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Gonfiare i rimborsi benzina comporta il licenziamento
Inserito il 26 giugno 2016 da admin. - medicina_legale - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Gonfiare i rimborsi del carburante e' un comportamento che lede il rapporto di fiducia tra datore e dipendente e puņ portare anche al licenziamento. E' irrilevante che la procedura fosse vigente da tempo (Cassazione sez Lavoro n. 10069/2016)

Un dipendente Sky aveva gonfiato i rimborsi del prezzo carburante eccessivo rispetto a quanto effettivamente sostenuto (come rilevato nel corso del processo, a volte anche il doppio del reale).
L' azienda aveva licenziato il dipendente, che era ricorso alla magistratura del lavoro.

In primo e secondo grado, i magistrati avevano ritenuto sproporzionata la sanzione del licenziamento, sia per la "modesta intensita' del dolo" che per il fatto che Sky non si fosse subito accorta delle infrazioni commesse dal dipendente ingenerando in lui la convinzione che ci fosse una sorta di tolleranza per quella procedura.
Avevano percio' disposto il reintegro del lavoratore.

Il caso e' arrivato in Cassazione, che pero' non ha condiviso le sentenze dei giudici di merito e, con la sentenza 10069 hanno annullato con rinvio alla Corte di Appello la decisione di reintegrare il lavoratore nel suo posto, contestando l' inconsistenza dell' argomentazione circa la presunta "tolleranza"

«Il datore di lavoro ha il potere, ma non l'obbligo, di controllare in modo continuo ed assiduo i propri dipendenti contestando loro immediatamente qualsiasi infrazione al fine di evitare un possibile aggravamento: un obbligo siffatto, - rileva la Cassazione - non previsto da alcuna norma di legge nč desumibile dai principi di correttezza e buona fede, negherebbe in radice il carattere fiduciario del rapporto di lavoro subordinato, che implica che il datore di lavoro normalmente conti sulla correttezza del proprio dipendente, ossia che faccia affidamento sul fatto che egli rispetti i propri doveri anche in assenza di continui controlli».

Percio' la contestazione disciplinare, ad avviso degli 'ermellini, «va valutata non in relazione al momento in cui il datore avrebbe potuto accorgersi dell'infrazione ove avesse esercitato assidui controlli sull'operato del proprio dipendente, ma in relazione al momento in cui ne abbia acquisito piena conoscenza».

Nessun alibi, quindi: il comportamento denunciato lede il principio di fiducia tra lavoratore e azienda, e non ci si puo' appigliare a scusanti quali il fatto di essere scoperti solo tardivamente.

Daniele Zamperini

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