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Anoressia: il sintomo alimentare di motivi profondi |
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Inserito il 26 giugno 2025 da admin. - psichiatria_psicologia - segnala a:
Quando si parla di Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), in questo caso dell’anoressia nervosa, seguendo i principali manuali diagnostici (DSM e ICD), spesso si fa riferimento solo agli aspetti osservabili, in quanto sono ciò che emerge, ma alla base di questo disturbo ci sono diverse motivazioni latenti che si manifestano in modo celato.
L’anoressia nervosa, come gli altri disturbi del comportamento alimentare, nascono da una serie di eventi scatenanti molto più complessi di ciò che il disturbo lascia vedere, per questo motivo, in questo lavoro introduco il termine “sintomo alimentare” con lo scopo di porre in evidenza che il disturbo anoressico può essere visto come un sintomo di un conflitto psichico sottostante, associato a fattori sociali, emotivi, relazionali e biologici, che si manifesta tramite il rifiuto e l’allontanato del cibo e dell’alimentazione, ponendo maggiore enfasi sui fattori affettivi, relazionali e sociali.
INTRODUZIONE: L’anoressia è definita dai principali manuali diagnostici come un DCA caratterizzato dalla severa restrizione nei confronti dell’alimentazione accompagnata da comportamenti disadattivi, come la restrizione nell’assunzione di calorie, un’intensa paura di aumentare di peso o di diventare grassi e l’alterazione del modo in cui viene vissuto dall'individuo il peso o la forma del proprio corpo, di conseguenza, influisce sulla propria condizione fisica. Però, per comprendere in modo adeguato questo disturbo, bisogna andare oltre il sintomo stesso e capire cosa esso ci vuole comunicare, ma per fare ciò è necessario conoscere la storia personale del paziente che abbiamo di fronte al fine di comprendere i fattori che hanno portato all’insorgenza di questo disturbo.
1. I FATTORI FAMILIARI E RELAZIONALI; contributi teorici: Tra le principali cause scatenanti dell’anoressia troviamo un contesto familiare caratterizzato da dinamiche eccessivamente difficili, traumi e/o violenza fisica e/o sessuale. Secondo diversi studiosi, il contesto familiare è l’ambiente in cui ogni individuo si plasma e raggiunge l’indipendenza psicologica, fondamentale è stato il contributo di Donald Winnicott relativo alla teoria dello sviluppo, in cui sottolinea l’importanza fondamentale della relazione tra il bambino e la madre. In questa sua teoria, Winnicott sostiene che, tramite le tre fasi dello sviluppo (dipendenza assoluta, dipendenza relativa e verso l’indipendenza), il sistema cognitivo e affettivo del bambino riesce a svilupparsi nel modo corretto consentendogli di raggiungere l’indipendenza psico- affettiva, la quale gli consente di affrontare e accettare in modo adattivo eventuali situazioni stressanti o problematiche. In questo processo è fondamentale la presenza di una madre sufficientemente buona che sappia garantire un ambiente positivo, l’holding (contenimento psicofisico) e l’handling (cure fisiche adeguate).
Oltre al contributo di Winnicott, possiamo legarci alla teoria delle relazioni oggettuali proposta da Melanie Klain, secondo la quale, il bambino introietta le relazioni oggettuali, ovvero, il legame conscio e inconscio che il bambino crea con l’oggetto (una figura esterna capace di soddisfare i propri bisogni) che contiene la rappresentazione di sé, dell’oggetto e dell’interazione affettiva tra di essi, quindi, queste relazioni diventano parte del mondo psichico del bambino influenzando, di conseguenza, il suo modo di agire e di affrontare i vari eventi che gli si presenteranno.
Da queste teorie appare evidente l’importanza che ha la presenza di un ambiente familiare sano nel quale il bambino può conoscere sé stesso e può imparare a gestire le proprie emozioni in risposta agli stimoli ambientali, infatti, una deprivazione di questo contesto familiare può portare il bambino a sviluppare una serie di comportamenti disadattivi, i quali portano a difficoltà nella gestione delle proprie emozioni e dei propri impulsi e può portare alla formazione di un’immagine del sé alterata. Il contesto familiare, quindi, è un fattore molto importante nella genesi del disturbo anoressico, soprattutto a causa della costatazione che in questo contesto il bambino esperisce per la prima volta la propria affettività, infatti, in linea con questa concezione, Sigmund Freud sostiene, che “non siamo mai così indifesi verso la sofferenza, come nel momento in cui amiamo”, evidenziando ulteriormente la necessità di un contesto familiare sano e apprensivo che consenta al bambino di sperimentare la propria affettività in modo adeguato.
1.1 LA RICERCA DELL’ALTRO: Il sintomo alimentare è la manifestazione osservabile di una serie di conflitti radicati nella psiche dell’individuo che hanno origine nell’esperienza affettiva passata dell’individuo caratterizzata principalmente da conflitti, separazioni, deprivazioni delle figure essenziali nella vita del bambino, e/o da eventi traumatici (violenza, abuso), i quali lo spingono a mettere in atto comportamenti disfunzionali come tentativo di sfuggire ad una sofferenza maggiore che non dà tregua a chi la esperisce oppure come tentativo di richiamare le attenzioni dell’Altro, attenzioni fondamentali per lo sviluppo psichico dell’individuo, che però gli sono state deprivate. Tutto ciò nasce dalla percezione di un senso di vuoto legato all’Altro, per il quale la persona colpita mette in atto comportamenti finalizzati a colmare questo vuoto, ma nel farlo prende in ostaggio il suo corpo e lo utilizza come un oggetto al fine di richiamare l’attenzione e di avvicinare l’altro. Questo perché, il paziente anoressico, deprivandosi dell’alimentazione, quindi, di un bisogno dell’organismo, percepisce una sorta di potere che lo spinge a pensare che; se è in grado di controllare questo aspetto, questa pulsione, allora sarà in grado di controllare l’Altro, per avvicinarlo a sé stesso e per porre fine al vuoto percepito, ma questa credenza erronea si conclude spesso in conseguenze anche molto negative per l’organismo, il quale, senza il giusto nutrimento, finisce per spegnersi gradualmente in un mare ricco di sofferenze ma vuoto di affetti.
Possiamo dire che il comportamento che il paziente anoressico mette in atto verso l’alimentazione è un’espressione dello stato affettivo legato all’Altro, tramite esso il paziente comunica una sofferenza, un bisogno di amore, supporto e vicinanza che, per diversi fattori, gli sono stati portati via. Quindi, il sintomo alimentare può essere associato alla deprivazione affettiva che, dalle prime fasi dello sviluppo del bambino, o della bambina, ha porta allo sviluppo di ciò che cade sotto la definizione di DCA, con tutte le sfumature che esso porta con sé, ma fermarsi su questa associazione sarebbe un errore, in quanto a determinare questi disturbi non troviamo un’unica causa, infatti, Recalcati, in merito all’anoressia nervosa, introduce il concetto di “Niente” (Massimo Recalcati. Clinica del vuoto. Anoressie, dipendenze, psicosi) e distingue: • Il primo niente; si esprime tramite il “non mangio niente” come rifiuto dell’Altro, un costante contrastare l’Altro al fine di ridurre il suo potere su sé stessi, conquistando un senso di potere immaginario, è come “un oggetto paradossale che consente un ribaltamento radicale dei rapporti di forza tra il soggetto e l’Altro”. Ma questo comportamento è un apparente rifiuto dell’Altro, infatti, è più un ricatto nei suoi confronti che ha l’obiettivo di fargli notare il niente che ha lasciato, richiamando l’attenzione su di sé e sul bisogno che ha della sua vicinanza. Quindi, è un’espressione mascherata del desiderio dell’Altro. • Il secondo niente; in questo caso si osserva un rifiuto dell’Altro, è un niente che nasce come un “puro annientamento di sé” che spinge il proprio copro verso la distruzione. Questo niente si osserva nei casi gravi ed è una forma di niente che porta l’individuo al rifiuto dei propri bisogni, trasformando il proprio corpo in una scatola vuota priva di bisogni e desideri. Questo niente appare come un atto “finalizzato a spogliare il soggetto dal godimento maligno dell’Altro riducendolo ad un corpo desertificato dal godimento che però rivela di essere assoggettato interamente al godimento della pulsione di morte”.
Quindi, appare evidente che non è corretto associare la manifestazione dell’anoressia ad un solo fattore scatenante.
1.2 SESSUALITÀ, LUTTO E AMORE: Come sottolineato in “i ciottoli di Jonas; Anoressia e bulimia. Perché sono due malattie dell’amore”, ad influire in modo significativo sull’insorgenza dell’anoressia si osservano tre fattori relazionali fondamentali, i quali predispongono in modo marcato l’individuo allo sviluppo del DCA. 1. L’incontro con la sessualità; in questo contesto, il disturbo può essere dovuto ad un tentativo di difesa dalla sessualità del proprio corpo e dalla scoperta della sessualità del corpo dell’altro. Quindi si osserva una sorta di rifiuto del corpo in quanto sede della sessualità e dei conflitti da essa suscitata. 2. La separazione; in questo caso, il disturbo nasce come un’opposizione alla scelta dell’Altro. È suscitato da una cattiva elaborazione della separazione dall’Altro significativo che porta l’individuo ad attuare comportamenti disfunzionali come tentativo di “fermare il tempo” e di evitare l’allontanamento dall’Altro. 3. La relazione amorosa; in questo caso, il comportamento anoressico nasce come tentativo di risanare la ferita lasciata dall’Altro nel momento in cui ci priva dell’amore del quale abbiamo bisogno. È un meccanismo disfunzionale che “aiuta” l’individuo ad evitare il dolore dovuto a questa deprivazione, ma che, più che aiutare, porta a conseguenze dannose.
2. L’INFLUENZA DEL CONTESTO SOCIALE: Un altro fattore che influisce significativamente sull’insorgenza dell’anoressia è sicuramente il contesto sociale in cui è inserito l’individuo. La società odierna è una società principalmente orientata alla valorizzazione del “bello” e dell’immagine prototipica della perfezione, matura sempre di più la credenza secondo la quale per essere socialmente accettato e godere di un certo status sociale è più importante apparire che saper fare, quindi, per essere bello e accettato è necessario rispettare i canoni imposti dalla società. Questo influisce in modo molto marcato e pesante sulle persone, in particolare sugli adolescenti, portando gli individui di fronte alla credenza erronea che li spinge a pensare che “devo essere in un certo modo, altrimenti non valgo niente e nessuno mi vuole bene”. Quest’affermazione può essere definita come caratteristica del sintomo alimentare, in quanto, oltre ai fattori sopra citati, l’influenza sociale ha un peso rilevante sul comportamento degli individui. Anche a causa di questi fattori, il soggetto anoressico mette in atto comportamenti estremi rispetto alla forma del proprio corpo in quanto hanno una percezione distorta del proprio corpo, infatti, a causa del dismorfismo corporeo, questi soggetti si percepiscono in modo diverso da quella che è la realtà, portando a comportamenti estremi di restrizione alimentare che portano a conseguenze molto gravi fino a raggiungere, nei casi gravi, la morte. Questi fattori influenzano il comportamento del paziente anoressico in quanto i processi cognitivi di questi individui sono ricchi di percezioni distorte e processi di pensiero alterati dalle varie dinamiche insorte nella vita dell’individuo.
CONCLUSIONE: Appare evidente che l’anoressia nervosa indica la presenza di conflitti psichici che si manifestano in modo celato tramite i sintomi alimentari, quindi, non bisogna soffermarsi su ciò che il paziente anoressico mostra, in quanto questo potrebbe portare ad interpretazioni sbagliate delle condizioni dell’individuo. È necessario indagare sulla storia soggettiva passata legata alla vita affettiva e relazionale, spesso ricca di traumi e conflitti, osservando anche l’eventuale influenza del contesto sociale in cui è inserito l’individuo, in quanto questi fattori, insieme anche ai fattori genetici, hanno una forte influenza sull’insorgenza e sullo sviluppo del DCA.
Quindi, bisogna essere cauti nel trattamento di questi pazienti, in quanto ciò che mostrano è l’espressione di qualcosa di più complesso e articolato del “semplice” rifiuto del cibo.
Alessandro Guida (psicologo Assimefac, ref. Dr. Annamaria Ascione)
BIBLIOGRAFIA: -Massimo Recalcati. Clinica del vuoto. Anoressie, dipendenze, psicosi. Azzate: Raffaello Cortina Editore. 2004. -Paola Guercioni e Chiara Nicastri. I ciottoli di jonas. Anoressia e bulimia, perché sono due malattie dell’amore? Palermo: Di Girolamo Editore. 2009.
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