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Il coronavirus, una “patologia” e la sua evoluzione. Tutti, o quasi, hanno sbagliato! |
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Inserito il 23 giugno 2020 da admin. - infettivologia - segnala a:
L’autore esamina i diversi aspetti della pandemia da Covid-19 mettendo, in evidenza contraddizioni e/o errate informazione date nel tempo in merito a dichiarazioni sulla gravità dell’infezione, di come si trasmette, di come si poteva curare, dai presidi D.P.I., chirurgici e non, da utilizzare ai fini preventivi - maschere si, maschere no, guanti si, guanti no, quale effettivo distanziamento sociale - infine in merito al riconoscimento o meno, in Italia, come tutela Inail. Tutto questo in conformità a prese di posizioni, a volte discordanti, all’interno della comunità scientifica - OMS e ISS comprese - e di come i giornali hanno trattato l’argomento in merito alla tutela Inail.
Con quest’articolo, ci dedichiamo alla problematica coronavirus, in quanto riteniamo che, nonostante ormai da sei mesi si parla solo o quasi solamente di ciò, ancora è tanta “la confusione sotto il cielo”, sotto diversi punti di vista, dalla sua origine, alla diagnosi, alla prevenzione ed alla cura, sino al riconoscimento come evento infortunio da indennizzare, a certe condizioni, tutelato dall’Inail, ed infine sulla valutazione del danno da eventuali postumi.
Se tutti conoscono questa frase di MaoTse-Tung “Grande è la confusione sotto il cielo” - anche se qualcuno l’attribuisce a Confucio - pochi in verità citano che continuava con “La situazione è eccellente!”, evidenziando l’opportunità per sfruttare al meglio tale situazione.
In questi tempi invece ci pare sia rimasta solo la confusione, perché si è detto e scritto di tutto e il contrario di tutto, non aiutando certamente il “popolo”, non nel senso auspicato da Mao Tse-Tung, per conoscere e affrontare al meglio la situazione che ci si è posta davanti. Parleremo quindi delle notevoli contraddizioni venute alla luce, anche e soprattutto, all’interno della comunità scientifica – OMS compresa - in questi mesi; ci riferiamo in merito alle dichiarazione succedutesi di gravità o meno dell’infezione, dapprima minimizzata come poco più di un’influenza, poi a semplice epidemia - peraltro di tipo solo locale - poi dichiarata vera pandemia. Di come si trasmette, come si cura, ai presidi D.P.I., chirurgici e non, da utilizzare ai fini preventivi - maschere si, maschere no, guanti si, guanti no, quale effettivo distanziamento sociale - infine al riconoscimento o meno, in Italia, come tutela da parte dell’Inail e su il tipo degli eventuali postumi che potrebbero permanere; su questo anche i giornali hanno fatto la loro parte, in senso negativo.
Breve cronistoria di quanto è successo in Italia, e cercheremo di fare una ricostruzione la più possibile accurata.
In Italia è iniziato, tutto, esattamente il 22 gennaio 2020 e da allora un susseguirsi di D.P.C.M. e D.Lsg, indicazioni, ordinanze regionali, sino ad arrivare alla chiusura di regione otto marzo, e poi totale dell’Italia con il grido “tutti chiusi in casa” (o quasi) in data 10 marzo 2020, proseguito con proroghe sino a tutto aprile, e poi piano piano, prima a maggio e poi a giugno, a rimuovere via via le restrizioni ma, sempre doverosamente e opportunamente, con mille precauzioni e siamo quasi a luglio.
Tutto, a livello planetario, è partito allorché la Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan (Cina) in data 31 dicembre 2019 ha comunicato all’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) - forse anche in grave ritardo visto che dagli ultimi studi sembrerebbe che i primi casi sarebbero comparsi non a ottobre/novembre come già si diceva a metà marzo ma, addirittura a fine agosto inizi di settembre - un cluster di casi di polmonite ad eziologia ignota nella città di Wuhan, nella provincia cinese di Hubei, cui faceva seguito in data 9 gennaio 2020 l’identificazione di un nuovo coronavirus (SARS-CoV-2) come agente causale della suddetta malattia respiratoria. Soprannominata poi come malattia COVID-19, dall’acronimo Corona Virus Disease 19, 19 ovviamente per l’anno 2019!.
Come detto è il 22 gennaio 2020 che il Ministro della Salute riunì per la prima volta, a seguito di notizie pervenute di questa a malattia “polmonare” dalla Cina, una task force per predisporre, in raccordo continuo con le istituzioni internazionali competenti, gli interventi nel nostro Paese, e contestualmente con circolare ministeriale n.1997, 22.1.220 , venne stabilita l’attivazione del sistema di sorveglianza dei casi sospetti di infezione da nuovo coronavirus SARS-CoV-2, definito così allora e solo dopo si aggiunse malattia Covid-19.
Dopo a seguito della dichiarazione del 30 gennaio l'O.M.S. - che aveva dichiarato l'epidemia di Coronavirus in Cina emergenza internazionale di salute pubblica - in data 31 gennaio 2020 il Consiglio dei ministri dichiarò lo stato di emergenza sanitaria per l’epidemia da nuovo coronavirus, attivando tutti gli strumenti normativi precauzionali previsti per l’Italia, proclamando lo stato d’emergenza, per la durata di sei mesi. I primi casi da infezione da COVID-19 nel nostro Paese erano stati confermati dall’Istituto Superiore di Sanità (I.S.S.) solo il giorno prima, 30 gennaio; due turisti cinesi ricoverati presso l’Istituto “Lazzaro Spallanzani” di Roma; poi oltre un mese dopo, per esattezza il 21 febbraio 2020, sempre l’I.S.S. dava conto del primo caso autoctono in Italia risultato positivo presso l’Ospedale Sacco di Milano, primo caso di trasmissione locale di infezione da nuovo coronavirus.
L'O.M.S. in seguito, il 28 febbraio 2020, pur non utilizzando il termine pandemia ha elevato la minaccia per l'epidemia di coronavirus al livello mondiale a livello "molto alto", livello che dapprima era stato definito “moderato”.
La svolta ufficiale - anche se ormai già erano stati coinvolti numerosi paesi europei, ma non solo e già si parlava di pandemia - avviene l’11 marzo 2020, quando il direttore generale dell'O.M.S. Tedros Adhanom Ghebreyesus definì la diffusione del Covid-19 non più una epidemia confinata ad alcune zone geografiche, ma una pandemia diffusa in tutto il pianeta, lo stesso O.M.S. solo due giorni dopo dichiarava che l'Europa stava diventando il nuovo epicentro della pandemia. Veniva , altresì, fatto un distinguo affermando che in Europa il rischio poteva essere considerato tutto sommato moderato per la popolazione generale e alto per gli anziani e le persone con malattie croniche di base, accompagnando però tale dichiarazione con l’appendice che il rischio sarebbe stato molto elevato in carenza di tutte le misure necessarie per mitigare e non far diffondere il contagio.
L’O.M.S., in pratica, ha impiegato oltre un mese prima di comprendere appieno la gravità della situazione; vedremo che anche sulle indicazioni da seguire sarà gravemente contraddittoria, sia per le misure precauzionali preventive, sia in merito alle possibile cure. Su una cosa invece, da subito, tutti erano concordi; per un vero vaccino, unica cura certa allo stato delle conoscenze, sarebbe occorso un tempo minimo da un anno, un anno e mezzo in su, ma forse anche di più.
Qual era la posizione degli scienziati/esperti in Italia su questa nuova problematica? Come si poteva/doveva comportare la politica che, agli esperti poi in qualche modo si doveva affidare, non essendo questa materia di loro competenza? Certo la politica deve sempre guidare l’azione, ma in certe situazioni, proprio come questa, la politica non può che affidarsi ai cosiddetti esperti. Ebbene i cosiddetti esperti in materia, francamente sono stati, riguardando con attenzione le diverse dichiarazioni nel tempo, come minimo all’inizio poco accorti concedendo o false assicurazioni sulla possibile evoluzione, o non corrette metodologie preventive.
Non parliamo di esperti di secondo grado, ma proprio quelli che erano considerati, dai più, i migliori per indirizzare ad un percorso preciso ma che poi, solo dopo, hanno affrontato la problematica, sino ad allora a tutti sconosciuta, con un sano pragmatismo, ci permettiamo di dire.
Problematica esperti - Ci assumiamo la responsabilità di riportare alcune dichiarazioni degli esperti diventati - durante questo tragedia, perché alla fine di tragedia è stata, parlano i numeri - punto di riferimento, inevitabile, per l’opinione pubblica che, da tali esperti, si aspettava solo una voce certa, chiara ed univoca. • Il prof. Roberto Burioni, professore ordinario presso l’Università Via-Salute San Raffaele di Milano, in data 2 febbraio 2020 dichiarava, in merito alla possibilità che l’agente infettante potesse contagiare il nostro "In Italia il rischio è 0. Il virus non circola.”, aggiungendo ad onor del vero in quanto “..si stanno prendendo le giuste precauzioni", e soggiungendo che comunque "..questi allarmi continui non sono necessari: bisogna basarsi solo sui casi confermati ad oggi”. Non commentiamo ulteriormente • Il prof. Massimo Galli, professore ordinario presso l’Università Statale di Milano, all’inizio di febbraio, il 9 per l’esattezza nel corso di un incontro organizzato dall’Ordine dei medici di Milano a domanda precisa su i possibile effetti del COVID-19” in Italia asseriva che: “La malattia da noi difficilmente potrà diffondersi”. • La prof.ssa Maria Rita Gismondo, Direttore del reparto Microbiologia Clinica, e Virologia presso il Polo Universitario Ospedale Sacco di Milano, in data 23 febbraio 2020 dichiarava: “Si è scambiata un'infezione, appena più seria di un'influenza, per una pandemia letale», salvo poi scusarsi dicendo, però che anche altri erano della sua idea. • Il prof. Fabrizio Pregliasco, virologo presso l’Università di Milano, il 25 febbraio 2020 a chi lo intervistava affermava che: “La malattia provocata dal nuovo coronavirus, rispetto ad altre, è banale e non è contagiosissima, ma è piuttosto comparabile all’influenza”. • Il prof. Matteo Bassetti, infettivologo Direttore della Clinica Malattie infettive Policlinico San Matteo di Genova , il 26 febbraio, a domanda precisa se fare o meno viaggi rispondeva: “È meglio annullare i viaggi? Se uno li ha programmati, li deve fare, cerchiamo di non fermare un Paese», ma in Italia già si era registrato a Codogno il caso del “Paziente 1” .
Credo che questo excursus, forse non completo, dia un’idea chiara di una confusione certa, almeno nei primi mesi, anche tra gli esperti e soprattutto tutto ciò ci fa venire in mente un modo di dire sicuramente singolare: “Le previsioni, fatte dopo, sono sempre le più accurate!” Assolutamente non si vuole mettere all’indice nessuno, ma un poco più di attenzione, magari precisando sin dall’inizio “Sappiamo poco o nulla di questa nuova malattia”, certamente sarebbe stata una posizione che avrebbe aiutato molto di più.
Ben diversamente si comportò oltre cento anni fa, l’Ufficiale Sanitario di Bologna Giuseppe Bellei che chiamato a fare una relazione, nel marzo del 1919, durante l’epidemia della spagnola “…terminava la sua relazione ricorrendo, per definire le cognizioni che all’epoca erano ritenute attendibili, ad una espressione che gli consentiva di ammettere sinteticamente la generale condizione d’impotenza di fronte all’influenza Spagnola: IGNORAMUS!”
Problematica contagio - Su questo tutti concordi, come molte infezioni delle vie respiratorie, il Covid-19 si trasmette principalmente per via aerea e la trasmissione avviene attraverso le goccioline (droplets) diffuse nell’ambiente mentre parliamo, tossiamo, starnutiamo. Queste a contatto con le mucose di una persona (per esempio quelle della bocca, degli occhi o del naso), direttamente o perché trasportate dalle mani, consentono al virus di introdursi nell’organismo e causare la malattia. goccioline, si dice, rimangono sospese nell’aria per poco tempo, e sono in grado di percorrere solo una distanza breve ma, anche sulla reale distanza coperta dal “droplet” c’è stata discussione/confusione. E i più non escludono che ci possa essere, anche, una trasmissione indiretta, attraverso il contatto con superfici e oggetti contaminati dal virus.
Problematica distanziamento sociale - Si è parlato, da subito almeno un metro, poi un metro e mezzo, forse due metri, in realtà le proposte ufficiali sono, per quanto di conoscenza due, quella del C.D.C. (Centers for Diseas Control and Prevention) che prevede che la distanza sia di almeno un metro e ottanta, 1,8 metri, l’altra dell’O.M.S. che afferma che la distanza giusta sarebbe di almeno un metro, noi per aggiungere a questa confusione “certezze”, facciamo presente che un grosso studio del MIT sulla dinamica delle esalazioni (tosse e starnuti) ha evidenziato che le goccioline emesse, mediante nuvole gassose, possono arrivare sino ad 8 metri, che dire una distanza assai variabile da rispettare.
Problematica periodo di incubazione - Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e le altre istituzioni internazionali ritengono, sulla base dei dati disponibili e dell’esperienza con altre infezioni da coronavirus, che la durata del periodo di incubazione possa variare tra 1 e 14 giorni, sempre l’OMS ha stimato che la mediana del periodo di incubazione è tra 5 e 6 giorni, consigliando però un periodo minimo di 14 giorni come durata del periodo necessario per l’isolamento dei casi positivi e per la quarantena dei contatti a rischio. L’intervallo di due settimane ritenuto sufficiente per, eventualmente, sviluppare la malattia dopo il probabile contatto o di trasmetterla se risultai positiva.
Problematiche successive - In seguito vedendo che la curva saliva sempre di più si cominciò a parlare di come proteggersi da questa fonte di rischio, in verità non del tutto nuova visto la modalità di contagio, ma le indicazioni non sono state neanche in questo caso univoche, né sull’utilizzo dei presidi, né sulla possibilità di cure farmacologiche - abbiamo detto che sul vaccino tutti erano d’accordo, era inutile parlarne perchélontana la sua acquisizione – quali potessero essere.
Problematica cure - L’O.M.S. si è anche contraddetta sulle cure e ci riferiamo alla presunta o meno attività terapeutica o profilattica della clorochina o di un suo derivato, l’idrossi-clorochina - contro Covid-19 e il suo agente causale, SARS-CoV-2 - noi non abbiamo le competenze per dire se sia o meno valida ma, fare il punto su come si è sviluppata una errata informazione, non possiamo non rimarcarlo. Alcune settimane fa, sulla prestigiosa rivista The Lancet, venivano pubblicate alcune considerazioni su degli studi, da cui si evinceva che, la clorochina non aveva dimostrato alcuna prova di efficacia curativa sul Covid-19, e anzi, aveva mostrato gravi effetti tali da sconsigliarne l’uso. L’OMS, tempestivamente, ha intimato di sospendere da subito un grosso trial clinico dell’idrossiclorochina (Solidarity) ma, in seguito, è pervenuta auto-smentita, - suggerita e quasi imposta a seguito di segnalazioni da parte di numerosi ricercatori – da parte della stessa rivista, che aveva dovuto prendere atto della non validità di quel lavoro che, scoperto dopo, era basato su gravi errori fatti nell’affidarsi a numerosi dati non verificati, né verificabili - ha ri-sospinto a riprendere quel lavoro bloccato sull’errate deduzioni da lavori “poco seri”.
Gli errori dell’OMS , ma anche da parte di Riviste Scientifiche autorevoli, e non ci riferiamo solo alla Rivista The Lancet, ma anche il New England Journal of Medicine (NEJM), caduto nello stesso errore sulla “clorochina”, appaiono inescusabili, se si considera che tale organismo, e le citate riviste sono punti di massimo riferimento per la gestione della salute. Non ci addentriamo nel cercare di spiegare il perché di quanto successo, anche se pensiamo che ciò si dovuto, in gran parte, all’ansia di pubblicare per primi i risultati, e mi fermo qui,
Problematica mascherine - Il 7 aprile, dopo oltre due mesi in Italia dei primo caso in Italia, l’O.M.S. dichiarava; “L’uso esteso di mascherine, da parte di persone sane nell’ambiente della comunità, non è supportato da prove, e comporta incertezze e rischi. Non esistono al momento evidenze secondo cui indossare una mascherina da parte di tutta la comunità possa impedire la trasmissione d’infezione da virus respiratori, incluso Covid-19” e, la correttezza di questa dichiarazione, veniva confortata dal fatto che il capo della Protezione civile, Dr. Angelo Borrelli, si presentava in conferenza stampa, regolarmente sempre a viso scoperto, ed a chi lo faceva notare rispondeva : “Non uso la mascherina, ma rispetto le regole del distanziamento sociale”, tanto che poi, anche il portavoce dell’OMS, David Nabarro, precisava “Qualche forma di protezione facciale, sono sicuro che diventerà la norma, almeno per dare rassicurazione alle persone”, come dire, tradotto banalmente, servono a poco, ma se vi fa stare tranquilli utilizzatele.
Aggiungiamo che nel tempo hanno cambiato opinione sul tema anche altri illustri esperti come Francesco Broccolo, Walter Ricciardi, e Silvio Brusaferro, asserendo prima no, poi si, poi dipende, disorientando ancora una volta il povero cittadino, che non capiva più come comportarsi. Ora, il problema, sembra essere stato risolto; obbligatorie sempre al chiuso, ed anche all’aperto se non si rispetta la cosiddetta distanza sociale – non era meglio dire all’aperto sempre, senza eccezioni, giacché l’Italia è l’unico paese in cui si legge “severamente vietato” (ma se è vietato è vietato!) come sottintendere che se è solo vietato qualche eccezioni ci dovrà pur essere – peraltro qualche regione già ha deciso che, addirittura, non più necessarie all’aperto ma, anche sulla cosiddetta distanza sociale, così chiamata, abbiamo visto ci sono state discussioni sulla reale “distanza”.
Problematica guanti - A lungo si è discusso sull’utilità di indossare o no i guanti, tanto che anche nelle ultime ordinanze si suggerisce l’utilizzo, oltre che obbligo di lavarsi le mani all’ingresso “con acqua e sapone detergente o gel igienizzanti” o più correttamente viene detto che ogni volta che si entra in un esercizio pubblico, per esempio in un supermercato, è raccomandato e in alcuni casi obbligatorio l’uso dei guanti, ma proprio recentemente - 9 giugno- l’O.M.S. ha dichiarato che indossare i guanti monouso potrebbe aumentare il rischio di infezione del nuovo coronavirus, e che l’utilizzo potrebbe essere dannoso, dando un falso senso di protezione e sicurezza. Nella citata presa di posizione l’Oms raccomanda l’installazione di distributori di igienizzanti delle mani all’ingresso e all’uscita affinché “Migliorando ampiamente le pratiche di igiene delle mani, i Paesi possono aiutare a prevenire la diffusione del nuovo coronavirus”, quasi auto-tutelandosi con una dichiarazione finale in aggiunta: “Raccomandiamo – comunque- sempre di consultare le autorità locali sulle pratiche raccomandate nella propria area”. Allora guanti si o guanti no?
Problematica tutela Inail - Infine “Last, but not least”, terminiamo sulla problematica del riconoscimento dell’infezione da Coronavirus, tutela Inail, e degli eventuali postumi, che possono residuare da indennizzare. Diciamo da subito che, riguardo agli eventuali postumi, abbiamo allo stato poco da dire, sappiamo con grande verosimiglianza quali sono gli organi e/o apparati che possono essere coinvolti a seguito d’infezione da coronavirus ma, non abbiamo in questo momento, alcun elemento certo e comprovato su cui basarci per valutarli appieno. Vedremo cosa ci diranno i sanitari Inail che ad oggi hanno riconosciuto l’evento tutelato a quasi 50.000 persone, e sapremo, nei prossimi mesi, se ci sono o meno postumi residuati e a carico di quale organo.
Ci vogliamo invece soffermare sul riconoscimento come tutela Inail in quanto, se sulle situazioni sopra rappresentate, la confusione creatasi non può che essere addebitata sugli esperti - la stampa si è limitata , doverosamente, a riportare nel tempo le diverse posizioni - per la situazione in discussione, la negligenza è integralmente della “stampa”.
A seguito dell’emanazione del Decreto Legge del 17 marzo 2020, n. 18 - Cura-Italia – all’art. 42 comma 2, si legge quanto segue “Nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’Inail che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato. Le prestazioni Inail nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro. I predetti eventi infortunistici gravano sulla gestione assicurativa e non sono computati ai fini della determinazione dell’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico di cui agli articoli 19 e seguenti del Decreto Interministeriale 27 febbraio 2019. La presente disposizione si applica ai datori di lavoro pubblici e privati”.
Il giorno dopo tutti, o quasi tutti i giornali mettevano in risalto, in prima pagina, che l’Inail era quasi costretto a riconoscere l’evento come tutelato, e si è andati avanti per diverso tempo su questo tematica anche con disquisizioni su evento infortunistico e non malattia – come mai - e quale tutela poteva e doveva essere prevista; per fortuna due settimane dopo con circolare Inail n.13 del 3 aprile 2020 si faceva una volta per sempre chiarezza sulla tematica. L’Inail, senza rimarcare troppo la grave disinformazione, faceva presente che da sempre trattava tutte le malattie infettive (e parassitarie) ad eccezione dell’anchilostomiasi come evento infortunio, dal concetto “malattia infortunio” dall’assioma formulato dal Borri sin dal 1912, con il quale veniva connotata come “causa violenta” la “causa virulenta” ai fini del riconoscimento come evento infortunistico e pertanto non era assolutamente una novità che sembrava prendere in contropiede l’Istituto, e confermava che tale scelta era, inoltre favorevole al lavoratore. Si segnalava, doverosamente, nella suddetta circolare che i destinatari di tale tutela, erano quindi, i lavoratori dipendenti e assimilati, in presenza dei requisiti soggettivi previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, nonché gli altri soggetti previsti dal decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (lavoratori parasubordinati, sportivi professionisti dipendenti e lavoratori appartenenti all’area dirigenziale) e dalle altre norme speciali in tema di obbligo e tutela assicurativa Inail, aggiungendo per completezza, per essere riconosciuto come evento indennizzabile, l’infortunio richiede che si verifichi un evento traumatico (causa violenta) che produca la lesione o menomazione all’integrità psico-fisica del lavoratore da cui derivi un’inabilità al lavoro (temporanea o permanente), come per tutti gli eventi infortuni, nulla di più e nulla di meno, specificando anche percorsi facilitati per i soggetti a rischio elevato. Veniva, inoltre, aggiunto che data la particolare situazione, in base alle istruzioni date per la trattazione dei casi in oggetto, la tutela assicurativa si estendeva, anche alle ipotesi in cui l’identificazione delle precise cause e modalità lavorative del contagio si presentino problematiche. Cioè massima tutela, altro che fatto nuovo, fatto iper-consolidato.
Con successiva circolare, la n.22 del 20 maggio 2020, lo stesso Istituto dava ulteriori indicazioni e precisazioni, tanto che si legge nel premessa “Con la presente circolare, acquisito il parere favorevole del Ministro del lavoro e delle politiche sociali con nota del 20 maggio 2020, prot. 5239, si forniscono delle ulteriori istruzioni operative – alla circolare 13/2020 - nonché dei chiarimenti su alcune problematiche sollevate in relazione alla tutela infortunistica degli eventi di contagio.”
Rimandiamo integralmente ad essa, soprattutto per le modalità di accertamento dell’infortunio da contagio da SARS-Cov-2 COVID-19 - ma, appare chiaro sin da subito, che non vi era stata alcuna novità, è del tutto errate le posizioni dei giornali che riportando dichiarazioni di alcune organizzazioni imprenditoriali, sostenevano una retromarcia dell’Inail con la circ. n.22/2020, assumendosene anche il merito, laddove nessuna marcia indietro c’era stata, ma una linea consequenziale tenuta dall’Istituto nel merito. In detta circolare, da una parte si ribadiva che da sempre questa era la procedura, ma ad ulteriore chiarezza segnalava “…la norma dispone che l’indennità per inabilità temporanea assoluta copre anche il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria (ovviamente sempre che il contagio sia riconducibile all’attività lavorativa), con la conseguente astensione dal lavoro.”, ed anche questa non era una novità in quanto si soggiungeva che tale disposizione “…seppure dettata in un momento emergenziale, in realtà ha dato seguito a un principio già affermato dalla giurisprudenza, secondo cui l’impedimento presupposto dall’art. 68 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n.1124 ai fini della attribuzione della indennità di inabilità temporanea assoluta, comprende, oltre alla fisica impossibilità della prestazione lavorativa, anche la sua incompatibilità con le esigenze terapeutiche e di profilassi del lavoratore”.
Quindi, l’Istituto, da subito aveva chiara la situazione; ciò detto rimane aperta la problematica sulla valutazione dei postumi che potranno residuare, ma per fare questo è doveroso aspettare cosa ci diranno le consulenze medico-legali dell’Inail, a livello nazionale, che hanno trattato e stanno trattando questi casi, poi chi sarà chiamato a confermare o meno, il compito, eventualmente, di verificarne le risultanze in base a cosa nel frattempo ha indicato la “scienza”.
Lo stesso I.S.S. in una recente pubblicazione ha fatto una disamina esaustiva in merito a questa patologia, e sull’influenza di questa su un organismo “fragile” ma, non solo, e che comunque non c’è alcuna certezza che residuino solo i postumi da patologia respiratoria,e sarà opportuno valutare bene il contesto in cui tale affezione si è poi inserita ed ha interagito con l’organismo umano. ********************* Il paragone con la pandemia denominata “la spagnola” ci porterebbe troppo lontano, peraltro le misure preventive adottare ora, non sono risultate molto differenti di quelle di cento anni fa ma, per concludere non possiamo non riportare, come memoria, la testimonianza del Dr. R. Grist, in servizio nell’autunno 1918 a Camp Devens, presso Boston e pubblicata nel 1979 sul “British Medical Journal” sulle conseguenze della “spagnola”:
“È orribile. Si può reggere alla morte di una, due o venti persone, ma vedere questi poveri diavoli morire come mosche ..... Siamo nella media di 100 decessi al giorno ..... La polmonite significa in quasi tutti i casi morte sicura ..... Abbiamo perso un grande numero di infermiere e dottori. Il trasporto dei morti richiede l'uso di treni speciali. Per diversi giorni non ci sono state bare disponibili e i corpi sono stati accatastati grossolanamente”.
Sembra di leggere le notizie degli ultimi mesi di questo 2020, cosa è cambiato?
Adriano Ossicini già Sovrintendente Medico Generale Inail Pubblicato con il consenso dell' Autore Revisionata per alcuni refusi il 24/06/2020
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