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VERITA’ E MENZOGNE NELLA RICERCA SCIENTIFICA
Inserito il 13 luglio 2023 da admin. - professione - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Abbiamo recentemente pubblicato il nostro articolo sul “lato igNobile della ricerca scientifica” sottolineando, un po’ con il ridicolo ma poi con un certo numero di domande “serie”, l’ abitudine di riviste cosiddette “scientifiche” di pubblicare qualsiasi cosa venga loro proposta, dalla fellazio dei pipistrelli ai membri maschili pizzicati nella zip dei pantaloni.

E’ giusto tuttavia rimarcare come questo costume della pubblicazione diciamo cosi’ “temeraria” non sia solo un costume attuale ma che risalga nel tempo e coinvolga a volte anche riviste, diciamo cosi’, “prestigiose”.

Ne abbiamo parlato gia’ anni fa (note 1 e 2) ma vogliamo sintetizzarne, alla luce di quanto espresso nel precedente articolo, gli aspetti salienti.

Tralasciamo il fatto che, secondo alcuni, perfino Mendel abbia un po’ “aggiustato” i suoi risultati; tralasciando anche la notissima contesa tra Montagner e Gallo sulla poco chiara scoperta dell' HIV, vogliamo invece sottolineare come, in epoca attuale, i ricercatori siano spinti soprattutto dall’ansia di dover pubblicare per mantenere posizioni e posti di prestigio, le aziende sono spinte invece da ovvi motivi commerciali di mercato.

Qualche esempio nel passato recente:
· Nel 1978 ci fu il caso di Peter Seeburg che, dopo aver trafugato campioni presso l’ Universita’ e averne ricavato prestigiose pubblicazioni e guadagni di miliardi, venne scoperto e’ fini’ in Tribunale.
· C’e’ chi si e’ servito del computer (Marion Brach) per “ritoccare” fotografie di elettroforesi per ricavarrne pubblicazioni (almeno 47) tra l’’88 e il ’96.
· C’e’ chi invece, molto artigianalmente ha sostituito dei campioni di tessuto per pilotare i risultati di una ricerca.

In quegli anni tali tecniche sembravano quasi “normali”, considerando che un’inchiesta condotta nel ’93 dall’ ”American Scientist” rivelava che circa il 7% dei lavoratori di un laboratorio era a conoscenza di falsificazioni di dati, mentre tale percentuale saliva, in Norvegia, oltre il 20% .

Veniva pubblicato sul “Lancet”, ad esempio, il piano con cui la Philip Morris tentava scientificamente e metodicamente, con una capillare azione di travisamento e disinformazione, di screditare gli effetti delle ricerche sul danno da fumo e si programmavano ad arte numerosi studi negativi sulla relazione tra fumo passivo e cancro in modo da contraddire la nozione di dannosita’ del fumo passivo.
Lo stesso “Lancet” dovette confessare mestamente di aver pubblicato inconsapevolmente una lettera sul fumo passivo sponsorizzata da industrie del tabacco.

Il Saint Paul Pioneer Press aveva gia' riportato che, tra il 1992 e il 1993 il Tobacco Institute (si tratta dell' Ente che gestisce la "comunicazione" delle multinazionali del tabacco) ha pagato docenti universitari e ricercatori perche' criticassero con articoli e lettere dirette alle riviste scientifiche il rapporto sul fumo passivo dell' Agenzia per la protezione Ambientale.
Uno degli accusati si e' difeso sostenendo che anche i ricercatori di segno contrario venivano pagati per le loro pubblicazioni. Una garanzia di obiettivita’…

Viene da chiedersi quante, delle tecniche venute alla luce in quegli anni vengano ancora attuate oggigiorno, e viene da chiedersi, alla luce di quanto messo in luce dagli igNobel, quanto ci si possa fidare di articoli reperiti qua e la’ in questa immensa biblioteca di dati non controllati chiamata Internet.

E viene anche da chiedersi, con lo sviluppo attuale delle Intelligenze Artificiali, che basano le loro conclusioni dall’ elaborazione di dati qui reperiti, quanto possano essere degne di fede, qualora non si attuino al piu’ presto metodiche rigorose di valutazione dei dati di base.

Nella nostra povera Italia il sottoscritto, nella sua lunga carriera, ebbe a osservare soprattutto due o tre metodiche messe in atto abitudinariamente:
- Falsa attribuzione del lavoro ad autori che in realta’ non hanno partecipato, o esclusione di coloro che hanno veramente effettuato il lavoro. Quanti lettori di questo articolo hanno lavorato senza alcun riconoscimento mentre il merito veniva dato ad altri?
- Riciclo di un lavoro (magari di per se' valido) con lievi modifiche su riviste diverse in modo da moltiplicarne l’ apparente valore. Fai uno studio, ne pubblichi dieci.

Mi e’ percio’ capitato di vedere, nella mia cinquantennale carriera, soggetti che effettuavano e pubblicavano quasi un articolo al giorno. Incredibile, neanche il tempo di leggerne i titoli!
Pero’ erano utilissimi per vincere i concorsi. Se la memoria non mi inganna, spesso erano Professori o magari parenti stretti, che sapevano ben utilizzare le tecniche precedenti.

E’ evidente percio’ come l’obiettivita’ nelle ricerche scientifiche sia ancora un aspetto a rischio per la possibilita’ di falsificazione o falsa interpretazione dei dati.

Occorre pero’ stare attenti al possibile rischio contrario, che vengano cioe’ guardate con ingiusto sospetto le ricerche che presentino dati non allineati con il “sentir comune”, spingendo magari i ricercatori ad “adeguarsi” (una sorta di “politicamente corretto”) a quanto stabilito dalle contemporanee autorita’ scientifiche.

Del tipo, ad esempio, delle pressioni subite da coloro che, in epoca Covid, contestavano la “Tachipirina e vigile attesa”.

Sotto questo punto di vista anche gli igNobel potrebbero riconquistare una loro dignita’…

Daniele Zamperini
http://www.scienzaeprofessione.it/public/nuke/modules.php?name=News&file=article&sid=535
http://www.scienzaeprofessione.it/public/nuke/modules.php?name=News&file=article&sid=1556

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