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PCI e fibrillazione atriale: quale terapia antitrombotica? |
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Inserito il 09 novembre 2025 da admin. - cardiovascolare - segnala a:
Nei pazienti in trattamento anticoagulante e con sindrome coronarica cronica la terapia di scelta è il solo anticoagulante.
Può succedere che un paziente in terapia con anticoagulante (di solito per fibrillazione atriale) sviluppi anche una sindrome coronarica e sia sottoposto ad angioplastica e stent. Può verificarsi anche il contrario ovviamente: pazienti in terapia antiaggregante per coronaropatia cronica stabile che sviluppano una fibrillazione atriale. In questi casi qual è il trattamento preferibile?
Ha cercato di rispondere alla domanda lo studio randomizzato in doppio cieco AQUATIC [1]. Il trial è stato condotto in 51 centri in Francia, su pazienti con sindrome coronarica cronica, già sottoposti a stent (da oltre 6 mesi), ad alto rischio aterotrombotico e in terapia anticoagulante orale. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere aspirina (100 mg al giorno) oppure placebo, mantenendo comunque l’anticoagulante orale. Lo studio è stato interrotto precocemente su raccomandazione del comitato indipendente di monitoraggio dopo un follow-up mediano di 2,2 anni, a causa di un eccesso di decessi nel gruppo aspirina. L'endpoint primario era di tipo composito: decesso cardiovascolare, infarto miocardico, ictus, embolia sistemica, rivascolarizzazione coronarica o ischemia acuta degli arti. Si è verificato nel 16,9% del gruppo ASA e nel 12,1% del gruppo placebo (HR 1,53; 95% CI: 1,07–2,18; P = 0.02). La mortalità per tutte le cause era rispettivamente del 13,4% e dell'8,4% e le emorragie maggiori del 10,2% e del 3,4%.
Che dire? Nei pazienti con sindrome coronarica cronica già in terapia anticoagulante orale (per fibrillazione atriale, tromboembolia venosa, ecc.), non è indicato mantenere l’aspirina a lungo termine: l’aggiunta non riduce gli eventi ischemici (infarto, ictus, embolia) ma aumenta in modo significativo sanguinamenti maggiori e mortalità. In realtà già le linee guida ESC e ACC suggerivano di limitare la durata della doppia terapia (anticoagulante + antiaggregante) alla sola fase acuta dopo PCI/stent. Questo trial fornisce una prova definitiva che la doppia terapia cronica non porta benefici, anzi è dannosa. In altre parole si può dire che generalmente dopo 6 mesi da un’angioplastica con stent, il paziente che necessita di anticoagulazione orale cronica dovrebbe rimanere con solo l’anticoagulante. L’aspirina potrebbe essere mantenuta solo in casi molto selezionati, per breve tempo e con motivazione chiara (es. stent particolarmente complesso, recente evento ischemico multiplo). Possiamo così riassumere il comportamento pratico in un paziente in trattamento anticoagulante (di solito un DOAC) che vada incontro a una sindrome coronarica acuta con impianto di stent:
1. fase acuta (circa 7 giorni post-impianto): DOAC + ASA + inibitore P2Y12; 2. fare intermedia (di solito 6 mesi): DOAC + inibitore P2Y12; 3. fase cronica: solo DOAC nella maggior parte dei pazienti.
Un'annotazione finale: perchè non si è previsto anche un terzo braccio dove veniva usato un inibitore del P2Y12?
Renato Rossi
Bibliografia
1. Lemesle G, Didier R, Steg PG, Simon T, Montalescot G, Danchin N, Bauters C, Blanchard D, Bouleti C, Angoulvant D, Andrieu S, Vanzetto G, Kerneis M, Decalf V, Puymirat E, Mottier D, Diallo A, Vicaut E, Gilard M, Cayla G; AQUATIC Trial Investigators. Aspirin in Patients with Chronic Coronary Syndrome Receiving Oral Anticoagulation. N Engl J Med. 2025 Aug 31. doi: 10.1056/NEJMoa2507532. Epub ahead of print. PMID: 40888725.
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