Il clopidogrel non aggiunge CHARISMA all'ASA
Categoria : cardiovascolare
Data : 16 marzo 2006
Autore : admin
Intestazione :
L'aggiunta del clopidogrel all'ASA non apporta vantaggi nei pazienti con malattia cardiovascolare stabile o ad alto rischio: i risultati dello studio CHARISMA.
Testo :
Nello studio CHARISMA sono stati arruolati 15.603 pazienti affetti da patologie cardiovascolari evidenti oppure che presentavano numerosi fattori di rischio cardiovascolare. Scopo dello studio era valutare se l'aggiunta di clopidogrel all'ASA apportasse benefici in prevenzione primaria e secondaria. I partecipanti sono stati randomizzati a ricevere clopidogrel (75 mg/die) + aspirina (75-162 mg/die) oppure aspirina + placebo. Il follow-up medio è stato di 28 mesi mentre l'end-point primario era composto da infarto miocardico, ictus o decesso da causa cardiovascolare. L'end-point primario si verificò nel 6,8% del gruppo clopidogrel + asa e nel 7,3% del gruppo asa (RR 0,93; IC95% 0,83-1,05; P = 0,22). L'end-point secondario (che comprendeva l'ospedalizzazione per eventi ischemici) si verificò nel 16,7% del gruppo clopidogrel + asa e nel 17.9% del gruppo asa (RR 0,92; IC95% 0,86-0,995; P = 0,04). La frequenza di emorragie gravi fu dell'1,7% nel gruppo clopidogrel + asa e dell'1,3% nel gruppo asa (RR 1,25; IC95% 0,97 - 1,61; P = 0,09). La frequenza dell'end-point primario nei soggetti che avevano numerosi fattori di rischio fu del 6,6% nel gruppo clopidogrel + asa e del 5,5% nel gruppo asa (RR 1,2; IC95% 0,91-1,59; P = 0,20); anche la percentuale di morti cardiovascolari fu più elevata nel gruppo clopidogrel + asa (3,9% vs 2,2%; P = 0,01). Al contrario nel gruppo con patologie cardiovascolari evidenti l'end-point primario si verificò nel 6,9% del gruppo clopidogrel + asa e nel 7,9% del gruppo asa (RR 0,88; IC95% 0,77-0,998; P = 0,046). Gli autori concludono che la duplice terapia antiaggregante potrebbe essere utile in pazienti con aterotrombosi sintomatica, ma può essere pericolosa in soggetti con numerosi fattori di rischio cardiovascolare ma asintomatici. In generale l'associazione clopidogrel + asa non risulta più efficace di asa da solo nel ridurre la frequenza di infarto miocardico, ictus o decessi cardiovascolari. Fonte: N Engl J Med 2006; pubblicato online il 12 marzo 2006
Commento di Renato Rossi Il clopidogrel, un antiaggregante piastrinico che agisce inibendo i recettori per l'adenosina difosfato P2Y12, è stato testato in numerosi studi. Nello studio CAPRIE è stato paragonato all'aspirina in soggetti con storia di ictus, infarto miocardico o vasculopatia periferica [1]: dopo quasi due anni di trattamento, ha ridotto un end-point combinato (ictus ischemico, infarto miocardico e decesso cardiovascolare) rispetto all'asa (5,32% vs 5,83%; RR 0,913; P = 0,043). Tuttavia il beneficio era evidente nei soggetti con vasculopatie periferiche, ma non in quelli con pregresso ictus o infarto. Alcuni ritengono che tale vantaggio rispetto all'asa sia piccolo se non insignificante [2]. Nello studio CURE [3] clopidogrel + asa sono stati paragonati al solo asa (per 3-12 mesi, media 9 mesi) in pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST. Lo studio ha dimostrato che l'associazione riduce i due end-point primari misurati (morte cardiovascolare, infarto non fatale, ictus e ischemia refrattaria), tuttavia è stato criticato perchè in corso d'opera i ricercatori hanno modificato i criteri di arruolamento includendo soggetti a maggior rischio di infarto o decesso rispetto a quelli visti nella pratica corrente [4], per cui l'uso andrebbe valutato attentamente e ne potrebbero beneficiare soprattutto i pazienti a rischio molto elevato di evoluzione verso l'infarto o la morte. Nello studio CREDO [5] il clopidogrel associato all'asa (per 12 mesi) ha ridotto, in soggetti sottoposti ad angioplastica, il rischio di eventi ischemici rispetto al protocollo standard (asa + clopidogrel per un mese seguito da solo asa); se prima dell'intervento (almeno 6 ore) si somministra una dose di carico di clopidogrel gli eventi a 28 giorni si riducono ulteriormente. Sulla base di questi studi l'AIFA ha stabilito che il clopidogrel può essere prescritto a carico del SSN in associazione all'aspirina per 6-12 mesi (previa diagnosi e piano terapeutico) nei pazienti con sindrome coronarica acuta senza innalzamento di ST (angina instabile o infarto non - Q). Più recentemente nello studio COMMIT [6] il clopidogrel associato ad asa è stato paragonato al solo asa in soggetti con infarto miocardico acuto. La terapia è stata somministrata durante il periodo di ricovero e per un massimo di 4 settimane ed ha dimostrato di ridurre mortalità ed eventi coronarici, anche se l'NNT non è particolarmente impressionante (bisogna trattare 112 pazienti per 2 settimane per evitare un evento); d'altra parte il trattamento dell'infarto acuto è molto migliorato in questi ultimi anni e questo rende conto del motivo per cui è difficile ottenere risultati eclatanti. In tutti questi studi il clopidogrel era stato usato per periodi relativamente brevi (se si esclude lo studio CAPRIE). Sono stati quindi approntati studi di più lunga durata per valutare l'efficacia del farmaco in varie condizioni. Lo studio ACTIVE, recentemente comunicato al meeting dell'AHA (novembre 2005), doveva valutare clopidogrel + asa vs warfarin nei pazienti con fibrillazione atriale ed era stato pianificato per durare 4 anni ma è stato interrotto anticipatamente dopo 17 mesi quando l'analisi ad interim da parte del comitato di sicurezza ha rilevato un aumento del 47% di eventi cardiovascolari, incluso un aumento del 75% di ictus, nel gruppo clopidogrel. Non risultarono invece differenze tra i due gruppi per la mortalità totale [7]. Lo studio CHARISMA, durato circa 2 anni e mezzo, non ha dimostrato chiari benefici della duplice terapia antiaggregante in pazienti con malattia aterosclerotica clinicamente evidente e in soggetti con multipli fattori di rischio cardiovascolare, non riducendo in maniera statisticamente significativa l'end-point primario, per il quale lo studio era stato disegnato. Il beneficio trovato per l'end-point secondario (che comprendeva i ricoveri per eventi ischemici) fa ipotizzare che l'associazione potrebbe essere utile in alcuni casi ma questa ipotesi dovrebbe essere sottoposto al vaglio di ulteriori studi in quanto è noto che le conclusioni tratte dall'esame di end-point secondari debbono essere interpretate con cautela. Inoltre l'analisi per sottogruppi permette di ipotizzare che la terapia antiaggregante aggressiva possa essere utile in pazienti con malattia aterotrombotica clinicamente evidente mentre in soggetti asintomatici ma con multipli fattori di rischio forse è più dannosa che utile. Tuttavia anche queste conclusioni vanno prese con cautela in quanto derivanti da un'analisi per sottogruppi e richiederebbero la conferma da RCT appositamente disegnati. Al momento, come conclude un editorialista nel suo commento allo studio CHARISMA, si dovrebbe resistere al richiamo delle analisi per sottogruppi ed evitare la duplice terapia antiaggregante nei pazienti con malattia stabile. In futuro ulteriori studi potranno meglio chiarire se una terapia antiaggregante aggressiva possa essere utile in pazienti selezionati; per ora appare ragionevole limitarla a quelli a rischio molto elevato, come previsto dalla normativa vigente.
Commento di Luca Puccetti
Lo studio fornisce in modo chiaro 2 evidenze: 1) nei soggetti sintomatici con cardiopatia documentata (prevenzione secondaria in soggetti sintomatici) la doppia inibizione piastrinica fornisce un vantaggio significativo rispetto alla sola inibizione con ASA sull'endpoint primario (6,9% per clopidogrel vs 7,9% per placebo, RR 0,88, p=0,046) 2) nei soggetti asintomatici l'aggiunta del clopidogrel non solo non fornisce alcun vantaggio rispetto all'impiego dell'ASA, sull'end point primario (6,6% per clopidogrel vs 5,5% per placebo, RR 1,20, p=0,20; interazione p=0,045), ma addirittura risulta associata con un significativo peggioramento della mortalità per tutte le cause (5,4% vs 3,8%, p=0,04) e di quella cardiovascolare (3,9% vs 2,2%, p=0,01). Commento di Alessandro Battaggia
Sono completamente d' accordo con Renato Rossi. Consideriamo solo quello che gli autori hanno scritto nell' abstract, che rappresenta di fatto la posizione ufficiale dei ricercatori. In assenza (in tutta la coorte) di risultati 'significativi' per l'outcome primario si sono aggrappati ai risultati -tra l' altro contrastanti e poco spiegabili sotto il profilo fisiopatologico- riscontrati nei due sottogruppi 'symptomatic' e 'asymptomatic '. Nei fatti quindi hanno basato le proprie conclusioni non sull' end-point su cui avevano tarato le potenzialità inferenziali dei risultati del trial, ma su tre analisi (quella primaria e due secondarie): 1) primary outcome (all cohort) 2) primary outcome (symptomatic subgroup) 3) primary outcome (asymptomatic subgroup). La probabilità che conclusioni sbandierate siano dovute solo al caso (familywise alpha error) è espressa quindi da valori di P compresi tra un minimo di 0,22 e un massimo di 0,40 (a seconda del grado di interdipendenza tra le tre analisi utilizzate, confirmatory use). Sarebbe ora di finirla con queste mistificazioni, che rappresentano ormai il problema più grave della letteratura moderna.
Bibliografia 1. Lancet 1996; 348:1329-1339 2. Drug and Therapeutics Bulletin 1999; 8: 59-61 3. N Engl J Med 2001; 345:494-502 4. Drug and Therapeutics Bulletin 2002; 11:41-42 5. JAMA 2002 Nov 20, 288:2411-2420 6. Lancet 2005 Nov 5; 366:1607-1621 7. In: http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=2122
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