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LA MORTE DOLCE
Inserito il 17 settembre 2024 da admin. - professione - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

L’ Ospedale non e’ mai un posto piacevole, e per chi e’ ricoverato puo’ essere un luogo di tortura.

Erano parecchi giorni che ero ricoverato li’, immobilizzato a letto e senza possibilita’ di muovermi.
Oddio, potevo considerarmi fortunato: mi avevano asportato una “cosa” che sembrava essere un tumore maligno e che invece si era rivelato un intruso fastidioso ma assolutamente innocuo; solo che l’ intervento non era stato piccolissimo, ed io ero costretto temporaneamente a letto.

L’unico passatempo era la televisione che pero’, sintonizzata su pochi canali, di schermo piccolo e audio borbottante, non era molto di aiuto.
Avevo percio’ cercato di distrarmi attaccando discorso con il mio compagno di stanza, un anziano appoggiato temporaneamente li’ in attesa di altri posti disponibili, pero’ francamente non faceva nessuna differenza.

Era proprio un anziano, anzi anzianissimo: dalle lenzuola sporgeva un viso incavato, pieno di rughe, una piega amara della bocca e gli occhi sempre chiusi. In realta’ ogni tanto li apriva, e allora io cercavo di attaccare discorso ma i tentativi non avevano molto successo: qualche borbottio incomprensibile in un dialetto altrettando incomprensibile. La mancanza dei denti trasformava poi le poche parole in un gorgoglio.

Ogni tanto veniva a visita una anziana, che si fermava al bordo del letto tenendogli la mano e sussurrando qualcosa che io non riuscivo a decifrare. Cio’ che si capiva era il tono caldamente affettuoso.
Quando la visitatrice capitava nei momenti di sonno profondo, evitava di disturbarlo: stava seduta a fianco del letto e aspettava con pazienza il risveglio.

In quei momenti ero riuscito a strapparle qualche parola che, piano piano erano diventate veri discorsi.
Cosi’ appresi che l’ anziano si chiamava Filippo, che aveva quasi cento anni, che la visitatrice era sua moglie, molto piu’ giovane (aveva “solo” 90 anni) ; malgrado l’ eta’ e gli acciacchi lei veniva a trovare il marito ogni volta che poteva “Perche’ – mi disse – ogni volta puo’ essere l’ultima”.

I medici le avevano spiegato che data l’eta’, il fisico molto logorato, la mente che sembrava assente e sempre addormentata in una sorta di coma leggiero, era solo questione di giorni, forse solo di ore.
Caterina (l’ infermiera addetta alla stanza) mi aveva spiegato meglio: non c’erano speranze, per cui lo tenevano nella stanza in attesa della fine. C’era l’ ordine di non praticare terapie estreme, e di evitare l’ accanimento terapeutico; solo per pieta’ cristiana veniva somministata qualche flebo di glucosio, avevano invece smesso di nutrirlo perche’ i cucchiaini di minestrina che venivano accostati alle labbra venivano sputati con aria disgustata.

Oggi era piu’ agitato del solito, smaniava con aria sofferente, e borbottava cose incomprensibili.
“Cosa c’e’ Filippo” – chiedeva la moglie nel loro quasi incompensibile dialetto – “cosa ti serve?”.
Lui rispondeva confusamente, lei insisteva “Cosa vuoi? Cosa ti manca?”
Lui borbottava ancora qualcosa, e lei improvvisamente scoppio’ in lacrime: “Ma come faccio, Fili’, lo sai che ti fa male…” . Lui gemeva, ansimava, ringhiava quasi.

La moglie, in lacrime, usci’ dalla stanza. Sentii che si informava del telefono, poi la sentii parlare, disperata, con Caterina. Sentii l’ infermiera allontanarsi di corsa verso l’ ascensore. Torno’ dopo pochi minuti entrando nella stanza con l’ aria di un cospiratore.
Il pacchetto che aveva con se’, avvolto nella carta velina, non faceva capire di cosa si trattasse: solo all’ apertura si capi’ che era una fetta di torta alla crema, di un tipo di solito non reperibile allo spaccio dell’ Ospedale; si capisce: chi porterebbe una torta alla crema a un ricoverato?
Magari non era un granche’, pero’ la crema emanava un profumo intenso e goloso.

“ Lei non si impicci” mi fece Caterina con aria severa mentre porgeva il pacchetto alla donna.

Non potevo non impicciarmi: vidi la donna avvicinare il pacchetto al volto del marito; vidi il moribondo inalarne il profumo con le labbra che si curvavano in un accenno di sorriso, vidi la donna che immergeva il dito nella crema e glielo avvicinava alle labbra.
Lui non apri’ nemmeno gli occhi: socchiuse le labbra, tiro’ fuori la lingua, secca ed incartapecorita, e diede una leccata alla crema. Inghiotti’ quello che poteva, poi riapri’ avidamente le labbra e nuovamente lecco’ la crema sul dito della moglie. Per la prima volta da giorni un sorriso si disegno’ sulle labbra, e divenne ancora piu’ aperto alla terza leccata. Poi richiuse la bocca e si getto’ indietro sul cuscino, borbottando qualcosa.

“Sta dicendo ‘Dio ti benedica’ – disse una voce alle mie spalle. Mi voltai e vidi Caterina che stava guardando senza farsi sentire. “La moglie ha telefonato al loro medico di famiglia per consigliarsi e lui le ha fatto presente che il marito era li’ in attesa della morte, e che nulla avrebbe potuto guarirlo ne’, al contrario, ucciderlo, e che qualunque cosa lei ritenesse giusta non lo avrebbe certo danneggiato.

I medici dell’ ospedale avevano proibito alla moglie di somministrare qualsiasi cosa al moribondo ma lei, ricordando le passioni e i gusti di quell’ uomo che conosceva cosi’ bene, aveva deciso di disobbedire.
“ E meno male – concluse Caterina guardando il moribondo che giaceva con quel grande sorriso sulle labbra sporche di crema – che ne ha avuto il coraggio…”.

Filippo mori’ poche ore dopo, sempre con quel gran sorriso…


Daniele Zamperini
Pullara Annamaria
Matite di Roberta Floreani

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