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LA MORTE TI FA BELLA
Inserito il 26 febbraio 2025 da admin. - professione - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Me ne stavo al bar ad assaporare la colazione di mezza mattina, che li’ da Poldo era sempre particolarmente buona.

Quella mattina non c’erano molti avventori, c’era una grande manifestazione al centro, e la maggior parte della gente era andata a vedere o a partecipare; poi sarebbero tornati in massa. Poldo, percio’, si era preso un po’ di tempo per venire a fare due chiacchiere con un amico.

“Hai notato, Sache’, come si sta bene quando si e’ tra amici? Non che io mi lamenti, in fondo la gente mi da da vivere, pero’ certe volte e’ proprio faticoso! “
Prese un’ aria perplessa “Non so proprio come fa il Sor Antonio! Lui ha sempre un afflusso di gente, anche stamattina sono venute tre o quattro signore, e si sono fermate un bel po’… Se almeno Antonio fosse un bel giovanotto capirei, me e’ anziano (pardon, volevo dire “maturo”) quanto noi.”.

Antonio aveva un negozietto di fronte al bar. Era una piccola bottega di artigiano tuttofare: dalla vetrinetta si vedevano borsette in pelle da riparare, scarpe da risuolare, vestiti da rappezzare. Si vedeva anche la porta in fondo, che portava ad un misterioso retrobottega dove un tempo i maligni dicevano che si svolgessero misteriosi riti erotici, che pero’ nessuno aveva mai visto, per cui i pettegolezzi piano piano si erano spenti.
Vero e’ che molte delle signore che li’ accedevano per riparare qualche borsetta finivano anche per introdursi furtivamente li’ dietro.

Aspettai che arrivassero dei clienti, per cui Poldo torno’ dietro il bancone. Piano piano, con aria indifferente, traversai furtivamente la strada.
Perche’, in realta’, era proprio questo il motivo per cui mi ero recato da quelle parti, per parlare in veste di ambasciatore, con Antonio.

Antonio mi saluto’ calorosamente, eravamo stati compagni di scuola, e per molti anni avevamo scorrazzato per tutta la borgata.
“Come mai da ‘ste parti, Sache’ ? - mi fece alla fine – Ti si e’ strappata la giacca di pelle?”
“No, magari, vengo qui perche’ mi ha mandato Alessandra. Te la ricordi, no? Quella ragazzona giunonica, con i capelli lunghi e neri, che ti faceva perdere la testa. Ha bisogno di te. Del tuo retrobottega…”.
Antonio si incupi’, ma non disse nulla.
Continuai:
“E’ in cura presso l’ ospedale oncologico qui vicino, e puoi immaginare il perche’”.
“Dove ce l’ha, al seno?”
“Sì. Per fortuna non e’ molto avanzato, deve iniziare la chemio ma si sente in grave difficolta’. Tu capisci…”.
“ Certo, anche se non capisco perche’, certe volte, le donne tengano piu’ al loro aspetto fisico che alla salute… Vieni con me, guardiamo insieme”.
Ed entrammo nel misterioso retrobottega.

C’era da restare a bocca aperta: ampio, luminoso, coloratissimo. E tutt’intorno alle pareti una sfilata di teste di bambola con le chiome delle piu’ diverse fogge e colori.

“Sono quasi tutti capelli sintetici – Fece Antonio – non e’ facile procurarsi capelli naturali. Pero’ si puo’ fare. Come vorrebbe che glieli preparassi?”

Io guardavo a bocca aperta quella sfilata di chiome lunghe e fluenti, o corte e sbarazzine, lisce o ricce ma tutte quante meravigliosamente naturali, splendide.

“Quella li’, penso che vada bene – poi ripensai ai gusti di Alessandra, non facili – Ma anche quell’ altra … Non potresti prepararmele tutte e due?”.
“Certo, ma le dovro’ aggiustare un po’, regolarle sulla persona, pettinarle, adattarle al suo viso. Dovra’ passare da me, ma dopo potra’ sfoggiare anche un bel cambio di pettinatura. Nessuno si accorgera’ dell’ effetto della chemioterapia. Sara’ contenta. Falla venire da me domani… Ci penso io!”.

Non ne avevo dubbi. La fama di Antonio si era diffusa attraverso gli ambulatori del vicino Ospedale Oncologico. Ormai tutti li’ lo consideravano un mito, uno che ridava bellezza alle donne devastate dalla chemioterapia. Una fama localizzata, lui aveva sempre rifiutato di intraprendere un’ attivita’ su larga scala, aveva preferito continuare ad occuparsi di poche persone, alle quali pero’ si dedicava interamente.

“Avrei voluto fare il medico – mi aveva confessato – ma non ho potuto studiare. Ho cominciato a lavorare qui, sotto la guida di Amintore, un vecchio truccatore teatrale, poi sono cominciate ad arrivare le pazienti dell’ oncologico. Si accontentavano di parrucche arrangiate, anche brutte, purche’ costassero poco. L’ importante, per loro, era poter mostrare dei capelli senza far capire come erano ridotte nella realta’ Pero’ Amintore non sopportava quegli orrendi ciuffi color fango, o quei cespugli rigidi e spigolosi per cui comincio’ ad applicare un po’ della sua arte al prodotto finito… Ed io facevo l’ assistente e imparavo”.
“ Ma non vi veniva a costare troppo?”
“Si, effettivamente, ma Amintore era ormai anziano, e aveva poco interesse per i soldi. Lo gratificavano invece i ringraziamenti calorosi delle sue clienti. Qualcuna tornava dopo un po’, diceva di aver superato la malattia e addirittura, a volte, restituiva la parrucca ormai inutile perche’ la potesse regalare a chi non poteva permettersela; qualcuna invece non si vedeva piu’, e noi ci chiedevamo se avesse vinto o perso la sua battaglia.

Una volta - continuo' a raccontare - l’ accompagnai in Via Ripetta, a casa di una cliente che non poteva venire a negozio.
Era in un vecchio edificio del secolo scorso, al piano terra. Quando entrammo avvertimmo subito quell’ odore di aria viziata, di medicinali, di sofferenza che di solito si sente solo negli ospedali. Ci accompagnarono dalla malata: inutile che io ti stia a spiegare nei dettagli: era evidentemente ridotta allo stremo, pelle e ossa che sporgevano grigiastre dalle lenzuola; un volto scavato sormontato da pochi ispidi peli di un colore grigio sporco.

Dagli sguardi che si scambiarono, capii subito che si conoscevano gia’.
“Ciao, Ami’ – un soffio rauco, appena avvertibile – stavolta non ce l’ ho fatta, e’ tornato, e stavolta sta vincendo lui”.

Amintore non rispose, ma aveva le lacrime agli occhi. Non emise un fiato, sapeva come purtroppo i falsi incoraggiamenti non servano a nulla. Rimase li’, in silenzio, vicino al letto, davanti a me.
“Sono felice che ti sia ricordato di me – continuo’, appena avvertibile , la voce dal letto – Mi hai aiutato tanti anni fa, ora ti prego, aiutami anche stavolta!”

Amintore continuo’ a tacere, ma mise in evidenza, davanti al volto distrutto, il pacchetto che aveva portato dal negozio.
“Ho gia’ fatto” riusci’ a rispondere. Poi scarto’ il pacchetto e tiro’ fuori ina parrucca, ma non era una delle solite parrucche.
Aveva capelli corti misti bianchi e grigi, ma con un’ armonia di sfumature che sembrava mandare luce. I riccioli erano disordinati, un po’ arruffati e cosi’ naturali che mi venne la certezza che fossero capelli veri. Amintore si accosto’ al volto della malata e con delicatezza, con piccoli tocchi lenti e leggeri, gliela accomodo’ sulla testa. Poi fece calare sulla fronte una piccola frangetta, appena accennata, e qualche ricciolo lungo le guance.

Io guardavo meravigliato: la malata si era trasformata in una anziana un po’ stanca, e’ vero, ma ancora viva e presente, che riusciva perfino a mandare uno sguardo vivo e spiritoso.
Poi uno dei familiari avvicino’ uno specchio: la malata si guardo’, si lecco’ le labbra, sorrise ed emise un profondo sospiro.

“Sei stato fantastico, Ami’ – e, rivolto ai presenti – ora fate pure entrare i nipotini, voglio salutarli per l’ ultima volta. – E a me, che guardavo senza capire – Non volevo che serbassero di me un ricordo cosi’ brutto! Voglio che ricordino la nonna come l’ hanno sempre vista”.

E mentre un gruppo di bambini vocianti irrompevano nella stanza Amintore mi prese per il gomito e mi guido’ fuori. Uscimmo dal palazzo silenziosi; si intrasentivano ancora gli strilli e le risate dei bambini che salutavano la nonna.
Immaginavo l’ anziana adagiata nella tomba, con quel sorriso, i capelli e quel bellissimo aspetto.

Tornammo alla bottega, e non sono piu’ andato via."

Daniele Zamperini (2024)
Annamaria Pullara
Matite di Roberta Floreani

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