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E’ risarcibile il danno alla salute per malattia derivante da sovraccarico di lavoro (Sentenza)

Categoria : medicina_legale
Data : 27 maggio 2001
Autore : admin

Intestazione :

Cassazione - Sezione Lavoro, Sent. n. 1307/2000



Testo :

Il potere imprenditoriale, volto alla massimizzazione della produzione, incontra un imprescindibile limite nella necessità di non arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana e nel far si che nell'attività di collaborazione richiesta ai dipendenti venga predisposta una serie di misure, oltre quelle legali, che appaiono utili a impedire l'insorgere o l'ulteriore deteriorarsi di situazioni patologiche idonee a causare effetti dannosi alla salute del lavoratore

Il dott. P. L. conveniva in giudizio davanti al Pretore di X l'Ente YY , di cui era dipendente, chiedendone la condanna al risarcimento del danno biologico in quanto, essendo divenuto capo-ufficio, gestiva il proprio ufficio con evidente sproporzione tra il personale addetto e la quantità di lavoro prevista.
A causa di tale sproporzione, era stato costretto a una assidua quanto estenuante attività lavorativa non soltanto nelle ore normali di servizio, ma anche mediante espletamento, per far fronte alle esigenze dell'ufficio, di lavoro supplementare, straordinario, feriale e festivo anche presso la propria abitazione, con una media di circa sessanta ore di lavoro settimanale, per cui era stato colpito da infarto.
Dopo l'infarto trasferito ad altro ufficio aveva ivi svolto un'attività lavorativa più normale e meno intensa. Da ciò la richiesta di risarcimento del danno biologico provocato con la deliberata mancata integrazione dell'organico e il conseguente sovraccarico di lavoro in danno del dipendente.
Il Pretore rigettava la domanda compensando interamente tra le parti le spese del giudizio.
Tale sentenza, appellata dal lavoratore, veniva confermata dal Tribunale.
La Cassazione con sentenza del 14 febbraio 1997 n. 8267 cassava con rinvio la sentenza del Tribunale, e assegnava al giudice di rinvio il compito di applicare il principio di diritto secondo cui il potere imprenditoriale, volto alla massimizzazione della produzione, incontra un imprescindibile limite nella necessità di non arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana e nel far si che nell'attività di collaborazione richiesta ai dipendenti venga predisposta una serie di misure, oltre quelle legali, che appaiono utili a impedire l'insorgere o l'ulteriore deteriorarsi di situazioni patologiche idonee a causare effetti dannosi alla salute del lavoratore ai sensi dell'art. 41 secondo comma cost. e dell'art. 2087 c.c..
Il Tribunale si adeguava a tale principio e accoglieva la domanda del L., ritenendo provata la sussistenza delle condizioni di superlavoro in cui aveva operato il dipendente nell'indifferenza dell'Ente datore di lavoro. Il giudice riteneva pure che l'infarto, nonostante la sussistenza di altri fattori di rischio, quali la familiarità ipertensiva, il fumo di 15 sigarette al giorno e la vita sedentaria, era da attribuire in via causale all'attività lavorativa intensa svolta dal lavoratore in concomitanza con l'omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di misure idonee atte ad evitare tale effetto dannoso.
L’ Ente proponeva ricorso in Cassazione che ha ritenuto sussistente il danno biologico del lavoratore in relazione all'inosservanza dell'obbligo del datore di lavoro di non dequalificare il lavoratore con offesa della sua dignità (art. 41 secondo comma cost.), in quanto, insieme alla lesione del diritto alla salute (art. 32 primo comma cost.), conseguenza diretta e immediata della dequalificazione (V. Cass. 24 gennaio 1990 n. 411).
Ha, altresì, ritenuto (Cass. 23 giugno 1992 n. 7663), in tema di infortuni sul lavoro, sussistente la responsabilità del datore di lavoro per il danno biologico, inteso come menomazione dell'integrità psico-fisica, subita dal lavoratore e valutabile monetariamente in modo autonomo rispetto al danno morale e alla vita di relazione causati dal reato (v.: Cass. 4 ottobre 1994 n. 8054; Cass. 1996 n. 3510 e 7636).
Infine la Corte con la sentenza del 14.2.1997 n. 8267, a seguito della quale è stata pronunciata l'impugnata sentenza di rinvio, ha enunciato il seguente principio di diritto: "In ottemperanza al precetto costituzionale di cui all'art. 41 secondo comma cost. il datore di lavoro non può esimersi dall'adottare tutte le misure necessarie, compreso l'adeguamento dell'organico, volte ad assicurare livelli compensativi di produttività, senza, tuttavia, compromettere l'integrità psico-fisica dei lavoratori soggetti al suo potere organizzativo di dimensionamento delle strutture aziendali. Pertanto l'accettazione da parte del lavoratore di un lavoro straordinario continuativo, ancorché contenuto nel c.d. "monte ore contrattuale massimo", o la rinuncia a un periodo feriale effettivamente rigenerativo dell'impegno lavorativo non possono esimere il datore di lavoro dall'adottare tutte le misure idonee a tutelare l'integrità psico-fisica del lavoratore, comprese quelle intese ad evitare eccessività di impegno da parte di un soggetto che è in condizioni di subordinazione socio-economica.
L'eventuale concorso di colpa del lavoratore non ha efficacia esimente per il datore di lavoro che abbia omesso le misure atte ad impedire l'evento lesivo, restando egli esonerato da ogni responsabilità soltanto quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'abnormità, dell'inopinabilità e dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute".
L'inadempimento di tale obbligo deve essere dimostrato dal lavoratore che chiede il risarcimento del danno biologico.Una volta, però, dimostrata la sussistenza dell'inadempimento, non occorre, a norma dell'art. 1218 c.c., che il lavoratore dimostri, come invece nella responsabilità aquiliana, anche la sussistenza della colpa del datore di lavoro inadempiente.
Su quest'ultimo infatti, incombe l'onere di provare che l'evento lesivo dipenda da un fatto a lui non imputabile e cioè da un fatto che presenti i caratteri dell'abnormità, dell'inopinabilità e dell'esorbitanza in relazione al procedimento lavorativo e alle direttive impartite.
(A cura di D.Z.)



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