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LA GITA SCOLASTICA |
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Inserito il 26 agosto 2024 da admin. - professione - segnala a:
Quel giorno Bruno fece una faccia meravigliata vedendomi cambiare posto e abbandonare il mio solito tavolino per andarmi a sedere un po’ più vicino al bancone ad un tavolino (incredibile a dirsi) già occupato.
La cosa lo meravigliò ancora di più quando vide che la persona già seduta, con aria depressa e sconsolata, era nientemeno che Peppe Lo Sfigato. Pure Peppe vedendomi fece un’ espressione strana su quella faccia di adolescente occhialuto e smarrito, una faccia che giustificava pienamente il soprannome. Però era un bravo ragazzo, studioso, gentile, solo totalmente amorfo. Marisa, la moglie di Bruno, lo conosceva bene perché frequentava la stessa classe di Gustavo, il più grande dei suoi figli, e me ne aveva parlato; era preoccupata perché aveva l’ impressione che alcuni compagni lo bullizzassero, approfittando della sua timidezza.
“Sachè, mi aveva detto – lui aiuta Gustavo a fare i compiti, è sempre gentile e se c’è qualcuno che ha bisogno di aiuto non si tira mai indietro. Per favore, parla tu con i suoi compagni, fa in modo che lo lascino in pace!” “ Marì – avevo risposto io – non funziona così! Se io o Bruno interveniamo in sua difesa non cambierà nulla. Magari lo lasceranno un po’ più in pace, ma continueranno a disprezzarlo, sarà solo lo sfigato che si è fatto proteggere da gente più grande. Possiamo aiutarlo, ma deve essere lui a farsi valere, a guadagnarsi la stima e il rispetto dei compagni” “ Hai ragione, ma io non ho idea di come fare. Sono solo una povera donna, io – e il lampo dei suoi occhi e il mezzo sorriso malizioso confermavano che mi stava prendendo in giro – Qui ci vuole un uomo, forte, rispettato, pieno di idee. Ne conosci uno?” E non riuscì a trattenere la risata, cui risposi con una faccia feroce che minacciava vendetta. Poi risi anch’ io e incominciai a riflettere per farmi venire un’ idea. “Maccherò – aveva detto uno dei miei miti – Tu m’ hai provocato, e io te magno!” E pure a me era venuta fame, fame di bulletti, perciò decisi che li avrei mangiati tutti, anzi li avrei fatti mangiare…
Così quel giorno andai a sedermi al tavolo del depresso sfigatello e preparai la mia iniezione di auto-fiducia. “Peppì – feci – come mai stai così triste e appartato, che t’ è successo?” Lui non rispose nemmeno, si limitò ad indicarmi il gruppetto di compagni di scuola addossati vicino al bancone a prendere un cornetto prima dell’ entrata. Un gruppetto di ragazzetti visibilmente eccitati appiccicati ad un paio di ragazze, piene di sussiego verso quel gruppo di esseri inferiori i quali però non se ne andavano, speranzosi di poter rimediare qualche strusciatina. Era evidente che Peppe, in quel gruppo, non aveva nessuna speranza di entrare. “ Ah, ho capito, ho visto come guardi quella brunetta coi capelli corti. Ma perché non ci vai a parlare?” Alzata di spalle. Nemmeno una parola ma quell’ alzata di spalle era più eloquente di un lungo discorso “ Che ci provo a fare? Tanto non mi considerano niente” aveva detto senza parlare. Allora mi accomodai meglio sulla sedia e diedi una sbirciata all’ orologio. Era ora di cominciare la trasfusione… “ Vedi Peppì, tu sei un bravo ragazzo, ma non hai capito proprio come funziona il mondo. Ciascuno gode dell’ importanza che riesce ad attribuirsi o a farsi attribuire. Mò ti spiego”. Occhi al cielo “Uffa – dicevano – il solito predicozzo”.
“ Vedi - cominciai - tu non ci crederai, ma pure io, il Grande Sachem, sono stato giovane, anzi per essere preciso, anche io alla tua età avevo i tuoi stessi anni”. Stentato sorrisetto alla vecchia battuta. Bè almeno mi stava a sentire…
“ Avevo pressappoco la tua età quando, con la comitiva della scuola ci portarono ad una gita-premio, addirittura all’ estero. Ci portarono nientemeno che ad Amsterdam, con lo scopo dichiarato di farci visitare il Museo di Van Gogh e un paio di altri musei. Ti devo confessare però che la gita prese quasi subito un indirizzo strano. Stavamo diventando tutti strabici quando, passeggiando per le stradine, cercavamo di sbirciare le vetrine dei Sexy-shop ( che vedevamo per la prima volta) per non parlare delle donnine in vetrina per le vie a luci rosse.
Oddio, in teoria non ci era permesso passare nel quartiere a luci rosse, ma come fai a tenere ferma una banda di adolescenti assatanati? Nei rari momenti di libertà tutti, maschi e femmine, ci eclissavamo e sparivamo in quei meandri. Non farti però idee strane: eravamo tutti così imbranati che se una di quelle signorine ci guardava un po’ troppo, diventavamo rossi come peperoni e scappavamo via facendo finta di niente. Io, quell’ epoca, avevo un ruolo simile al tuo: troppo impegnato a studiare, troppo timido con le donne, ero considerato poco e niente, dominavano il gruppo dei fanatici villanzoni che si davano tante arie. Poi arrivò il momento del rientro.
Aspettavamo in aeroporto la chiamata per la partenza commentando tra noi tutte le eccitanti novità del luogo quando mi accorsi di aver dimenticato la sacca di viaggio sulla panchina. C’erano un sacco di cose importanti, per cui corsi subito a riprenderla temendo di averla persa, da imbranato qual’ ero. Fortunatamente c’era ancora, e accanto alla mia sacca era seduta una donna bionda.
Cacchio, che donna! Vistosa, capelli biondi lisci e lunghissimi, una camicetta generosamente scollata, due labbra rosse atteggiate al sorriso, cacchio, solo alla seconda occhiata mi resi conto che si trattava di una famosissima pornostar. Credo di essere rimasto lì davanti ritto in piedi con la bocca aperta, la lingua secca e gli occhi sgranati finché lei prese la parola, sorrise gentilmente e mi indicò il posto accanto al suo “Fai attenzione, ragazzo, non si lasciano i bagagli incustoditi, all’ aeroporto! Vieni, siediti qui, e riprendi fiato”. Mi sedetti ancora stralunato. “ Lei è… lei è “ balbettai. Lei rise “Eh, sì, io sono proprio io – rise ancora – Dimmi, che ci fa qui ad Amsterdam un giovanotto come te? Sei venuto a vedere il mio spettacolo?”. Io scossi la testa senza parlare, avevo ancora la bocca secca e il battito a mille. “ Sono in gita scolastica” riuscii a dire. Lei rise ancora “Bè, se fossi venuto al mio spettacolo avresti certamente imparato qualcosa di interessante! E allora cosa sei venuto a vedere?”. “ Il museo di Van Gogh – poi aspirai profondamente e buttai fuori tutto d’ un fiato – però a dire la verità avrei preferito vedere il suo spettacolo!”. “ Lo credo! – un bel sorriso, aperto e amichevole, senza malizia – ma credimi, ragazzo, non è vedere gli altri che conta. L’ importante è vivere di persona quanto meglio è possibile”.
Io piano piano stavo prendendo confidenza, la tachicardia stava passando e così cominciammo a chiacchierare. Mi lasciai anche sfuggire un accenno ai complessi che mi tormentavano, e le chiesi come aveva fatto lei a liberarsi dei suoi. Lei allora mi raccontò che veniva da una famiglia modesta, che aveva cominciato l’ università ma che a un certo punto aveva deciso di guadagnarsi la vita in modo più facile e più redditizio. “ Devo dirti in verità che non è stata una cattiva scelta, certe volte anzi mi diverto. Certo dipende molto con chi ho a che fare. Tanto sesso fisico, e qualche volta c’è stato perfino un po’ d’ amore”.
E mentre ormai parlavamo fitto fitto l’ altoparlante annunciò in un inglese gutturale e quasi incomprensibile che stava cominciando l’ imbarco sull’ aereo per Roma. “ Bé – mi disse – credo sia il tuo aereo. Buon viaggio e, dammi retta, impara a cogliere il meglio della vita!”
E, senza preavviso, mi attirò a sé e mi baciò, un bacio leggero, sulle labbra; poi si alzò e si allontanò, lasciandomi lì stordito.
E quando, raccolta la sacca mi voltai, mi accorsi solo allora che tutta la mia classe stava schierata a fissarmi con gli occhi sbarrati. Anche le ragazze mi guardavano incredule, e perfino la rossa che non mi aveva mai filato ora stava lì a bocca aperta e mi accennò addirittura un saluto con le dita. I maschi mi fecero passare quasi con deferenza.
E per tutto il viaggio vennero a turno a chiedermi il perché, percome, come mai, se ci eravamo già conosciuti prima, che sapore avesse. E i maschi finivano sempre, imploranti “Che me la fai conoscere???” “E tu, Sachè, che rispondevi?” “Niente, che potevo rispondere? Stavo zitto, facevo l’ aria misteriosa, borbottavo cose incomprensibili. Resistetti fino a Roma e lì scendendo dall’ aereo, mi trovai accanto alla rossa che mi sorrise, mi salutò con un ciao e, forse per caso, mi si strusciò un po’ addosso. Sai, da allora mi sforzai di vedere le cose da un altro punto di vista, migliore…”.
Peppino fece l’ aria disinteressata, con un’ altra alzata di spalle. “ Va bè, Sachè, una storia interessante, ma che cavolo c’entra con me?” “ Tutto viene a chi sa aspettare, Peppì – risposi pomposo, ero in vena di citazioni. Poi guardai l’ orologio – Dovrebbe essere l’ ora”.
Mentre Peppino mi guardava interrogativamente, entrò nel bar Barbie Fatalona. Come diceva il soprannome, era la Canarina più vistosa e ricercata tra le donnine allegre dalla borgata, detta anche “la Bona”. Alta, statuaria, formosa, un seno straripante dalla camicetta, dei fianchi sinuosi, ondeggianti. Quel giorno era particolarmente affascinante, con i capelli biondi che le scendevano ai lati del viso e una bocca rossa come il fuoco.
Si guardò intorno e, individuato il nostro tavolo, si diresse verso di noi, sorridendo al viso stupefatto di un Peppino balbettante. Si chinò verso di noi, anzi verso di lui, gli sorrise ancor più calorosamente, scambiò qualche parola che non capii, poi lo baciò sulla bocca, a lungo, mentre protendeva il corpo verso di lui. Poi si staccò con un’ espressione dispiaciuta di rammarico, si diresse verso il bancone dove Bruno aveva già preparato una bottiglia di latte, la prese e si avviò ancheggiando all’ uscita voltandosi ancora verso Peppino e lo salutò mandandogli un bacio con le dita.
Il silenzio era calato nel bar e il gruppo di studenti, inutile dirlo, era rimasto annichilito. I maschi stavano a bocca aperta, e le ragazze guardavano Peppino con uno sguardo nuovo, molto moolto più interessato. La brunetta coi capelli corti aveva quell’ aria meditabonda che già conoscevo da altre occasioni, sembrava chiedersi “Ma che magari l’ ho sottovalutato?” Diedi a Peppino un calcio sotto il tavolo e sibilai “Vai, scemo, e fatti valere!” e lo spinsi verso gli altri.
E mentre tutti si ammassavano attorno a Peppino, Bruno mi raggiunse al tavolo. “ Che gli hai raccontato, Sachè, la storia della pornostar in Olanda?. “ Sì, e funziona sempre. Guarda un po’ che successone! Barbie poi è fenomenale, quando ci si mette. Certo che gli esseri umani sono proprio strani… Però adesso sta a lui, noi gli abbiamo insegnato a fare la ruota, come i pavoni, però mò sta a lui imparare a farsi valere. Che dici, ce la può fare?” Bruno rise guardando l’ inusuale spettacolo di Peppino al centro dell’ attenzione. “ Io penso proprio di sì. Ma levame ‘na curiosità, Sachè, me lo sò sempre chiesto: ma ‘sta storia è vera o te la sei inventata?”. Lo guardo con aria un po’ schifata “A Brù, ma tu pretenderesti che ti racconti i miei segreti più intimi, quelli che potrei raccontare solo a una persona speciale, alla persona del cuore, e tu invece vorresti che io li racconti a te che sei maschio, peloso e pure Zozzo? Mi spiace tanto Brù, ma non sei mica il mio tipo!”.
Poi con aria pomposa “Questo segreto morirà con me”. Schivai la sua zampata vendicativa e uscii, sghignazzando, e portando i miei ricordi con me.
“La gita scolastica” Da “Ritorno al Bar dello Zozzo” Daniele Zamperini – 2020 Matite di Roberta Floreani
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