pronto Soccorso, lamentava dequalificazione professionale e mobbing (Cass. Lavoro n. 22789/2013)

I fatti:
Una dottoressa aveva richiesto un risarcimento di oltre 500.000 Euro alla sua Azienda Ospedaliera in quanto, essendo stata dapprima assegnata al reparto di chirurgia e successivamente trasferita al Pronto Soccorso, ravvisando in questo trasferimento un demansionamento ed una azione di mobbing.
I giudici di primo grado avevano respinto la richiesta

La dottoressa ricorreva in appello sostenendo che la presenza in P.S., non necessariamente comportante prestazioni chirurgiche, costituiva un demansionamento rispetto all’ attivita’ effettivamente svolta in reparto. Inoltre la mole di interventi effettuati dalla dottoressa in confrointo dei colleghi era molto ridotta, limitata a compiti residuali mortificanti la sua professionalita’, per un’ azione mobbizzante del primario.

La Corte d'appello respingeva il gravame.

La dottoressa ricorreva allora in Cassazione, che a sua volta respingeba il ricorso.

La Corte sottolineava che “ …lo stesso art. 63 del d.P.R. n. 76179, invocato dalla ricorrente, prevede che "Le modalita’ di assegnazione in cura dei pazienti debbono rispettare criteri oggettivi di competenza", oltre che di equa distribuzione del lavoro, e risulterebbe peraltro in contrasto coi principi fondamentali dell'ordinamento, tra cui in primis il diritto alla salute dei cittadini, se sulle oggettive competenze e capacita’ dovesse prevalere il criterio di equa ripartizione del lavoro tra i chirurghi.”.

Inoltre si rilevava che la supposta emarginazione della dottoressa non era dimostata in quanto risultava dagli atti che “il numero di interventi mensili, nel reparto dove pacificamente lavorava la ricorrente, era esiguo (circa tre interventi al mese pro capite) e che molti colleghi della ricorrente risultavano avere eseguito la stesso numero di interventi della V., e taluni anche di meno”.

Veniva anche respinta l’ ipotesi di considerare tale situazione come “mibizzante”, per cui il ricorso veniva respinto in toto e la dottoressa condannata al pagamento delle spese processuali.

Daniele Zamperini

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