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Il "Gran cuore" dei depressi.
Inserito il 30 dicembre 1999 da admin. - psichiatria_psicologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  



Benche' la medicina abbia permesso di accrescere notevolmente l' attesa di vita dei soggetti affetti da cardiopatia coronarica, si e' resa piu' evidente una condizione che ne peggiora la qualita': la depressione (coesistente con grande frequenza ma sovente sottostimata dai medici).
Soffermandoci soprattutto sull' infarto del miocardio, dal punto di vista psicologico si distinguono:

Reazioni a breve termine (durante il ricovero intensivo): si metto in atto generalmente meccanismi di negazione e di isolamento, che tendono poi a sfumare verso un umore depresso presente nel 15-20% dei soggetti.
A medio durante il ricovero ordinario) e a lungo termine (6-12 mesi dopo, durante la convalescenza e riabilitazione. Questi periodi si caratterizzano proprio per l' insorgenza di uno stato depressivo.

A Montreal (Fresure-Smith e Lesperance) e' stato rilevato come l' episodio depressivo maggiore sia un significativo predittore di mortalità nei soggetti ospedalizzati. Nei 6 mesi successivi all' infarto il rischio di mortalità risultò 3-4 volte superiore rispetto ai non depressi. Secondo gli autori tale influenza negativa perdurerebbe per almeno altri 18 mesi.

Occorre pero' distinguere la vera depressione maggiore dalla cosiddetta "depressione da ritorno a casa". Quest' ultima condizione, che tende a regredire spontaneamente con la riabilitazione ma della quale pero' non si deve sottovalutare la gravita', e' infatti uno stato emotivo reattivo che si accompagna ad un vissuto di perdita (soprattutto simbolico) e ad un aumentato senso di vulnerabilita'.
Il tono dell' umore dei soggetti colpiti da infarto e' spesso condizionato da fattori psicologici e di personalita', tali da ritardare il recupero del paziente e favorire il rischio di malattia. Gli stessi autori hanno verificato, in un altro studio, che ben il 27,5% degli infartuati aveva presentato almeno un episodio depressivo nel corso della vita, anche se solo il 7,7% nel corso dell' ultimo anno.
Si conclude percio' che l' incidenza della depressione nell' infarto del miocardio e' nettamente piu' elevata rispetto a quanto si riscontra in altre patologie, pure severe; il disturbo depressivo incide negativamente sulla prognosi accompagnandosi ad un maggior rischio di mortalita'. I meccanismi devono ancora essere ben chiariti. E' certo comunque che la depressione riduce o addirittura annulla la motivazione del paziente a seguire le terapie medicamentose e i programmi di riabilitazione.
(P.Chiambretto, Psicologia contemporanea, n. 156 1999)

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