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Perché i pazienti con fibrillazione atriale non sono trattati col warfarin? |
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Inserito il 30 gennaio 2000 da admin. - cardiovascolare - segnala a:
La fibrillazione atriale (FA) è un problema di salute pubblica ingravescente associato a significativa morbilità e mortalità, in quanto causa di stroke ischemico. I soggetti con FA non valvolare hanno un aumento del rischio di stroke di almeno 5 volte, mentre per quelli con FA valvolare il rischio aumenta di 17 volte. Circa il 15% di tutti gli strokes è associato a questa aritmia, e l’associazione aumenta pesantemente con l’età, dal 6.7% di tutti gli strokes per pazienti di età tra i 50 e 59 anni al 36.2% per pazienti di età tra 80 e 89 anni. Numerosi trials randomizzati e controllati sul walfarin hanno dimostrato in modo definitivo che la terapia anticoagulante a lungo termine può ridurre il rischio di stroke all’incirca del 68% per anno in pazienti con FA non valvolare, e anche di più in pazienti con FA valvolare. Tuttavia, i dati disponibili dimostrano che il warfarin viene prescritto solo al 15-44% dei pazienti con FA e senza controindicazioni alla terapia con warfarin. Questa revisione critica della letteratura ha identificato ostacoli alla prescrizione di warfarin correlati al paziente, al medico e al sistema sanitario. Barriere pertinenti al paziente. Fattori correlati al paziente quali l’età, il rischio embolico percepito e il rischio percepito di emorragia sono correttamente identificati come fattori che influenzano la decisione di prescrivere la terapia anticoagulante. Per esempio, l’età crescente è stata correttamente identificata come un ostacolo alla terapia anticoagulante, ed anche i medici che vogliono prescrivere la terapia anticoagulante per pazienti anziani propendono per un’intensità minore di quella supportata dall’evidenza dei trias randomizzati e controllati. Al contrario, i medici sono più aggressivi con la terapia anticoagulante in pazienti con una storia di stroke. Barriere pertinenti il medico. Il principale determinante per l’uso degli anticoagulanti dovrebbe essere la valutazione rischio-beneficio in ogni singolo paziente. In effetti, la percezione da parte del medico dei benefici versus rischi della terapia sembra essere l’unico elemento che influenza l’instaurazione della terapia con warfarin. Questa percezione deriva in parte dalla precedente esperienza del medico sull’uso del warfarin. L’incertezza clinica, sebbene riportata comunemente, non è chiaramente definita. Essa è stata interpretata come se significasse che i medici non erano a conoscenza della letteratura corrente, oppure che conoscevano la letteratura ma non ne accettavano i risultati, oppure che credevano che le indicazioni cliniche non fossero ben supportate. C’è inoltre una carenza di uniformità nelle linee guida, che contribuisce alla variabilità dei comportamenti prescrittivi. Barriere pertinenti al servizio sanitario. Per aspettarsi la stessa riduzione degli strokes e la stessa frequenza di emorragie dei trials clinici, è logico richiedere un livello di anticoagulazione equivalente a quello ottenuto nei trials clinici. Tra i pazienti ricoverati in ospedale per uno stroke in corso di terapia con warfarin, la maggior parte avevano livelli di INR (International Normalized Ratio) subterapeutici. Non è ben chiaro il perché di tutto questo: alcuni medici ritenevano che il monitoraggio della terapia fosse scomodo per mancanza di tempo, o per ritardo del laboratorio nel fornire i risultati, o per limitazioni di spazio; altri medici ritenevano che fosse necessaria un’ulteriore remunerazione, oppure che fosse necessario un consulente, o qualcuno che gestisse l’anticoagulazione. Date queste considerazioni logistiche, potrebbe esserci nella comunità una carenza di risorse e di personale esperto per in grado di fornire una terapia anticoagulante a livelli simili a quelli dei trials clinici controllati. Nonostante la potenziale scarsità di risorse, i medici indagati in Gran Bretagna sembrano credere che la gestione della terapia anticoagulante dovrebbe essere effettuata in comunità e in medicina primaria. Nel confrontare la medicina di primo e di secondo livello i medici britannici convengono che la medicina primaria offre ai pazienti un accesso migliore e una continuità di cura. Conclusioni. Con una popolazione che invecchia, la FA è un problema in crescita con significative conseguenze cliniche. Nonostante le decisive prove di efficacia derivanti dai trials clinici randomizzati e controllati, l’uso del warfarin per la prevenzione dello stroke ischemico nella FA è subottimale. Sono necessari ulteriori lavori per capire la discrepanza tra l’evidenza dei trials randomizzati e controllati e i comportamenti della pratica clinica. Archives of Internal Medicine, 10 gennaio 2000
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