vai alla home introduttiva di Pillole.org
 
  Pillole 
   
 
Iscritti
Utenti: 2318
Ultimo iscritto: Serena93
Iscritti | ISCRIVITI
 
Appropriatezza diagnostica e cure primarie
Inserito il 05 agosto 2015 da admin. - professione - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Un'analisi delle cause e delle conseguenze nel setting della medicina generale della spending review prevista per contenere gli accertamenti diagnostici.

La promozione dell'appropriatezza diagnostica e l'introduzione della responsabilità economica dei medici, in caso di indagini cliniche inappropriate, ha una lunga storia e un precedente istituzionale. Fin dai primi anni 2000 il prof. Garattini, sull'onda dei risultati della CUF, proponeva un'analoga Commissione per la diagnostica che definisse "le indicazioni per cui è scientificamente attendibile effettuare una determinata analisi". Nel 2006 viene così varata la CUD con il mandato di mettere ordine nel settore delle prestazioni diagnostiche, ma non procede alla stesura delle relative note CUD, contenenti i criteri di appropriatezza sul modello dei farmaci, come auspicava Garattini.

Tuttavia la neonata commissione si guarda bene dal mettere il naso in una materia tanto delicata, provocando il prevedibile vespaio di polemiche e di reazioni dei diretti interessati; tantè che cambia pure denominazione, passando da Commissione per la Diagnostica e Commissione sui Dispositivi Medici, con un lifting semantico che è anche un programma d'azione. Si occupa cioè in modo asettico e in generale di dispositivi medici, nell'ambito della valutazione tecnica, economica ed organizzativa di TAC, RMN etc.. senza entrare nel merito dell'appropriatezza delle richieste di indagini diagnostiche dei singoli medici. Insomma se ne lava le mani e non affronta il problema scottante. Ora invece, nel giro di 30 giorni e in piena estate la neonata commissione ministeriale dovrà emanare i criteri di appropriatezza, dopo aver consultato tutte le categorie mediche e non solo. L'ipotesi, visti i precedenti della CUD, è piuttosto irrealistica...

Per comprendere la concezione metodologica che sta alla base del provvedimento sull'inappropriatezza prescrittiva bisogna partire dalla metafora dell'indagine poliziesca, ad esempio per omicidio, che aiuta ad inquadrare per analogia il processo diagnostico. L'investigatore parte in genere da un certo numero di indiziati e in molti casi sono sufficienti alcuni interrogatori e/o riscontri, per eliminare quelli che hanno un alibi e mettere alle strette il colpevole. Altre volte però l'interrogatorio non basta o si brancola nel buio perchè mancano proprio gli indiziati. In questo caso bisogna ricorrere a diverse tecniche investigative per acquisire informazioni utili alle indagini: controllo dei cellulari, pedinamenti, cimici e registrazioni ambientali, verifiche dei conti bancari, filmati di videosorveglianza e tecniche via via sempre più complesse, fino alla polizia scientifica e ai rilievi dei RIS etc..

Va da se che il poliziotto non può sapere in anticipo, cioè a priori, a quali strumenti di conoscenza dovrà ricorrere durante l’iter investigativo e tanto meno lo si potrà vincolare ad un elenco pre-definito di indagini tecniche, magari con una multa in caso di violazione dei protocolli. Se l'investigazione è un processo, un percorso di conoscenza/scoperta saranno le varie tappe del percorso stesso a suggerire gli strumenti più adatti di volta in volta per procedere nella ricerca fino smascherare il reo, in quella che il cognitivista Donald Schoen ha definito una "conversazione con la situazione problematica"; si tratta dell’atteggiamento tipico del professionista che adotta il metodo della "riflessione nel corso dell'azione" sui propri processi mentali, sugli esiti delle sue mosse, su incongruenze e situazioni anomalie, sorprendenti, impreviste etc.. Insomma in medicina non può esistere un nesso necessario, sufficiente ed univoco tra strumenti di indagine ed esiti dell’indagine stessa.

I criteri di appropriatezza possono funzionare e razionalizzare le prescrizioni in due tipologie di problemi:

sintomi specifici come lombalgia, dolori articolari in genere...etc, dove peraltro si prescrivono effettivamente molte accertamenti diagnostici di dubbia appropriatezza, come RMN o TAC;
i controlli periodici degli esami nelle patologie croniche già diagnosticate e più diffuse, come diabete, ipertensione, scompenso, bronchite cronica etc..; tra l'altro in queste situazioni esistono da tempo linee guida e percorsi diagnostico-terapeutici, diffusi in buona parte del territorio, che indicano periodicità e tipologia degli esami più adatti al corretto monitoraggio della patologia.
La differenza tra componente cognitiva e pratica in medicina non è evidentemente chiara per molti decisori pubblici, che fanno di ogni erba un fascio ed assimilano le due sfere. L'origine di questa confusione è dovuta al fatto che i test clinici, specie gli esami ematici, hanno sia una funzione diagnostica sia un ruolo di supporto per la gestione della terapia medica in molte patologie croniche. La glicemia è necessaria per fare diagnosi di diabete mellito ma anche per monitorare ed eventualemente aggiustare la terapia ipoglicemizzante in caso di scarso compenso metabolico, idem per quanto riguarda le dislipidemie, le anemie sideropeniche, l'IRC, l'ipotiroidismo etc.. Una volta fatta la diagnosi quindi cambia la prospettiva ed il ruolo dei test clinici, che da strumento di conoscenza diventano supporto dell'intervento terapeutico e quindi più soggetti a procedure standardizzate e schemi di monitoraggio, come accade con le azioni terapeutiche. E' lo stesso esame ma le due funzioni sono diverse e in un certo senso incommensurabili, solo che la "metamorfosi" non viene percepita e considerata con la dovuta attenzione.


Al contrario per i sintomi aspecifici, vaghi, indeterminati o atipici, cioè quando prevale l'incertezza diagnostica per un gran numero di ipotesi diagnostiche da testare, è impossibile stabilire in modo rigido e univoco quali sono gli esami appropriati in tutti casi e a prescindere dalle singole vicende cliniche. Il fatto è che in MG patologie rare o gravi esordiscono spesso con sintomi simili a quelli di disturbi ordinari, in altri casi con sintomi sfumati, atipici, indeterminati e di dubbia interpretazione, senza considerare quella quota di sintomi che restano orfani di una precisa diagnosi, anche dopo ripetuti accertamenti e visite specialistiche (MUS, ovvero Medically Unexplaned Symptom).

Che criteri di appropriatezza stileranno gli esperti ministeriali in caso di stanchezza, malessere generale, febbricola, mal di pancia, prurito, parestesie, artralgie, scarsa forma fisica etc.. Per un altro gruppo di assistiti sarà arduo individuare gli accertamenti appropriati; mi riferisco alla categoria dei cosiddetti pazienti sotto-soglia, vale a dire coloro che pur presentando uno o più sintomi non superano la cosiddetta soglia diagnostica (in genere composta da un numero minimo di criteri clinici da soddisfare) stabilita per molte patologie dalle società scientifiche specialistiche, dai disturbi psichiatrici alla malattie reumatiche etc... Tutte situazioni complicate e poco standardizzabili in rigidi protocolli, che peraltro nella realtà si possono rivelare anche poco applicabili e soprattutto stridono rispetto alla proclamata personalizzazione dell'assistenza e delle cure mediche tanto in voga.

Lo strumento amministrativo per valutare l’appropriatezza sarà la congruenza tra la diagnosi, indicata dal medico sulla ricetta, e l’accertamento prescritto, in rapporto ai criteri di appropriatezza definiti dalla commissione ministeriale, entro 30 giorni dall’entrata in vigore della decreto Enti Locali. Oltre alla vasta coorte di assistiti che ancora non hanno una diagnosi, perché il sintomo lamentato è in fase di accertamento o non è stato possibile individuare una diagnosi codificata, si porrà certamente il problema degli assistiti pluripatologici, specie quelli affetti da due o più affezioni croniche, così frequenti tra la popolazione geriatrica, ad esempio diabetici affetti anche da ipertensione arteriosa, coronaropatia, scompenso cardiaco, vasculopatia , bronchite cronicia etc.. In questi casi a quali criteri di appropriatezza dovrà attenersi il medico prescrittore?

Inoltre non sempre l'inappropriatezza prescrittiva è dovuta alle decisioni del singolo professionista. La commissione ministeriale sull'appropriatezza dovrà metterà ordine anche nel settore della prevenzione istituzionale, ad esempio gli screening mammografici in donne asintomatiche, che impegna non poche risorse pubbliche a partire dai centri screening. Attualmente abbiamo un’ampia varietà nella periodicità dell'esame che crea sconcerto tra le donne e tra i medici: l'esenzione prevede un esame biennale dai 45 anni in avanti, gli screening partono da 50 mentre mente molti centri senologici consigliano esami ogni 12-18 mesi a partire dai 40 anni e non di rado entrano in contrasto con gli screening istituzionali per le donne over-50. Insomma, esiste un problema di appropriatezza organizzativa anche per quanto riguarda l’offerta istituzionale di prestazioni diagnostiche: qual' è l'età giusta e la frequenza appropriata della mammografia preventiva? Finalmente avremo un'indicazione ufficiale e definitiva su un' argomento spinoso e di grande interesse per tutti.

Il provvedimento sulla responsabilità economica dei medici e dei pazienti avrà inevitabilmente conseguenze psicologiche, relazionali, socio-politiche e non sempre prevedibili o coerenti con le intenzioni. Si tratta di un cambiamento improvviso, imposto con la "forza" dei numeri parlamentari con un condivisione frettoloso, e in quanto tale è destinato ad aumentare l'incertezza dei medici e degli assistiti, come accade ogni volta che si innesca un cambiamento drastico, destinato ad un impatto notevole sulla relazione di cura e dagli esti potenzialmente contro-producenti. Il guaio è che gli accertamenti diagnostici hanno proprio la funzione di ridurre l'incertezza epistemica del medico - ovvero la sua ignoranza - per migliorare gli esiti del suo intervento grazie ad una conoscenza più approfondita del problema. Non esiste solo la motivazione difensiva nella richiesta di esami clinici, ovvero l'obiettivo di ridurre il rischio di finire sul banco degli imputati. Vi è anche un'incertezza intrinsecamente legata al processo diagnostico, squisitamente soggettiva e non riducibile al concetto di rischio tipico degli interventi terapeutici valutabili statisticamente (probabilità frequentistica, cioè sui grandi numeri, dei benefici di un farmaco valutato in trial clinici in doppio cieco); si tratta di un'incertezza cognitivo/epistemica e quindi distinta da quella medico-legale, anche se le due motivazioni/incertezze coesistono nella presa di decisione e non è sempre facile separare l'una dall'altra.

Di sicuro l'aumento dell'incertezza indotta da un'impostazione punitiva di stampo normativo - e quindi ancora una volta di tenore legale e non culturale/formativo, come ad esempio le iniziative di Slow Medicine - si riverbera' sul clima emotivo della relazione, minando il rapporto fiduciario e creando nuove occasioni di sospetto e diffidenza negli assistiti verso le scelte del medico, come se non bastasse lo sfilacciamento subito dalla relazione negli ultimi anni. I medici dovranno quindi temere sia il rischio medico-legale, aumentato soggettivamente dalla difficoltà burocratiche alla richiesta di accertamenti, sia la penalizzazione economica in caso di prescrizione inappropriata, che peraltro richiederà un ulteriore apparato burocratico-amministrativo per l’eventuale sanzionamento delle prescrizioni improprie, con inevitabile lievitazione del contenzioso giudiziario.

Le nuove norme sull'inappropriatezza prescrittiva sono stato criticate per i rischi di riduzione delle prestazioni garantite dal SSN, in una sorta di privatizzazione strisciante della sanità pubblica; oltre a queste problematiche l’impianto della legge rivela la rappresentazione parziale e distorta della realtà ambulatoriale e delle cure primarie dei decisori pubblici. A fronte della varietà, incertezza, instabilità e complessità dei problemi si pretende di applicare protocolli ispirati ad una presunta "razionalità tecnica" ed a schemi predefiniti per imporre una standardizzazione di comportamenti "appropriati" ex-ante, mentre la realtà ambulatoriale richiede una adattamento ad personam degli strumenti conoscitivi, rispettoso della singolarità ed unicità di ogni vicenda clinica.

Giuseppe Belleri

tratto da:

http://blog.libero.it/cureprimarie/13253228.html

Letto : 7312 | Torna indietro | Stampa la Pillola | Stampa la Pillola in pdf | Converti in XML
 
© Pillole.org 2004-2024 | Disclaimer | Reg. T. Roma n. 2/06 del 25/01/06 | Dir. resp. D. Zamperini
A  A  A  | Contatti | Realizzato con ASP-Nuke 2.0.7 | Versione stampabile Versione stampabile | Informa un amico | prendi i feed e podcasting di Pillole.org
ore 20:46 | 104943817 accessi| utenti in linea: 42851