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Considerazioni sulla vitamina D

Categoria : scienze_varie
Data : 26 gennaio 2001
Autore : admin

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Testo :

La produzione endogena di vitamina D è innescata dall'esposizione del corpo alla radiazione ultravioletta B (UVB). Pertanto, evitare l'esposizione ai raggi ultravioletti potrebbe provocare un deficit di vitamina D. D'altra parte, evitare l'esposizione ai raggi ultravioletti rappresenta un punto basilare nella prevenzione del cancro della pelle, che negli Stati Uniti rappresenta il tipo più diffuso di cancro, non comprendendo il melanoma. Anche l'incidenza di melanoma, associato all'esposizione intermittente e intensa al sole, è aumentata drammaticamente. Pertanto molti medici consigliano di evitare l'esposizione al sole quando la radiazione UVB è più intensa, di coprirsi bene e di usare creme solari protettive.
Fisiologia. La vitamina D nel nostro organismo ha un'origine in parte endogena e in parte esogena. L'esposizione della pelle ad una dose sufficiente di raggi UVB (da 290 a 320 nm) provoca la conversione di un proormone, il 7-deidrocolesterolo, in colecalciferolo, o vitamina D3. Attraverso l'alimentazione noi introduciamo vitamina D2 (poca, dai vegetali), che deve essere trasformata in vitamina D3, e vitamina D3 (la maggior parte, da alimenti di origine animale, soprattutto olio di fegato di merluzzo, di tonno, di ippoglosso, pesci tipo pesce spada, sardine, sgombri, aringhe, merluzzo, salmone, gamberi, uova, fegato, latte). La vitamina D3, o colecalciferolo, attraverso il sangue arriva al fegato, dove viene trasformata in 25-idrossicolecalciferolo, o calcidiolo, che è una forma metabolicamente più attiva della precedente; il calcidiolo, arrivato al rene, viene trasformato in 1,25-diidrossicolecalciferolo, o calcitriolo, che è la forma metabolicamente più attiva. La vitamina D aumenta l'assorbimento di calcio e fosforo dall'intestino, e il riassorbimento di calcio dal rene. Ciò serve a mantenere livelli di calcemia e fosforemia tali da inibire l'azione osteoclastica del paratormone (a sua volta tesa a mantenere livelli adeguati di calcemia e fosforemia). Pertanto, adeguati livelli di vitamina D consentono una normale mineralizzazione ossea durante l'accrescimento nei bambini e mantengono l'osso robusto negli adulti. I soggetti che assumono quantità insufficienti di vitamina D con la dieta e sono poco esposti alle radiazioni UVB possono andare incontro a rachitismo se bambini o ad osteomalacia se adulti. Studi recenti inoltre indicano che anche per la prevenzione dell'osteoporosi sono necessari adeguati livelli di vitamina D. Oggi si ritiene che il livello minimo accettabile di 25-idrossicolecalciferolo sia quello al quale l'azione osteoclastica del paratormone sull'osso è soppressa, ossia almeno 30 ng/ml, e probabilmente oltre 40 ng/ml nei soggetti anziani. Considerando la limitatezza delle risorse naturali di vitamina D e la scarsa esposizione al sole, molti anziani, soprattutto quelli che stanno in istituti di ricovero, hanno livelli di vitamina D inadeguati e sono a rischio di osteoporosi.
Studi recenti indicano che la vitamina D ha altri effetti fisiologici, oltre quelli sull'osso. E' stato dimostrato che livelli adeguati di vitamina D aumentano la resistenza alla tubercolosi. Studi epidemiologici hanno dimostrato un coinvolgimento della vitamina D nella regolazione della pressione arteriosa, nel senso che bassi livelli di 25-idrossicolecalciferolo sono associati ad aumento della pressione arteriosa, e livelli elevati si associano a riduzione della pressione arteriosa. E' stato infine dimostrato che il calcitriolo agisce come soppressivo nei confronti dei tumori della mammella, del colon-retto e della prostata.
Conclusioni. Alla luce di quanto è stato detto è evidente la necessità di mantenere adeguati livelli di vitamina D. Soprattutto in alcune categorie di persone (anziani ricoverati o comunque poco esposti al sole, soggetti a maggior rischio per tumori della pelle nei quali l'esposizione al sole è sconsigliata), è raccomandabile una supplementazione dietetica di vitamina D.
A. Schipani: fonte: Southern Medical Journal, gennaio 2001



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