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ABBIAMO ANCORA UNA VERITA‘ CLINICA? |
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Inserito il 18 aprile 2021 da admin. - professione - segnala a:
Il crollo dei miti
In questo periodo faticoso e difficile della nostra professione, mi sembra opportuno riflettere sul senso del nostro “agire medico“, sulle nostre apparenti “certezze“, e sulla difficoltà di trovare un nuovo “modus operandi“ che salvi in qualche modo il rapporto di fiducia medico-paziente. I tre pilastri fondamentali che sostengono le nostre conoscenze mediche e che derivano dagli insegnamenti universitari sono: il paradigma dell’obiettività, il paradigma della verità e il paradigma dell’agire secondo scienza e coscienza. La domanda è: ci possiamo-dobbiamo fidare ancora di queste strutture cognitive?
Paradigma dell’obiettività: l’esame “obiettivo”, i “dati di fatto”, la netta divisione fra soggetto conoscente e oggetto conosciuto, la cosiddetta “neutralità” dell’osservazione sono ormai leggende metropolitane. Popper ci ha già ampiamente spiegato quanto velleitaria sia questa posizione: chi ‘guarda’, chi ‘osserva’, chi fa ‘un’esame obiettivo’, chi scruta una TAC…ci mette del suo, utilizza il suo “sapere di sfondo”. Cioè l’atto stesso del conoscere, dell’osservare, dell’analizzare condiziona, influisce, modifica l’ ‘osservato‘…con buona pace di qualsiasi neutralità obiettiva. G. Federspil , nella sua “Logica clinica” si è correttamente chiesto: “…che cos’è un’osservazione? O meglio, che cosa osserviamo veramente?...In realtà…non si tratta affatto di osservazioni, ma di interpretazioni di osservazioni.” Nella chiarezza cristallina del “Mondo come volontà e rappresentazione” Schopenhauer afferma che “Il mondo è una mia rappresentazione [cioè una realtà percepita solamente attraverso i sensi]”. Esso quindi “…rimane sempre assolutamente condizionato dal soggetto [che percepisce].“ Mutatis mutandis, il paziente, che il medico sta visitando, non è conoscibile come ‘oggetto reale’, ma solo come una serie di percezioni sensoriali: pallore, calore, secchezza, percezioni sonore, percezioni mimiche, ecc. L’unica realtà, l’unico ponte possibile fra oggetto e soggetto è la ‘rappresentazione sensoriale’, cioè la relazione fra i due. Questo modo di pensare è proprio sia della fisica moderna, sia della filosofia orientale, laddove vedono in ogni persona, animale, oggetto, non tanto precise ‘individualità‘ ma solo ‘nodi relazionali‘ di una rete. Il mondo, l’universo è costituito solo da fenomeni ‘relazionali‘. Perciò noi medici dovremmo “abbandonare la dualità ontologica medico-paziente, a favore di una nuova semeiotica ‘includente’, circoscrivente, che accolga le ‘modalità del malato’ ossia i significati che lui attribuisce al suo stato“ (Ivan Cavicchi), Paradigma della verità: diciamocelo…l’unica verità che può ancora esistere è quella di fede. Dopo il teorema di incompletezza di Gödel (sulle verità matematiche indimostrabili), il teorema di Tarski (sull’indefinibilità della verità), e il principio di indeterminazione di Heisenberg (sull’inconoscibilità del mondo subatomico) è crollata ogni possibilità di raggiungere qualsiasi verità fisico-matematica. L’unica nozione che rimane (anche per noi medici) è quella di Probabilità. Stanno scomparendo i vari ‘sintomi patognomonici’ a favore di concetti come ‘probabilità a priori’, ‘valore predittivo positivo’, ‘rapporto di verosimiglianza’, ecc. Il problema è come superare questo paradigma (che deriva come corollario da quello dell’obiettività) nel rapporto medico-paziente,.cioè come far capire che le tante diagnosi quotidiane, comprese quelle infauste, sono diagnosi di probabilità e non più di certezza. Il paradigma da re-inventare è come comunicare l’incertezza, la complessità, la fragilità insita nel vivere, senza rinunciare a un minimo di autorevolezza. Il pegno da pagare, in caso di fallimento, è la perdita del rapporto terapeutico. Purtroppo su questo fronte della comunicazione… abbiamo ancora molto da imparare.
Paradigma dell’agire secondo scienza e coscienza: paradigma sacrosanto, fino a qualche decina d’anni fa. Dopo che l’epidemiologia e le scienze sociali ci hanno aperto gli occhi sugli scenari prossimo-futuri, sugli indici di vecchiaia e di natalità, sulla rincorsa consumistica ai beni sanitari, sull’impossibilità di riallocare risorse economiche introvabili, sull’insostenibilità di un sistema sanitario basato sul trend iperbolico della tecnologia, ogni medico ha il dovere morale di farsi alcune domande: quanta ‘sanità’, a ‘chi’ e con quali ‘criteri’, (…che è come dire quanti vaccini per COVID, a chi e con quali criteri).
Riflessioni Finali Se agire secondo ‘scienza e coscienza’ significa prescrivere esami, accertamenti, terapie, interventi….senza riflettere sui costi …questo significa avviarci verso il vicolo cieco di una ‘medicina impossibile e insostenibile’. Il problema dei costi è ormai un problema etico ineludibile, e chi non se lo pone si mette inconsciamente proprio contro il criterio della ‘coscienza’. Daniel Callahan (nel suo libro “La medicina impossibile. Le utopie e gli errori della medicina moderna”) sostiene che “occorre ridimensionare le speranze”…per non toglierle a chi ne ha veramente bisogno[NdA]. Se vogliamo dare una sanità dignitosa a tutti i cittadini, e far fronte alla bomba sociale ad orologeria rappresentata dal prolungamento della vita, dobbiamo imparare a dire dei ‘no’ e dei ‘si’. E’ certamente e prima di tutto un problema politico…ma noi abbiamo delle responsabilità obiettive e non possiamo nasconderci dietro a un dito. Dobbiamo superare il paradigma del fare ‘secondo scienza e coscienza’ e passare a quello più etico del fare ‘secondo scienza, coscienza e risorse disponibili’ (che è poi il semplice operare del buon padre di famiglia). Sebbene ‘orfani‘ di qualsiasi ‘verità epistemica‘, dobbiamo insomma fare una scelta programmatica: se continuare a lavorare con buon senso o gettarci nelle braccia di un’utopia deleteria e generatrice di sofferenze (e di debiti) per i futuri cittadini (che saranno anche i nostri figli e nipoti…).
Roberto Fassina
Bibliografia
(1) G. Federspil. Logica Clinica. I principi del metodo in medicina, McGraw-Hill, 2004. (2) D. Antiseri “Cristiano perché relativista, relativista perché cristiano”, Rubbettino 2003 (3) I. Cavicchi “Ripensare la medicina”, Bollati Boringhieri 2004 (4) G.Snyder. La grana delle cose. Edizioni Gruppo Abele, 1987. Torino. (5) De Finetti B. La logica dell’incerto, Il Saggiatore Mondadori Milano 1989 (6) A. Schopenhauer. Il mondo come volontà e rappresentazione. I Meridiani, Mondadori. 1989 (7) Popper K.R. Objective knowledge. An Evolutionary Approach, Oxford at the Clarendon Press, 1972 (8) Codice di deontologia medica. Fnomceo. 2014 (9)Chiara Bertoncello, Alessandra Buja. L’uso ottimale delle risorse. Una questione etica. 9 Maggio 2018. https://www.saluteinternazionale.info
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