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La violenza giovanile: il dibattito
Inserito il 26 novembre 2024 da admin. - professione - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Aberranti e sconvolgenti sono gli ultimi casi di violenza minorile registrati in Italia, e forse è dire anche poco. Tanti sono gli interrogativi riguardo alla esponenziale crescita di violenza tra pari, la cui età sembra diminuire sempre più, e che lasciano sconcertata e disorientata l’opinione pubblica. Da dove poter iniziare per cercare di tracciare una linea di senso che ci aiuti a spiegare questi fenomeni? Forse proprio dai fatti, che coinvolgono minori sempre più piccoli e soprattutto anche ragazzine, evidenziando un fenomeno complesso e multifattoriale, influenzato da variabili individuali, familiari e ambientali.
L' opinione degli esperti, un dibattito televisivo tenutosi sul Can. 28 del Digitale Terrestre

I bambini e i ragazzini di oggi sono già adulti, “si comportano come ventenni perché gli adulti hanno alzato bandiera bianca(..). Continuiamo a chiamarli “minori”, quando minori lo sono per l’anagrafe, ma non certo per la libertà senza freni di cui godono (..) Le bambine sono più giovani delle Lolite di Kubrick”, afferma Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, sottolineando quanto i genitori siano ad oggi troppo tolleranti verso i figli, non insegnando loro a gestire i conflitti in modo sano.

Emblematico in tal senso è anche l’intervento della dott.ssa Annamaria Ascione per il TG 9, in cui sottolinea: “Gli adolescenti sono molto arrabbiati, molto disorientati e alla ricerca di un limite. Gli adolescenti cercano il limite nell’adulto ma i genitori oggi sono disorientati su questo, sono spaventati dal dire i “no”. La ribellione è tipica dell’adolescenza ma nell’agire un atto aggressivo si sta chiedendo che qualcuno intervenga nella funzione adulta, non dal punto di vista anagrafico ma intellettivo, in quanto c’è una slatentizzazione dell’adolescenza anche in quella che dovrebbe essere l’età adulta e non c’è il senso del limite”.

Anche la dott.ssa Mara Angela Grassi, è dello stesso parere: “L’aumento dell’uso del coltello tra giovani e giovanissimi non può più essere sottovalutato. Questo comportamento è il sintomo di un disagio profondo, che nasce dall’assenza di punti di riferimento e dalla crescente disaffezione nei confronti delle istituzioni educative. È essenziale che la scuola e la famiglia riprendano il loro ruolo centrale, diventando i primi luoghi di formazione alla cittadinanza e alla convivenza civile”.

Daniele Novara, pedagogista, continua il discorso intorno la scuola, affermando che questa dovrebbe costituirsi non come luogo in cui si impartisce asetticamente il sapere, quanto piuttosto come luogo che accoglie le emozioni dei ragazzi, in cui questi possano imparare a gestire i loro conflitti in modo più sano.

Anche all’interno del contesto scolastico, tuttavia, obietta l’Ascione, spesso si fa fatica a definire il confine dei propri ruoli, di insegnanti ed educatori e questo “disorienta i ragazzi che si sentono liberi di esprimere la loro aggressività”. L’adolescente, in particolare, sperimenta il proprio vissuto tra le mura scolastiche, riportando al loro interno schemi relazionali appresi, disadattivi e disagevoli, specchio dei disagi vissuti all’esterno, compiendo un processo che potremo definire di “affettivizzazione della scuola”, in cui il ruolo dello studente sembra passare in secondo piano rispetto a quello preponderante della persona adolescente. Ecco, allora, che emerge un disagio nella ricerca di una identità che sembra non potersi strutturare se non mediante condotte aggressive volte all’affermazione di sé.

La ribellione tipica dell’adolescenza, dunque, viene ad essere ampliata da questa mancanza di confini, da adulti assenti che non riescono a stabilire cosa sia giusto o sbagliato nell’educazione dei propri figli, i quali richiamano l’attenzione attraverso atti, talvolta, estremi. Tali atti, dunque, deriverebbe dall’incapacità di questi giovani di gestire i propri conflitti e le loro emozioni, soprattutto quelle negative, e che rivelano, tuttavia, una crisi educativa, familiare e sociale le cui causa vanno a rintracciarsi in questa non chiarezza di limiti e confini.
Molte sono le ricerche che sottolineano come la violenza tra pari sia spesso correlata alla struttura sociale, economica e organizzativa dei quartieri dove questi ragazzi vivono, nonché al quadro familiare spesso composto da adulti di riferimento violenti o assenti. Anche le basse opportunità educative e lo scarso supporto sociale possono aumentare l'incidenza di violenza.

Negli ultimi decenni, inoltre, si è osservato un aumento significativo dei crimini violenti commessi da ragazze, suggerendo la necessità di approcci specifici basati sul genere.
Uno studio su un campione di ragazze nel sistema della giustizia minorile ha identificato alcuni predittori principali, tra cui l'inizio precoce della vita sessuale, esperienze sessuali non consensuali, consumo di sostanze e bassa autoefficacia nel prevenire situazioni di violenza. Questi dati sottolineano l'urgenza di programmi di prevenzione primaria che promuovano l'educazione emotiva e sessuale, rafforzando le capacità delle giovani di riconoscere e affrontare comportamenti abusivi.

Ovviamente anche le esperienze avverse infantili (ACE) sono fortemente correlate a comportamenti aggressivi durante l'adolescenza. Tuttavia, l'influenza delle ACE può variare a seconda del tipo di aggressività e delle caratteristiche specifiche dell'esperienza. La resilienza, insieme a fattori protettivi come il supporto familiare e scolastico, può giocare un ruolo fondamentale nel contrastare gli effetti negativi delle ACE.

Difatti, la teoria secondo cui la violenza genera violenza è stata oggetto di ampie analisi. Sebbene vi siano evidenze che esperienze di abuso e negligenza in età infantile possano aumentare il rischio di comportamenti delinquenziali e violenti, i dati non supportano in modo univoco una relazione causale diretta.
Studi metodologicamente rigorosi indicano che fattori mediatori, come il supporto sociale, con la presenza di reti di sostegno e risorse comunitarie, e la resilienza individuale, possono interrompere questo ciclo.
Le implicazioni di queste scoperte sono rilevanti per lo sviluppo di strategie preventive e di trattamento, mirate a ridurre gli episodi di violenza e le conseguenze psicologiche per bambini e famiglie.

Occorre, dunque, che gli adulti tornino a fare gli adulti, imparando ad ascoltarsi e a porre dei limiti prima a se stessi. Vi è necessità, inoltre, di iniziative concrete per il recupero di situazioni di svantaggio e prevenzione come l’attivazione di servizi di sostegno e promozione della salute e di assistenza psicologica. Tali interventi dovrebbero includere educazione emotiva, programmi per genitori e consulenze individualizzate. Bisogna ricercare la strategia educativa più idonea ed efficace nell'azione promozionale di educazione alla cittadinanza e di prevenzione e di contatto di contrasto ai fenomeni di violenza. Occorre, infatti, raggiungere non solo gli obiettivi di educativi ma favorire anche nei ragazzi una maturazione di stili relazionali positivi di abilità sociali favorendo lo sviluppo di competenze sociali e civiche.

“Solo unendo le forze di tutti gli attori sociali sarà possibile creare un ambiente sicuro e di fiducia, che aiuti i giovani a crescere in un clima di rispetto reciproco e solidarietà”, viene ribadito dall’ANPE, l’Associazione Nazionale dei Pedagogisti italiani.

● Annamaria Ascione - Psicoterapeuta - Anima Iris - membro comitato tecnico scientifico ASSIMEFAC (Associazione Società Scientifica di Medicina di Famiglia e Comunità)
● Antonio Cirillo - Psicologo - Gruppo Giovani ASSIMEFAC

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