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La comunicazione delle cattive notizie 1
Inserito il 17 marzo 2024 da admin. - professione - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Prima parte

La comunicazione delle cattive notizie è uno dei compiti più gravosi per i medici, ed in particolare per il medico di famiglia che non può limitarsi a descrivere con un linguaggio cortese e comprensibile la situazione, ma deve preparare la persona che ha di fronte ad affrontare un futuro doloroso e difficile, garantendogli il suo sostegno “nella buona e nella cattiva sorte…”
In questa e nella prossima pillola forniremo ai nostri lettori alcune indicazioni pratiche ricavate non solo dalla letteratura ma anche e soprattutto da decenni di assistenza a malati cronici e terminali, che consentono di conoscere il paziente nelle sue risorse e nelle sue debolezze e di utilizzare quindi tattiche e linguaggi personalizzati che non si limitino ad ottenere una comprensione letterale del messaggio ma che riescano a suscitare la partecipazione emozionale più adeguata alla complessità ed alla difficoltà del momento.
Un approccio molto utile per iniziare, pur con limiti che successivamente evidenzieremo, è il percorso di Buckman definito SPIKES, acronimo formato dalle lettere dei 6 stadi che lo costituiscono:

 Preparare il colloquio (S= Setting up);
 Capire cosa sa il paziente (P= Perception);
 Capire quanto il paziente vuole sapere (I= Invitation);
 Condividere le informazioni con il paziente (K= Knowledge);
 Identificare e comprendere le reazioni del paziente (E= Emotion);
 Pianificare e accompagnare (S= Strategy and Summary)


Anche se nella pratica quotidiana non è facile percorrere i gradini proposti, alcune raccomandazioni generali sono sicuramente utili. Si deve inoltre ricordare sempre che i segnali non verbali (tono di voce, silenzio, gestualità, atteggiamenti corporei…) esprimono e comunicano emozioni e informazioni molto più efficacemente di quelli verbali. È infatti dimostrato che, in caso di discordanza fra segnali, viene prestata maggiore attenzione alla componente non verbale.
Nei casi in cui è possibile preparare il colloquio, per prima cosa si devono elaborare le proprie emozioni, ad esempio per evitare fenomeni quali la falsa rassicurazione, spesso utilizzata per limitare il proprio rammarico nell’apprendere la grave situazione di un paziente a cui si è particolarmente affezionati. Dovrebbero essere inoltre adeguatamente conosciuti tutti gli aspetti della malattia (diagnosi, stadio clinico, provvedimenti diagnostici o terapeutici), obiettivo spesso non facile da raggiungere.
È indispensabile il contatto visivo, in certi casi anche fisico. L’ambiente dovrebbe essere tranquillo, le interruzioni telefoniche prevenute, il tempo a disposizione sufficiente, la riservatezza garantita. Se il paziente lo desidera, è utile la presenza di un familiare o comunque di una persona cara. Si deve ricordare che le parole che si stanno per pronunciare modificheranno in maniera sostanziale la vita del paziente. Può essere utile il cosiddetto warning shot, colpo di avvertimento (“Ho purtroppo cattive notizie…”).
Inizialmente si deve stabilire cosa il paziente, ed eventualmente i familiari, già sanno (“Da cosa pensa siano causati i suoi sintomi?”), facendo attenzione ai possibili fraintendimenti e ai nascondimenti voluti dal paziente per avere conferma di quanto già conosce. Le successive informazioni saranno fornite al livello che si percepisce necessario e desiderato, con chiarezza e realismo. L’eloquio deve essere pertanto aperto e partecipe, il linguaggio facilmente comprensibile, senza inutili tecnicismi, appropriato alla persona. Medico e paziente devono trovarsi sulla stessa lunghezza d’onda, per realizzare il cosiddetto aligning, allineamento, definito da Maynard come processo mediante il quale vengono messe a fuoco le informazioni a partire da quanto il paziente già conosce Si deve offrire al paziente la possibilità di fare domande e di esprimere le proprie preoccupazioni, per ricevere i necessari chiarimenti e contemporaneamente graduare le successive informazioni. Spesso i pazienti temono non tanto il possibile esito infausto quanto il difficile percorso che sta per iniziare. L’invalidità è ad esempio frequentemente considerata peggiore della morte stessa. Durante il processo comunicativo si deve sempre valutare l’opportunità di proseguire il colloquio o di rimandarlo ad altra occasione.
La comunicazione delle cattive notizie è in genere associata prevalentemente all’ ambito oncologico. In realtà è una componente essenziale della professione sanitaria e riguarda tutte le discipline. Informare un paziente sulla presenza di una grave cardiopatia ha ad esempio un potenziale impatto devastante, sia per il diretto interessato, sia per i familiari. È un compito difficile, di grande responsabilità, in grado di provocare ansia e timori in chi lo deve assolvere e angoscia in chi riceve la comunicazione stessa. È un obbligo giuridico, deontologico ed etico, che richiede esperienza e abilità, un processo dinamico complesso che incide profondamente sul suo esito. È anche una metodologia, che può essere appresa e applicata nella pratica, pur con grande variabilità a seconda delle caratteristiche del medico e del paziente. Numerose variabili possono infatti influenzare la comunicazione: personalità del curante, caratteristiche del malato, tipologia della relazione medico-paziente, terapia prevista, contesto.
La condivisione delle decisioni è in generale uno strumento essenziale della clinica della MG, per consentire decisioni condivise, che non si devono basare né esclusivamente sui dati scientifici né sulla sola percezione soggettiva del paziente, che spesso attribuisce alla malattia significati altamente soggettivi. Ne è testimonianza quanto Lipowski traccia a proposito dei significati che i pazienti attribuiscono alla diagnosi di tumore. Tra gli altri:
 malattia intesa nel senso della punizione;
 nemico contro cui combattere;
 perdita della propria identità sessuale e del proprio ruolo professionale, familiare e sociale;
 valore e possibilità di crescita personale;
 sfida rivolta alle proprie risorse mentali;
 sollievo in pazienti che avevano già ridotto le aspettative nei confronti della vita;
 debolezza organistica.


Continua nella seconda parte...


[b]Tratto da : "Guida alla professione medica" Autori: Giampaolo Collecchia, Riccardo De Gobbi, Roberto Fassina, Giuseppe Ressa, Renato Luigi Rossi, Daniele Zamperini

http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/medicina-e-salute/666455/guida-alla-professione-di-medico/


Rielaborato da Riccardo De Gobbi

Bibliografia nella seconda parte...









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