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SARAH, CON L’ ACCA
Inserito il 26 dicembre 2024 da admin. - professione - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Di solito dopo la Messa di mezzanotte tutti se ne tornavano a casa, a Collerotto, proprio come in tutto il resto del mondo. Le famiglie si riunivano, i bambini facevano finta di andare a dormire, gli anziani si salutavano cerimoniosamente sul sagrato e poi si avviavano, in piccoli nuclei affettuosi, nelle varie direzioni .

All’ inizio non feci caso al passo scricchiolante nella ghiaia dietro di me. Ero anche io immerso nell’ atmosfera natalizia e oltretutto non mi sembrava di avere conti in sospeso con nessuno, a Collerotto. Siccome però un satanello nascosto nel mio cervello continuava a infastidirsi, tanto per puro scrupolo girai per la traversa che portava alla via delle Canarine.

Il passo mi seguì. Dando piena libertà alle mie doti di attore mi diedi una plateale pacca sulla fronte e girai su me stesso dando così l’ impressione (sperai) di aver dimenticato qualcosa. Gettai uno sguardo distratto ad una macchia d’ ombra dove però sembrò muoversi qualcosa di scuro, che mi impensierì non poco.
Bruno era andato a casa con la famiglia, e non avevo nessuno che mi guardasse le spalle.
Cominciai a sudare e decisi di farla finita: voltai a destra per il vicolo che gira intorno al bar e con un balzo mi acquattai dietro un cassonetto.

Aspettai che l’ ombra indistinta che mi seguiva oltrepassasse la mia posizione, poi saltai fuori e gli puntai la mia chiave di casa nella schiena.
“ Fermo là! – feci con la voce più ringhiosa che riuscii a fare – Se ti muovi sei morto!”
“ Oddio!!” sentii strillare “ Fermate Sachè, sò io!”

Io! Mi fa ridere il fatto che tanta gente, nel momento critico, si qualificasse come “Io” .
Per fortuna riconobbi subito quella voce, per cui abbassai immediatamente la mia “arma”.
“Sachè, ma che giri pure armato? Ma che me volevi sparà? Oddio, potevo morì!”
“ Ma piantala, Giù, pé ammazzatte a te ce vole almeno un cannone!”

In effetti il misterioso pedinatore si era rivelato essere il più innocuo dei malfattori: Giulio, detto “Purchè respirino” o, dal volgo, “Lo Scopone” (senza alcuna allusione al gioco delle carte) o anche, dagli amanti della cultura esotica “El Trombador”.

Giulio, orfano da sempre, viveva in borgata dalla nascita, in casa dei nonni. Lo conoscevano tutti e, soprattutto, lo conoscevano le rappresentanti del gentil sesso.
Sì perché, favorito in questo dalla sorte, aveva ereditato un fisico asciutto ma ben proporzionato, due occhi verdi, una capigliatura sbarazzina che incorniciava il volto dal sorriso accattivante.
Un bello, insomma, con un grande successo con le donne già da giovanissimo.
Molte donne di Collerotto, non tanto interessate alle qualità intellettuali quanto a quelle fisiche, lo avevano coccolato, istruito, avevano giocato con lui e avevano diffuso la sua fama con aggettivi anche troppo lusinghieri.
Giulio, quindi, si era abituato ad ottenere tutto dalle donne. Si diceva che dovunque andasse, se c’erano donne, lui finiva per lasciare il suo marchio, senza distinzione di età o di bellezza, purchè fossero donne e fossero vive. Da qui il soprannome. E, se aveva bisogno di qualcosa, gli bastava rivolgersi a una donna.

Qualche volta aveva esagerato: quando si era messo a fare gli occhi dolci alla moglie di Bruno era stato trovato, ufficialmente “investito da una macchina”, nel fosso sul margine di una stradina. Una macchina mai identificata ma che si diceva che fosse molto Zozza…
Sembrava che avesse imparato da allora, almeno un po’, il valore della misura e della discrezione.
Non capivo, però, cosa volesse da me quella notte.

“ Sachè, per favore, ho bisogno di un amico… Possiamo parlare un po’? Per favore…”.

Sentire lo Scopone che chiedeva per favore, e a un maschio, mi lasciò interdetto. Lo trascinai per un braccio fino al portico del bar, ormai chiuso, dove lo feci sedere in penombra di fronte a me ad un sostituto del mio solito tavolinetto.
Giulio rimase in silenzio per un bel po’; non lo forzai perché avvertivo il tono particolare di quel silenzio.
“ Sachè - si decise ad un certo punto – ci conosciamo da ragazzini, no?”.
Annuii.
“ Giocavamo a pallone vicino alla marana “
Annuii ancora
“ Andavamo a scuola insieme”

Annuii ancora, anche se dentro di me operavo dei distinguo: andavamo sì insieme a piedi verso la scuola, per la strada della borgata, solo che lui a scuola ci arrivava di rado perché preferiva infrattarsi nei cespugli. Gli era costato caro, perché negli anni si era fatto ripetutamente bocciare. Troppo preso da interessi mondani.
Perciò avevamo abbastanza presto separato le nostre strade: io ero andato avanti, lui era entrato nella bottega (e spesso nel retrobottega) del nonno che gestiva la rivendita di ricambi auto.

“ Te lo ricordi che facevamo la corte alle ragazze della classe femminile?”
“ Io mi ricordo, Giù, che TU facevi la corte alle ragazze, io ero troppo timido”
“ Va bè, non andiamo troppo per il sottile. Ma te la ricordi “Sara-con-l-acca?”

Impossibile da dimenticare: un’ adolescente con una chioma di lunghi ricci rosso fiamma, un nasino impertinente cosparso di lentiggini, una mente vivace e spiritosa, che i genitori, disprezzando i nomi usuali, avevano voluto battezzare Sarah condannandola così per tutta la vita: ogni volta che lei si presentava doveva specificare “ Io sono Sarah, con l’ acca”. Così il soprannome le rimase addosso, come scolpito nella pietra.

Mi ero illuso, per un pò, che fosse la mia fidanzatina ma era troppo per un timido come me. A quanto si diceva però era stata troppo pure per Giulio.

“ Vedi, Sachè, mò te racconto ‘na cosa che nessun altro sa: a me piaceva da morire e non capivo perché non volesse starci. Io insistevo, ma non c’era niente da fare, per lei ero troppo incostante, non le davo garanzie , andavo con tutte eccetera eccetera. Solo che me ne ero innamorato e la cosa mi faceva rabbia così più lei mi diceva di no, più io cercavo di ingelosirla andando a rimediare in giro altre donne. Alla fine rompemmo e lei cambiò città con la famiglia. Non mi ha scritto nemmeno una volta.”.

La storia di Giulio non mi aveva impressionato, mi sembrava una banalità. Non dissi una parola, immaginando che le cose importanti venissero dopo.

“ Bè, non ci crederai ma ero davvero innamorato. L’ ho pensata, ci ho sofferto per un sacco di tempo…”
“ Almeno una settimana, scommetto!” non riuscii a trattenermi.
“ Di più, di più… ogni volta che andavo con una mi immaginavo di stare con lei e, se era troppo diversa, me capitava pure di fare cilecca!!! È durata almeno un mese!”
Un vero dramma, pensai, ma visto che Giulio era entrato nel racconto con una sorta di frenesia, evitai di interromperlo.

“ Bè, nun ce crederai, Sachè, ma qualche giorno fa mi è sembrato di rivederla. Stavo sull’ autobus verso il centro quando l’ ho vista che usciva da un negozio. Tu me dirai che sò matto, ma nun se possono confonne dei capelli come quelli! E poi nun era cambiata per niente, anzi era ancora più bella. Sachè, m’è girata la testa, me sò tremate le gambe e l’ altro organo… bè nun c’è bisogno de specificà: rigido come un bastone. Sò sceso alla fermata dopo, sò tornato indietro de corsa, sò entrato nel negozio, ho chiesto in giro, ma nun c’è stato niente da fà, nun l’ ho trovata e nessuno m’ ha saputo dì niente”.

Era evidente che Giulio si aspettava un commento da me, ma io preferii servirmi dell’ arma del Sachem: un silenzio carico di significati, che ciascuno riempiva poi a suo piacere.

“ Sachè, io la devo rivedé, nun ce resisto più! Nun c’ho pace, nun ce dormo, nun riesco più a famme valè. Le donne cominciano a guardamme storto, figurate che pure le Canarine cominciano a sfotteme pè le cilecche”.

La voce in effetti mi era arrivata.

“ Senti, Sachè, io me ricordo che pure tu je stavi appresso, e che ve scrivevate li bijettini, e ogni tanto ve telefonavate e annavate ar cinema insieme – si interruppe guardandomi preoccupato – no, tranquillo, nun sto a fà er geloso, ma pensavo che forse eravate rimasti in contatto, magari tu sai che fine ha fatto, dove sta adesso… Insomma, Sachè, magari me poi aiuta a ritrovalla!”

Ci pensai sopra qualche minuto.
“ Giù, mi ricordo male o tu avevi pure fatto una scommessa su Sarah? Mi sembra pure di ricordare qualche dettaglio: avresti vinto un abbonamento alla curva sud se fossi riuscito a fartela; ti eri vantato di portartela a letto quando volevi, e che per provarlo avresti pure organizzato una incursione degli amici nel momento migliore. Ricordo che eri entrato nei particolari: ti vantavi che l’ avresti fatta sorprendere nuda, intenta a qualche “servizietto” . Non mi sembravano propositi da innamorato”.
“Sachè, erano bravate da ragazzini! “
“ E lei ti ha fregato! Ti ha dato buca! – mi rilassai sulla sdraio, stiracchiandomi con un po’ di maligna soddisfazione - la donna che ha resistito al fascino del Trombador. Fu fantastico: la volta che hai provato con una donna seria il fascino dello Scopone ha fatto cilecca. E adesso questo ti brucia. Ti vorresti rifare… - riflettei in silenzio sul concetto, mi vennero in mente un sacco di cose – Va bè, vedrò cosa posso fare”.

Ci lasciammo con la promessa che mi sarei interessato al suo caso. Fui molto preciso nelle parole per non garantire risultati precisi: Giulio, mi interesserò al tuo caso. E così feci. Lui se ne andò a casa, io rimasi ancora a riflettere per qualche minuto. E i risultati non mi piacquero.

Non lasciai passare troppo tempo: due giorni dopo telefonai a Giulio che avevo ritrovato Sarah. Anzi gli dissi che le avevo parlato, che le avevo riferito la sua immutata passione e il suo spasmodico desiderio di rivederla e di portare a termine ciò che tra loro era rimasto in sospeso. E lei si era detta d’accordo.

Interruppi le grida di giubilo di Giulio per specificare però che lei non voleva un incontro scappa-e-fuggi ma una cosa seria, che rappresentasse degnamente la conclusione di una passione durata tanti anni. Voleva un appuntamento in un bell’ albergo (ne indicò uno, abbastanza costoso ma dove non facevano troppo i pignoli), doveva essere lui a prendere una stanza a proprio nome, doveva farle trovare un fascio di rose rosse. Lei l’ avrebbe raggiunto là.”

Giulio accettò subito, giubilante. Non protestò neppure per il costo della stanza (notevole) e per quello delle rose (abbastanza care). Disse solo che tanto quelle spese le avrebbe recuperate.
Anche questa cosa non mi piacque per niente.

Come poi andarono le cose, ci pensò un anonimo pettegolo, a raccontare in giro:

Giulio prese la stanza e si pose in trepida attesa; Sarah arrivò poco dopo, splendente in un vestitino leggero e i capelli rossi che le scendevano in riccioli fluenti sulle spalle. Si abbracciarono strettamente, poi le mani di Giulio presero a correrle languidamente sul corpo, ansimante dalla passione, lei cominciò ad aprirgli la cintura finchè, al punto culminante, Sarah pretese una pausa chiedendo che lui facesse una doccia prima delle inevitabili conclusioni. “Non mi piaci sudato” aveva detto mentre lo aiutava a togliersi i pantaloni.

E mentre Giulio, completamente rimbambito se ne stava sotto la doccia, lei raccolse tutti i suoi vestiti, li mise entro una sacca, lasciò sul tavolo solo il portafogli, e se ne andò di soppiatto, non prima di aver lasciato sul letto un affettuoso saluto in grossi caratteri: “STRONZO!”.

La storia (come riferito dall’ anonimo pettegolo) narra che un gruppo di borgatari, d’ accordo con Giulio, avevano fatto irruzione nella stanza armati di macchina fotografica per immortalare la vendetta di Giulio trovando invece l’ ospite urlante di rabbia e seminudo, coperto solo da un asciugamano che ogni tanto si apriva lasciando intravvedere certe parti intime vergognosamente depresse, ripetutamente fotografate. Poi l’ ospite dovette presentarsi, sempre seminudo, nella hall a raccontare l’ accaduto tra le risate di tutti i presenti.
Lì recuperarono dal cassonetto dei rifiuti i suoi vestiti, ormai ridotti a stracci da vagabondo, cenciosi e strappati qua e là e senza biancheria. Le scarpe erano sparite.

Giulio non sporse denuncia, perché non avrebbe saputo come raccontare la cosa senza fare una figuraccia né come giustificare l’ accaduto alla famiglia. Cercò di tornare di soppiatto, ma non sfuggì agli occhi della borgata.

Mi telefonò arrabbiatissimo ma io caddi candidamente dalle nuvole: come avrei potuto sapere qualcosa? Forse potevo intuire il suo tentativo di vendetta, fallito così miseramente? Chi avrebbe potuto mai immaginare una cosa del genere? E perché lui aveva cercato di fregarmi, rendendomi suo inconsapevole complice?
E quando Giulio tentò di negare tutto raccontando in giro una versione più vantaggiosa della storia, allora comparve, attaccata al palo della luce vicino al bar, una sua foto, seminudo e stravolto, con il messaggio amoroso perfettamente leggibile sullo sfondo.

Ci fu un lungo periodo di ilarità a Collerotto. Il soprannome di Giulio si era modernizzato in “ Lo Scopone Stronzo” o “ Il Trombador Trombato”; perfino le canarine (ormai divenute il suo quasi unico sfogo) gli facevano lo sconto sul prezzo perché, dicevano beffeggiando, “le faceva tanto ridere”; e infatti ridevano, mentre lui tentava di fare sesso almeno con loro.

E Sara-con-l’-acca era ripartita per casa, lontano da Collerotto. Ci eravamo salutati con un bacio alla stazione; solo un bacio, ma un bacio vero. Non c’era tanto sesso in quel bacio ma calore, affetto, ricordi di un’ amicizia felice, e tanto sentimento.

Se fosse stato un film, mentre il treno partiva ci sarebbe stato un sottofondo di pianoforte, languido, quello di Casablanca, e una voce, roca e piena di sentimento, sullo sfondo. “Suonala ancora, Sam”…

Che il destino le sia propizio…

Daniele Zamperini 2021
"Al Bar dello Zozzo"

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