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UNA VITA... UNA STORIA
Inserito il 22 aprile 2025 da admin. - professione - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Sono quasi due mesi che sono ricoverato, dopo aver avuto un infarto. I medici e le infermiere, durante il giro mattutino, mi sorridono, cordiali e incoraggianti. Pure il prete, che periodicamente fa il giro dei ricoverati, ha smesso di di invitarmi alla confessione. In definitiva dovrei essere ottimista, forse ce la faro’ anche questa volta.
Il cuore sembra resistere, quello che rischia di uccidermi veramente e’ la noia…

Chi e’ stato ricoverato a lungo in ospedale mi puo’ capire: sdraiato tutto il giorno con la mascherina di ossigeno che ti impedisce di girarti e, davanti agli occhi, una parete vuota e un televisore antidiluviano attaccato alla parete. Mi meravigliavo, a volte, che riuscisse ad accendersi.

Anche i miei compagni di stanza non erano di gran conforto: restavano qualche giorno, poi venivano dimessi, con aria di sollievo dovuta in buona parte, sospettavo, dal fatto di liberarsi del vecchio rompiscatole compagno di stanza, che le complicazioni obbligavano ad restare in ospedale.
E a me non resta che pensare, e perdermi nei pensieri e nei ricordi.
Ripenso alla mia vita e la vedo scorrere come un film davanti ai miei occhi. Non ci pensavo da tanto tempo, ma adesso sogno spesso del mio paese, dove sono nato e cresciuto, dove ho giocato e studiato fino alla maggiore eta’; mi ricordo gli amici, anche quelli rompiscatole, quelli invadenti, quelli prepotenti.

Ricordo (incredibilmente, con un sentimento di nostalgia) anche Riccardo, quello che mi ha soffiato la ragazza di cui ero innamorato, la Rosina, quella con i capelli rossi e le incredibili lentiggini sul viso. Ma adesso non fa piu’ male.
Ricordo la rabbia con cui, allora, mi gettai nello studio e nel lavoro: estenuanti nottate trascorse sui libri nel tentativo di ottenere una borsa di studio, le scarse uscite serali con qualche ragazza con la quale mi sembrava di dimenticare Rosina.

Ricordo la mia famiglia, poveri ma pieni di affetto, vedo poi il mio lavoro, la mia improvvisa vocazione: sono stato un insegnante di scienze, ho insegnato per venti anni in una scuola media e per altri venti in una scuola superiore, ho educato e formato generazioni di studenti.

Ma non ho vissuto solo questo: parlandone con i miei vicini rivedo i miei viaggi e le mie avventure. Mi guardano stralunati quando comincio a raccontare tutti i paesi che ho visitato, tutte le culture che ho incrociato, tutte le lingue che ho, purtroppo, solo orecchiato.
Secondo me pensano che sia un contafrottole o, se si sentono buoni, solo un anziano fuori di testa. Quando poi racconto dei miei passatempi (scrivere, suonare, cantare) e dei premi o delle menzioni raccolti durante la mia vita, si convincono definitivamente che sono un po’ “suonato”.

Quando me ne accorgo, cerco di mitigare un po’ l’ impatto dei racconti: “Credetemi, non sono un genio, e’ solo che sono vissuto cosi’ a lungo che ho avuto piu’ tempo per fare un sacco di cose”.

I giorni brutti sono quelli in cui la mente si affolla con i miei fallimenti, i miei errori, i miei rimorsi.
Ho perso tante persone, ho ferito tante persone, ho deluso tante persone. Ho avuto tanti conflitti, tante crisi, tante rotture. Ho sofferto tante malattie, tanti dolori, tanti lutti.
Ho perso anche parte della mia famiglia, il grande amore che ho sposato e che mi aveva fatto dimenticare Rosina. Si chiamava Anna, ci siamo conosciuti al lavoro, era bella, dolce, intelligente. Ci siamo sposati, e non me ne sono mai pentito, ma poi si e’ ammalata e se n'è andata troppo presto, mentre io sopravvivevo anche a questo.
Il destino a volte e’ davvero troppo ingiusto, troppo crudele.

I miei figli ogni tanto vengono a trovarmi, sforzandosi di essere allegri. Mi raccontano della loro vita, dei nipotini che col tempo hanno arricchito la nostra famiglia, poi passiamo il tempo spettegolando e raccontando aneddoti della nostra vita passata. Sono tutti ben sistemati, e mi fanno grandi lodi per tutto cio’ che mia moglie ed io abbiamo fatto per loro, aiutandoli e sostenendoli, facendo in modo che non soffrissero per necessita’ inappagate.
Ridiamo insieme, ma loro non sono bravi come i medici e le infermiere del reparto, non hanno la loro abitudine a trattare con i malati terminali, mentendo per farli sentire meglio…

Io ho capito la verita’, ma non sono spaventato. So che tutte le strade, a un certo punto, devono finire. Mi resta solo una certa malinconia, perche’ mi rendo conto che non potro’ mai sapere se i miei sforzi nella vita sono stati veramente utili, se sono davvero riuscito ad assicurare almeno un po’ di serenita’ alle persone a cui voglio bene, se il mio passaggio in questo mondo e’ riuscito a lasciare qualche segno…

Fai, fai, fai, ha detto un saggio, ma ricorda che tanto poi te ne vai…

Sono un po’ triste perche’ ora capisco che la parte piu’ triste di una storia e’ il non sapere come realmente finira’.

Daniele Zamperini – 2024 –
Dal ciclo del Bar dello Zozzo

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