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Mancata aderenza alle raccomandazioni delle linee guida per la misurazione della pressione arteriosa
Inserito il 18 dicembre 2016 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Quanto è frequente la mancata aderenza alle raccomandazioni delle linee guida per la misurazione della pressione arteriosa?


Uno studio americano si è proposto di valutare l’aderenza alle raccomandazioni delle principali linee guida, soprattutto relativamente a due aspetti fondamentali: il tempo di attesa prima delle rilevazioni della PA e il numero di letture effettuate [1]. Un campione di 103 pazienti (età media 55 anni, maschi 58%) con ipertensione nota o sospetta hanno compilato, al momento della prima visita presso un centro specializzato per la cura dell’ipertensione, un questionario in tre parti per esplorare le modalità di misurazione a domicilio e nell’ambulatorio del proprio medico. Il 76,6% dei pazienti ha riportato che le misurazioni eseguite in studio sono state effettuate senza alcuna attesa e nel 56,3% mediante una sola misurazione. Le percentuali sono risultate ancora più elevate nel caso di misurazioni eseguite da personale non medico: rispettivamente 96,3% e 81,5%. A domicilio, solo il 21% dei paziente riferiva di essere stato istruito ad aspettare prima di effettuare la misurazione e appena il 17% sapeva quante letture eseguire in ciascuna sessione di misurazione. Le misurazioni domiciliari eseguite senza attendere sono state il 59,8%, il 40,2% dei pazienti ha riferito di effettuare una sola misurazione.
I risultati dello studio, peraltro non esente da alcuni limiti metodologici, in particolare l’affidabilità dei dati riferiti dai pazienti stessi, pur selezionati in quanto afferenti ad un centro specializzato, evidenziano che la mancata aderenza alle raccomandazioni delle linee guida è molto frequente e può influenzare la validità delle misurazioni della pressione arteriosa ai fini della valutazione dell’effettivo stato ipertensivo.



Commento di Giampaolo Collecchia

Nel discorso ai laureandi del Kenyon College, nel 2005, David Foster Wallace raccontò una storiella: un vecchio pesce rosso incontra due giovani pesciolini, fa un cenno di saluto e dice: “Salve ragazzi, com’è l’acqua?” - i due pesci nuotano un altro pò, poi uno guarda l’altro e fa: “Che cavolo è l’acqua?”. Il significato è che le realtà più ovvie, onnipresenti e importanti sono spesso le più difficili da osservare e da discutere. La misurazione della PA, generalmente considerata un’operazione banale, non solo dai non sanitari ma spesso anche dagli stessi addetti ai lavori, rappresenta in realtà uno degli aspetti critici emersi negli ultimi anni nel campo della stratificazione del rischio cardiovascolare e del conseguente indirizzo terapeutico.
E’ noto a tutti che le misurazioni pressorie, secondo le linee guida, richiedono una standardizzazione spesso difficilmente realizzabile nella pratica quotidiana. Registrare i valori pressori secondo le procedure consigliate richiede infatti più misurazioni, in visite successive e nelle singole sedute, con il paziente a riposo da alcuni minuti e rilassato [2,3,4]. In realtà si finisce non raramente per fare diagnosi di ipertensione dopo poche, frettolose e occasionali misurazioni, anche perché gli stessi pazienti spesso non hanno il tempo per sottoporsi a misurazioni in ambulatorio troppo frequenti e prolungate. A volte la rilevazione della PA viene peraltro effettuata non tanto per il valore conoscitivo, ma come strumento di presa in carico per soggetti ansiosi o che comunque hanno bisogno di attenzione. Anche in ambiente specialistico viene talora proposto l’inizio della terapia farmacologica dopo un singolo valore pressorio, ottenuto peraltro senza adottare le tecniche raccomandate e in presenza di ansia, stress, riferibili al setting ospedaliero. Il rischio è quello di sovrastimare i valori pressori effettivi e di ipertrattare pazienti in realtà normotesi.
Il lavoro in oggetto esorta a riflettere sulle proprie modalità di gestione dei pazienti ipertesi o sospetti di esserlo, per cercare di ottenere risultati il più possibile in grado di stabilire il reale profilo pressorio, in fase diagnostica o in trattamento. In pratica è necessaria l’integrazione tra la PA clinica, preferibilmente ottenibile in setting dedicati, e la domiciliare, che consente di ottenere un grande numero di rilevazioni, in tempi diversi, ma ha il limite di essere affidata interamente al paziente o ai suoi familiari e quindi deve essere preceduta da una accuratissima istruzione sulla tecnica corretta di misurazione. Si deve ad esempio ricordare, al paziente e ai familiari, che, in generale, anziché una misurazione non attendibile è meglio la non misurazione. E’anche necessario rassicurare gli assistiti che prestano troppa attenzione alla differenza tra i valori misurati in tempi differenti.
Il monitoraggio delle 24 ore (MAPA) consente di ottenere un quadro più accurato della PA nell’intero arco della giornata ma, per motivi pratici ed economici, non può essere utilizzato di routine, tranne nei casi in cui l’organizzazione dell’attività ambulatoriale ne consente una gestione diretta.
Sarebbero auspicabili, anche se difficilmente realizzabili con le metodologie attuali, studi clinici di confronto tra popolazioni di pazienti diagnosticati e trattati mediante misurazioni standardizzate rispetto a quelli seguiti con le modalità real life.



Bibliografia

1) Levy J et al. Nonadherence to recommended guidelines for blood pressure measurement. The Journal of Clinical Hypertension 2016; 18: 1157-1161

2) http://www.pillole.org/public/aspnuke/print.asp?print=news&pID=4591

3) http://www.pillole.org/public/aspnuke/pdf.asp?print=news&pID=1299

4) 2013 ESH/ESC Guidelines for the management of arterial hypertension. The Task Force for the management of arterial hypertension of the European Society of Hypertension (ESH) and of the European Society of Cardiology (ESC). Journal of Hypertension 2013, 31:1281–1357



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