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Il punto sugli inibitori dell'aromatasi

Categoria : oncologia
Data : 01 dicembre 2004
Autore : admin

Intestazione :

Controverso l'utilizzo degli inibitori dell'aromatasi nel carcinoma mammario, questo il messaggio dell'American Society of Clinical Oncology (ASCO) che ha elaborato le linee guida sull'uso degli inibitori delle aromatasi.



Testo :

Recentemente l'American Society of Clinical Oncology (ASCO) ha elaboratodelle linee guida sull'uso degli inibitori delle aromatasi. Secondo le nuove raccomandazioni questi farmaci producono un modesto, maconsistente aumento della sopravvivenza libera da malattia nelle donne con pregresso cancro mammario con stato recettoriale ormonale positivo. Non sappiamo però se esista una qualche differenza tra i tre diversi inibitori dell'aromatasi (anastrozolo, letrozolo, exemestane) nè conosciamo il loro profilo di sicurezza a lungo termine, il timig d'inizio della terapia e la durata d'uso ottimale. Dai dati finora a disposizione sembra che gli inibitori dell' aromatasi riducano gli eventi trombotici e i tumori uterini mentre possono aumentare il rischio di fratture osteoporotiche rispetto al tamoxifene.
Ragionevolmente si può dire che questi farmaci sono una buona scelta nelle donne che hanno controindicazioni al tamoxifene o che durante la terapia con tamoxifene hanno avuto effetti collaterali o recidiva neoplastica. In tutti gli altri casi si può raccomandare una terapia con tamoxifene per i primi 2-3 anni seguiti da un inibitore dell'aromatasi per altri 2-3 anni (o forse per 5 anni). Alcuni raccomandano invece di usare subito un inibitore dell'aromatasi per 5 anni e di passare al tamoxifene in caso di intolleranza, ma bisogna tener conto che gli inibitori dell'aromatasi sono controindicati nelle donne in pre-menopausa. Comunque, secondo gli esperti del panel che ha steso le linee guida, i medici e le donne dovrebbero considerare che i potenziali rischi (in parte ancora non conosciuti) di questi nuovi farmaci potrebbero superare i benefici.

Fonte: Pubblicate online il 15 novembre 2004 su Journal of Clinical Oncology
Link: http://www.jco.org/cgi/reprint/JCO.2005.09.121v1.pdf

Commento.
Non c'è che dire. Dopo le raccomandazioni il solito scaricabarile: i rischi potrebbero superare i benefici, non sono noti gli effetti a lungo termine, ecc. Esaminiamo la questione più da vicino. La terapia standard nelle donne operate di cancro mammario con recettori ormonali positivi si basa sull'uso del tamoxifene per 5 anni. Nonostante il trattamento però alcune pazienti vanno incontro a ricaduta. Inoltre il tamoxifene è associato a numerosi effetti collaterali inclusi un aumento del rischio di tumore dell'endometrio e di tromboembolismo. Il tamoxifene è un agonista-antagonista degli estrogeni e produce effetti benefici a livello mammario e osseo ma deleteri sul versante endometriale e vasale.
In questi ultimi anni sono stati proposti nuovi famaci appartenenti alla classe degli inibitori dell' aromatasi. L'enzima aromatasi è implicato nella trasformazione a livello dei tessuti periferici degli androgeni in estrogeni. Sono disponibili tre farmaci: l'anastrozolo e il letrozolo sono degli inibitori reversibili di tipo non steroideo mentre l'exemestane è un inibitore steroideo di tipo irreversibile. Nello studio ATAC (Lancet 2002 Jun 22; 359:2131-39) quasi 10.000 donne sottoposte a mastectomia furono randomizzate ad anastrozolo, tamoxifene oppure ad una associazione dei due farmaci e seguite mediamente per quasi tre anni. La sopravvivenza libera da malattia a 3 anni era significativamente più elevata nel gruppo che assumeva anastrozolo anche se gli autori concludono che sarebbe necessario un follow-up più prolungato per valutare più compiutamente il rapporto rsichio/beneficio. In un altro studio (N Engl J Med 2003 Nov 6; 349: 1793-1802) sono state reclutate più di 5.000 donne mastectomizzate in post-menopausa che avevano già completato i 5 anni di terapia con tamoxifene. Successivamente le donne sono state randomizzate a letrozolo o placebo per oltre 2 anni. La mortalità totale non risultava significativamente ridotta ma il letrozolo aumentava l'intervallo libero da malattia. Lo studio doveva durare 5 anni, ma è stato sospeso anticipatamente per motivi etici. Anche se il beneficio del letrozolo sembra quindi evidente, non sappiamo se, per terapie più prolungate, non vi sia un eccesso di eventi cardiovascolari dovuti al farmaco: sarebbe stato utile avere a disposizione un follow-up più lungo. Quello che si può dire, dopo questo studio, è che i benefici del letrozolo sono stati valutati per un periodo di 2-3 anni, mentre non sono noti gli eventuali effetti avversi per periodi più prolungati, la durata ottimale della terapia nè se un uso più prolungato avrebbe portato ad una riduzione
della mortalità totale. Infine in un terzo studio (N Engl J Med 2004 Mar 11; 350:1081-1092) l'exemestane ha migliora la sopravvivenza libera da malattia nel cancro mammario: rispetto al regime standard (tamoxifene per 5 anni) la sopravvivenza libera da malattia risulta migliore con un regime che prevede tamoxifene per i primi due-tre anni seguiti da exemestane. In questo studio in doppio cieco sono state infatti arruolate oltre 4.700 donne, randomizzate a tamoxifene per 5 anni oppure a tamoxifene per i primi due-tre anni e poi exemestane per il rimanente periodo . Il follow-up medio è stato di 30,6 mesi. Tuttavia la mortalità totale risultò simile in entrambi i gruppi. Purtroppo anche questo studio è stato interrotto anticipatamente e questo non permette di valutare appieno gli effetti a lungo termine sia positivi che negativi. Forse bisognerebbe ripensare le regole per l'interruzione anticipata dei trials: se da una parte vi è il desiderio di informare rapidamente circa terapie potenzialmente più efficaci, dall'altra vi è la necessità di ottenere dati più solidi circa la sicurezza dei nuovi farmaci. Che dire? La mia opinione è che per il momento questi nuovi farmaci dovrebbero essere prescritti quando esista una controindicazone al tamoxifene oppure se, durante terapia con questo farmaco, si sviluppano effetti collaterali o ricadute neoplastiche. Un'altra scelta può essere quella di usarli per altri 2-3 anni dopo che la paziente ha assunto tamoxifene per i primi 2-3 anni. Sarei invece più prudente ed attenderei ulteriori dati prima di passare all'uso indiscriminato di questi farmaci in sostituzione del vecchio, ma sempre valido tamoxifene.
Renato Rossi



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