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Meno grave di quanto si pensasse l'evoluzione dell'epatite C
Inserito il 30 luglio 2000 da admin. - epatologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  



E' stato pubblicato un interessante studio, curioso nella concezione, con cui L.B. Seer e coll. hanno voluto studiare il decorso a lungo termine nell’infezione da HCV. E’ un problema molto importante per le implicazioni terapeutiche e, dato l' elevato costo dei farmaci in uso, economiche; non e' tuttavia di semplice soluzione pratica, sia per le difficolta’ di una diagnosi precoce che per quella della necessita' di un follow-up suffientemente lungo. Occorre considerare infatti che sono passati poco piu' di dieci anni dalla scoperta e dall' isolamento del virus C; impossibile quindi valutare l' evoluzione della malattia in tempi piu' lunghi. Per aggirare questo problema gli autori hanno avuto l' idea di utilizzare sieri prelevati nel periodo postbellico (seconda guerra mondiale) ai militari di leva in occasione di uno studio sulla febbre reumatica e conservati, fino ad ora, congelati. Su questi sieri e’ stata determinata la presenza di anticorpi anti HCV. Sono stati riscontrati oltre 8000 casi con positivita’ anticorpale e di questi soggetti e’ stata ricostruita la storia clinica. E’ stata rilevata solo una modesta progressione verso la malattia cronica del fegato; nei soggetti deceduti e’ stato stabilito che il 6% erano deceduti per una malattia epatica mentre il 29% erano deceduti per cause extraepatiche. Sembrerebbe quindi che solo una piccola parte dei soggetti affetti per HCV progrediscano verso malattie gravi del fegato e verso il decesso per malattie epatiche Gli autori sottolineano questo aspetto, evidenziando che questo studio mostra una incidenza piu’ bassa di quanto generalmente ritenuto in conseguenza dell’infezione di HCV per aspetti che riguardano l' evoluzione verso la cirrosi o il cancro del fegato. Viene ribadita l’importanza di studiare i fattori dell’ospite che determinano il decorso a lungo termine della malattia, come alcuni fattori genetici ancora oggetto di studio. Anche l' eta’ giovanile e’ un noto fattore prognostico positivo e questo dato puo’ spiegare almeno in parte i dati ottimistici ottenuti in questo studio dato che la maggior parte dei casi inclusi nello studio avevano un’eta’ inferiore a 25 anni.

Daniele Zamperini; fonte: Annals off Internal Medicine 132,105, 2000


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