|
|
|
|
LA BEFANA, A FERRAGOSTO? |
|
|
Inserito il 15 agosto 2023 da admin. - Narrativa - segnala a:
La strada sterrata fuori del bar esalava ondate di calore torrido che, come capita spesso quando è Ferragosto, penetravano nel bar ogni volta che qualcuno apriva la porta.
Le pale di un vecchio ventilatore da soffitto muovevano l’ aria dando una vaga impressione di sollievo che però passava appena ci si spostava un poco. Il flusso principale passava proprio per il tavolinetto del Sachem, era normale perciò che tutti quanti si ricordassero di passare a salutarmi, fermandosi a fare due chiacchiere. Solo Bruno sembrava immune: fermo dietro il bancone, immobile comandante di quella nave che attraversava frangendole le onde di calore.
A dire la verità se uno aveva un po’ di pazienza lì dentro non si trovava troppo male: i muri spessi, di blocchetti di tufo, riuscivano a creare un ambiente sopportabile, quasi gradevole, rovinato semmai dalle periodiche aperture della porta a vetri.
Veronelli si era fermato a fare due chiacchiere e a bere qualcosa con me (naturalmente offerto da lui) e colse l’ occasione per levarsi una curiosità:
“Sachè, mi sono accorto che Bruno tiene, sotto il bancone, pasta, pane e scatolette di carne. Non è mica roba da bar! E l’ ho visto dare via ‘sta roba di nascosto. Ma che fa, mercato nero? Non lo so quanto si fa pagare, ma che vuol dire, che significa? Questo è un bar, mica una panetteria! E nessuno dice niente?”
“Er Pillola” è nuovo della borgata, la farmacia è una novità piuttosto recente a Collerotto, e non basta passare ogni tanto al bar per potersi dire cittadino a tempo pieno. Mi chiesi perciò se, raccontando certi fatti avrei avrei fatto bene o invece danneggiato la reputazione di qualcuno.
Ci pensai sopra, poi mi decisi: “ È storia vecchia, risale a un sacco di anni fa, poco dopo la nascita della borgata – e vidi dalla sua espressione che era davvero interessato - A quell’ epoca Ferragosto era quasi una festa nazionale: tutti, e dico tutti, lasciavano le loro case per andare a “fare villeggiatura”. Pure la gente di Collerotto, i poveracci, quelli che non avevano i soldi per andare al mare, coglievano l’ occasione per tornare al paesello a trovare i genitori o i parenti rimasti lì. Tutti i negozi chiudevano e le strade sembravano il deserto del Sahara. Solo il padre di Bruno, allora giovanissimo, rimaneva a Collerotto a “tenere il fortino”, come diceva lui. Diceva che era per dovere civico, almeno all’ inizio, ma poi in realtà erano sorti motivi diversi.
Il motivo principale si chiamava Rosina.
Rosina non entrava quasi mai al bar, all’ epoca per una ragazza era disdicevole, però quell’ agosto non aveva potuto farne a meno.
“Buongiorno, Renato – aveva detto – scusi se mi approfitto, potrebbe darmi una bottiglia di latte? Mi serve per il nipotino e non me la sento di andare a piedi fino alla latteria verso il centro…”. Il negozio di zona aveva chiuso e il più vicino tra i pochi aperti distava parecchio.
Il papà di Bruno guardava con gli occhi sbarrati questa ragazza mai vista prima. Rimase incantato, con la lingua di fuori (così si racconta) e balbettando le porse una bottiglia di latte.
Poi lei guardando a terra con aria un po’ vergognosa, esitando, “ Non avrebbe pure qualche biscotto avanzato, per fargli fare la colazione?”.
No, Renato non ce l’ aveva, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa per trattenere quella meravigliosa ragazza. “Certo che ce l’ ho, ma sono in magazzino, ancora incartati. Può tornare tra dieci minuti che glieli faccio trovare?”
E così, saltato in bicicletta, aveva corso come un razzo per la strada deserta per arrivare all’ unico negozio rimasto aperto, diversi chilometri da lì. E già che c’era, gli venne l’ idea di migliorare ancora l’ offerta… Tornò appena in tempo. Cercò di darsi un’ aria indifferente (cosa non facile, dato che era fradicio di sudore) e porse a Rosina una scatola di biscotti, e ci aggiunse sopra, omaggio, una merendina. Rosina insistè per pagare, lui cercò di schermirsi, alla fine lei pagò la metà di quanto Renato aveva effettivamente speso, scherzando sul fatto che lì la roba costava di meno che al centro. “ Noi ci teniamo, sa? Torni domani e magari le faccio trovare qualcos’ altro di buono”.
Così cominciò la frequentazione dei genitori di Bruno: Renato andava la mattina presto “in città” a comprare qualche uovo, o un filone di pane fresco, e Rosina passava tutte le mattine a fare un po’ di spesa e a fare quattro chiacchiere con quel giovanotto così carino e gentile. Solo dopo parecchi anni Rosina confessò al marito ed al figlio, meravigliati, che a un certo punto lei si era resa conto benissimo della cosa, ma che si sentiva tanto intenerita da quel bel giovanotto così carino…
“Ah, capisco, una bella storia - fece Veronelli – ma adesso che c’entra? Devono essere passati un bel po’ di anni…”.
“ Bè, sai come si dice: “Tale il padre, tale il figlio”. In un assolato Ferragosto di tanti anni dopo Bruno, rimasto casualmente da solo a “tenere il fortino” aveva forse pensato a ciò che era successo al padre. Capitavano al bar anziani soli o malati che si aggiravano sconsolati sotto la canicola cercando qualcuno che andasse al centro a fare un po’ di spesa per loro. Così decise di continuare la tradizione paterna e prese l’ abitudine di tenere sotto il bancone, in aggiunta agli articoli da latteria, anche un po’ di alimenti sfusi “di emergenza”: pane, pasta, scatolette, qualche salume. Quantità modeste che, se non vendute, potevano essere utilizzate direttamente da lui. Ma non succedeva quasi mai: i “Profughi di Collerotto” (come lui tra sè chiamava questi poveracci) ne erano felicissimi, lo ringraziavano anzi, anche perché Bruno non se ne approfittava, e non li derubava caricando sui prezzi.
Il bello della storia avvenne quando, tra tante vecchiette, venne ad elemosinare un filone di pane, Marisa, una bella ragazza bruna che veniva dal sud e aveva a carico i genitori anziani. Pillolò, ormai scommetto che hai capito pure da solo: fu un colpo di fulmine e, come era capitato ai genitori, Renato e Rosina, l’ acquisto di qualche alimento era diventata l’ occasione, per i due, di vedersi, parlarsi, conoscersi e, alla fine, sposarsi. Tu guardali adesso, dopo tanti anni: per Bruno ci voleva proprio una donna così: affettuosa, innamorata ma anche di carattere, capace di arrabbiarsi e di mettere in riga l’ Orso Bruno, capace di legarsi con un legame così solido che secondo me crollerà Collerotto, prima di questa coppia”.
Veronelli aveva ascoltato assorto e interessato. “ Una bella storia d’ amore, Sachè, davvero bella! Potrebbero pure farci un film! Però io non capisco, perché Bruno continua a mantenere la tradizione? Sono passati tanti anni, i tempi sono cambiati. Adesso la strada verso la città è stata asfaltata, e sono stati aperti vari negozi. Molti hanno la macchina, e in piazza adesso c’è il bazar del Guercione, che non chiude quasi mai. Che ci fa Bruno col pane, le uova e le scatolette di carne che tiene nascoste sotto il bancone? E come mai nessuno ha mai trovato da ridire? In fondo è concorrenza scorretta”
Capì che la storia non era ancora finita vedendo il sorriso che non ero riuscito a trattenere. “ Pillolò, tu in fondo fai il farmacista, mica il Sachem! Per questo non ti sei accorto del tutto di come vanno le cose – diedi uno sguardo all’ orologio – È quasi ora”.
Lo lasciai friggere nella sua curiosità crogiolandomi nell’ attesa. Poi vedemmo entrare la vecchia Cesarini. Infagottata in una serie di vestiti evidentemente usatissimi, logori e sbrindellati, la testa avvolta in un fazzoletto sdrucito e un paio di scarpe deformate dall’ uso. Aveva lasciato fuori la sua vecchia carrozzina che le faceva da deambulatore e dove riponeva i suoi averi più importanti.
“Come sta la Pulce? “ Chiese Bruno sottovoce. In risposta un cenno di assenso che poteva voler dire “Bene, grazie”. Poi Bruno estrasse dal bancone un pacchettino bene incartato e lo porse alla vecchia, che lo prese e se ne andò. Alla porta, si voltò un attimo e biascicò qualcosa. Poteva essere un ringraziamento o una benedizione, o forse solo una mia allucinazione.
Veronelli guardava fisso, ora aveva capito.
“ In Agosto, nel mese della canicola e degli anziani soli, Bruno, nella settimana cruciale, quando chiudono pure i negozi di turno, quando pure i gatti vanno al mare, compra ogni giorno un po’ di generi alimentari in ricordo delle sue vecchie storie. “Non si sa mai…” dice, ma naturalmente non li vende quasi più, perché qualche negozio, magari distante, rimane aperto, e la gente “normale” fa la scorta qualche giorno prima, al supermercato. Però non si sa mai, e i poveracci esistono pure di Ferragosto… Alla fine della giornata ciò che rimane invenduto non viene buttato, sarebbe un sacrilegio, ma Bruno lo cede, sottocosto e spesso anche a credito, a chi si trova in difficoltà, come quel gruppo di poveracci senzatetto che si è trasferito alla periferia di Collerotto o qualche anziano di borgata rimasto solo e disperato. Non è speculazione né pretesa, solo un gesto di aiuto e molti, Bruno lo sa, non potranno mai pagare. Tutti in borgata lo sanno, anche se lui crede che non se ne sia accorto nessuno“.
Fisso il Veronelli negli occhi: “ Ora capisci perché il Guercione non protesta? E perché nessuno mai, a Collerotto, farebbe uno sgarbo allo Zozzo? – faccio una pausa – Bé, ordiniamoci un aperitivo, non siamo mica senzatetto bisognosi di carità, noi! E naturalmente, dato che per raccontare mi sono seccato la bocca, Pillolò, oggi paghi tu…”.
Lui sorrise e pagò, senza protestare nemmeno un po’…
“Ritorno al bar dello Zozzo” – Daniele Zamperini – 2020 Matite di Roberta Floreani
|
|
|
Letto : 68727 | Torna indietro | | |
|
|
|
|
|
|
|
|